Libro ibrido sugli ibridi
Ogni pensiero che si ragioni ora, è già archiviato. Si oscura subito dietro la scena dove si esibisce. Proclama troppo tardi di essere necessario. Si possono fare diverse cose allora: accelerare il ritmo di selezione e anticipazione del rilevante – o partire dal futuro indeterminato dal quale le macchine che ci avranno sostituito si chiedono da dove vengono e rifanno la loro genealogia durante un viaggio di soccorso e di ritorno.
Perciò questo libro è un archivio e una scommessa, un discorso al passato e un’immagine di futuro e che arriva nel presente andando indietro. Sono le macchine, chiamate nubili – in contrappunto e omaggio alle machines célibataires di Marcel Duchamp – a pensare, perché gli umani saranno stati ridotti ad alcuni esemplari, allevati nei giardini. Sono le macchine nubili in questo futuro a conversare, durante il viaggio, sulla loro origine da organismi umani maschili: molti scienziati infatti avevano dato nomi di donna ai loro automi e robots. Per farlo, ne dovranno studiare la logica cibernetica e le premesse cosmologiche.
Verso le macchine nubili…
Vladimir D’Amora
Borges e Foucault: ogni historia artis: le reti… Si parla di vertigine dell’archivio, di una compulsione melancholica della lista… Si raddoppia, non potendo altrimenti, trattandosi appunto di e-numerazione…, la postura d’archivio tesa come è (stata) tra un reale e un possibile: in un’altra e originaria e originale insieme situazione: la krisis dell’archivio positivo: della posizione stessa d’archivio: della sua stessa post(ur)a prossemica: la reale tensione tra possibile e impossibile… Ma laddove e quando la situazione è un giudizio, la crisi è la critica stessa tra una lingua parlata scritta e il suo poter essere stata-scritta-parlata: laddove e quando un archivio è solo e da sempre, dal suo incendio, la storia…: certamente l’archivio è la positività del suo intrinseco eccesso, la sismografia del suo piranesiano imbricarsi aporetico: ma questa possibilità è finalmente la verità di ogni storia: è un impossibile attuoso: un negozio per bambini melancholici: inaccudibili – i sempre ultimi figli e perdigiorno a provare: provare: di entrare – in un gesto. Quello di un record, le cui performance sono non i numeri che danno la vita a figli fatti d’impossibile, ma le pure cifre della scrittura impossibile. L’archivio, cioè, è un eccesso in gioco: non un’attesa di, ossia non è un’anima-tempo, una mechané, referenziabile; ma un affaccio vertiginoso: senza nulla che desti insieme stupore e impegno – ma un cristallo, cioè, di modellizzazioni e di esecuzioni… L’archivio è la vita delle macchine: la scrittura riservata (d)a connessioni emorragiche – è un assoggettamento ossia appunto una machina, per asservimenti, la cui memorabilità è una destituzione colta in flagranza di… bellezza. L’archivio, cioè, si scrive al femminile: si scrive come sulla terra scriverà domani la brezza né serotina né meridiana né aurorale… La brezza, che è il vento femmina, che è il vento sfinge: il mistero di questa stessa scena senza copie e senza originali: perché nell’archivio, infatti, sono, le-scritture, le-femminilità che sono positive-posizioni di parti e di concepimenti possibili…
Di questa storia che è la occidua e mondializzata storia di penetrazione dei codici nelle vite. Le macchine sono, cioè, tic. Tocco senza colpa. Perché la palomilla è le sue… mmane piccerelle.
intorno
a
Brunella Antomarini, Le macchine nubili, Castelvecchi, Roma dicembre 2020