L’eterna primavera nella poesia di Éluard
di Mario Famularo
Limitare la questione stilistica sulla poesia di Éluard alle istanze e caratteristiche del movimento surrealista, per quanto fondamentali a comprenderne la storia e il percorso letterario, sarebbe un errore: la sua parola nasce da un’altissima compenetrazione di convincimento etico, vicissitudine sentimentale e trasfigurazione di tali elementi verso l’universalità dell’esperienza umana, di ogni uomo e di ogni donna.
Nel corso della sua lunga opera poetica, da Capitale de la douleur a Le temps déborde, fino a Le phénix, le figure femminili sono sempre differenti, nella biografia dell’autore: dalla dolorosa separazione con Gala, avvenuta in giovane età, al lungo sodalizio con Nusch, che terminerà con la sua morte, fino alla rifioritura piena con Dominique, che lo accompagnerà fino agli ultimi giorni della sua vita.
Ma “l’altezza del tono”, riconosciutagli anche da Fortini (che ha tradotto diversi suoi testi, in particolare raccolti in un pregevole lavoro antologico pubblicato da Einaudi) ha proprio tale caratteristica costante, nonostante i temi trattati si estendano alla riflessione civile e storica: quella sentimentale, in senso ampio.
Il perimetro delle singole personalità femminili tende a farsi sottile e a evadere dai margini identificativi e biografici, al punto che i suoi ultimi testi potrebbero benissimo riferirsi a ciascuna di esse, come se ogni donna della vita di Éluard avesse contribuito alla formazione di un’unica immagine femminile, assoluta, in cui ciascuna di esse converge; e a fronte di questo ricco femminino illimitato, le aspirazioni del poeta, anche quando sfiorano le tematiche civili, storiche e morali, tendono a replicare la medesima istanza di universalità anche con il valore umano del soggetto, dell’io lirico, verso la stilizzazione assoluta di un sentimento puro che unisce tutti gli uomini.
È una caratteristica che si evolve nel corso degli anni e delle opere, ma che già in pochi testi si può riconoscere per le caratterizzanti attribuzioni vicine al sacro, in cui l’intreccio con i residui dell’esperienza surrealista si impone in immagini cristalline, nitide, dove la dimensione del sogno si legittima come pura ed autentica interpretazione del reale.
E così la donna è “figlia di una primavera / che non finisce”, che ride dell’insensata violenza degli uomini, ed è “sempre in fiore”, con i “piedi fermi”, “tenera con i forti” e “debole con i teneri” – un’immagine in cui dolcezza e autorevolezza si intrecciano, dove la debolezza delle reciproche solitudini umane si fa possibilità di una forza illimitata che accomuni ognuna di esse: di solitudine in solitudine verso la vita.
E se la debolezza dell’ “uomo nel vuoto”, che si riconosce “sordo cieco muto / sopra un immenso piedistallo di silenzio nero”, in un “assoluto di uno zero ripetuto” sembra già, nel riconoscere la purezza della notte e l’immacolata bellezza del mondo, un’aspirazione sentimentale alla bellezza, tale debolezza si trasforma in valore umano, attraverso l’esperienza pura del sentimento, trasfigurata: “all’improvviso parlando mi sento vincitore / più chiaro e più vivo più fiero e migliore / più vicino al sole”, ed ecco che i riferimenti all’infanzia (“In me nasce un bambino … di sempre che nasce da un bacio unico”) impongono un sentire autentico e allo stesso tempo primigenio, incorrotto e viscerale, non mediato: “la morte è vinta e un bambino emerge dalle rovine / dietro di lui le rovine e la notte scompaiono”.
La notte, che nella solitudine era pura, svanisce di fronte alla potenza di questa assolutizzazione dell’esperienza sentimentale, che in Éluard diventa totalizzante, incontro tra tutti gli uomini e tutte le donne, moltiplicate in un unicum attraverso un gioco di specchi (e gli specchi sono assai frequenti nella sua poesia).
E l’immagine di questo sentimento assolutizzante, pieno e universale, che unisce ogni esperienza umana in una vitalità illimitata, innocente e sacra, pure se “in un mondo spietato”, protegge dalla morte, dalla corruzione, dalla dissolvenza, dalla caduta di senso cui si riferiva con quella “solitudine compiuta”, quel “nulla … oblio senza limiti”, perché “non c’è notte per noi / nulla di ciò che perisce può toccarti” – ed Éluard lo scrive pochi anni dopo la scomparsa dell’amata Nusch, proprio perché il sentimento sopravvive ai singoli uomini, alle singole relazioni, alla stessa specie umana, sembrerebbe suggerire, attraverso il suo riflesso (il suo specchiarsi) in ogni altra esperienza analoga, attraverso la sua assolutizzazione nella dimensione del sogno e del sacro, attraverso la consacrazione della vitalità che l’accompagna.
