Maria Polydouri (1902-1930)

Maria Polydouri

[Oh, abbassate questa luce]

Oh, abbassate questa luce!
E’ notte, a cosa serve?
Il giorno è finito.
Chissà se il sonno nascosto
qui vicino, attende

solo un istante gli impedisce
di arrivare.
Ho l’anima in bocca,
le lacrime mi hanno lasciata
il petto è stanco.

Portate via la luce! E’ tempo
di rimanere sola.
E’ finito l’inganno della vita.
Ogni sforzo è nemico
alla suprema lotta.

Il tormento non mi abbandona.
Qualcosa resta
per ingannare la notte,
un po’ di calore si è chinato
sopra il mio occhio inquieto.

Portate via la luce! E’ il momento.
Lo voglio tutto per me.
E’ l’ora di addormentarsi,
portate via la luce! Mi fa male…
ho l’anima in fiamme.

(traduzione di Mario Vitti, rivisitazione di Luigia Sorrentino)

Quasi 28 anni dopo, il 29 aprile 1930, avendo già vissuto una vita affascinante, ma anche “spudorata” per l’epoca, la grande poetessa greca, nota anche per il suo amore con Kostas Karyotakis, muore per un’iniezione di morfina presso la clinica Christomanos in Patissia.
Poco prima aveva chiesto al suo buon amico ed “eterno ammiratore”, Vassilis Gentekos, di fornirle il farmaco all’ospedale dove si trovava, poiché aveva contratto la tubercolosi.

 

Maria Polydouri – Μαρία Πολυδούρη (1902-1930) è stata una poetessa greca. La sua breve esperienza esistenziale e poetica è segnata dal legame con il poeta Kostas Karyotakis, di sei anni più grande di lei, morto suicida nel 1928.
Nata a Kalamata si trasferì nella città di Atene nel 1920 per iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza. Nel 1928 fece un viaggio a Parigi, dal quale tornò malata di tisi. Nei due anni che seguirono, segnata dalla malattia, pubblicò due raccolte di versi: “Voci nell’abisso” e “Trilli che si spengono”. Maria Polydouri ha lasciato due brevi lavori inediti: il suo diario e un romanzo senza titolo nel quale si prende gioco senza pietà del conservatorismo e dell’ipocrisia del suo tempo. Ricoverata in un sanatorio a Patissia, morì di tubercolosi polmonare nelle prime ore del 29 aprile 1930.

La poetessa è nota in Italia solo attraverso le antologie e grazie a un saggio del filologo grecista Filippo Maria Pontani “Eterno femminino”, Roma, Rivista di critica, I, 1950.

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