Questa una delle dimensioni più alte della poetica di Éluard, in cui ogni donna converge nel femminile, e l’io lirico parla a nome delle istanze di ogni uomo, nel ricordo di un’aspirazione alla vitalità e ad un amore autentico, innocente e incorrotto, a prescindere da ogni particolare legittimazione razionale o ideologica; molto si è discusso delle contraddizioni irrisolte all’interno della sua opera: ma al di là di questo, riuscire ad accedere alla dimensione della sua poesia significa comprendere, visceralmente, che “la nostra primavera è una primavera che ha ragione”.
Una libbra di carne
Sono un uomo nel vuoto
Un uomo sordo cieco muto
Sopra un immenso piedistallo di silenzio nero
Nulla questo oblio senza limiti
Questo assoluto di uno zero ripetuto
La solitudine compiuta
Il giorno è senza macchia e la notte è pura
Une livre de chair
Je suis un homme dans le vide
Un sourd un aveugle un muet
Sur un immense socle de silence noir
Rien cet oubli sans bornes
Cet absolu d’un zéro répété
La solitude complétée
Le jour est sans tache et la nuit est pure
Di solitudine in solitudine verso la vita
I
Sono tenera con i forti
Sono debole con i teneri
So le parole da dire
Per ispirare soltanto l’oblio
Sono figlia di un lago
Che non è offuscato
Di un cielo limpido e blu
Fino ai miei piedi fermi
E figlia di una primavera
Che non finisce
Rido delle violenze assurde
E sono sempre in fiore.
De solitude en solitude vers la vie
I
Je suis douce avec les forts
Je suis faible avec le doux
Je sais les mots qu’il faut dire
Pour n’inspirer que l’oubli
Je suis fille d’un lac
Qui ne s’est pas terni
D’un ciel limpide et bleu
Jusqu’à mes pieds tranquilles
Et fille d’un printemps
Qui ne finit jamais
Je ris des viols absurdes
Je suis toujours en fleur.
Grandezza di ieri e di oggi
IV
All’improvviso parlando mi sento vincitore
Più chiaro e più vivo più fiero e migliore
Più vicino al sole e più sicuro di durare
In me nasce un bambino che non è d’oggi soltanto
Un bambino di sempre che nasce da un bacio unico
Più spensierato di una prima farfalla
All’alba la primavera gli concede un secondo
La morte è vinta e un bambino emerge dalle rovine
Dietro di lui le rovine e la notte scompaiono.
Grandeur d’hier et d’aujourd’hui
IV
Mais soudain de parler je me sens conquérant
Et plus clair et plus vif et plus fier et meilleur
Et plus près du soleil et plus sûr de durer
Un enfant naît en moi qui n’est pas d’aujourd’hui
Un enfant de toujours par un baiser unique
Plus insouciant qu’un premier papillon
A l’aube le printemps lui donne une seconde
Et la mort est vaincue un enfant sort des ruines
Derrière lui les ruines et la nuit s’effacent.
Primavera
Sulla spiaggia c’è qualche chiazza d’acqua
Nei boschi ci sono alberi folli di uccelli
La neve si scioglie sulle montagne
I rami dei meli brillano di tanti fiori
Che il pallido sole si ritrae
È durante una sera d’inverno in un mondo spietato
Che ho visto questa primavera vicino a te l’innocente
Non c’è notte per noi
Nulla di ciò che perisce può toccarti
E tu non vuoi avere freddo
La nostra primavera è una primavera che ha ragione.
Printemps
Il y a sur la plage quelques flaques d’eau
Il y a dans les bois des arbres fous d’oiseaux
La neige fond dans la montagne
Les branches des pommiers brillent de tant de fleurs
Que le pâle soleil recule
C’est par un soir d’hiver dans un monde très dur
Que je vis ce printemps près de toi l’innocente
Il n’y a pas de nuit pour nous
Rien de ce qui pèrit n’a de prise sur toi
Et tu ne veux pas avoir froid
Notre printemps est un printemps qui a raison.
(Paul Éluard, poesie tratte da “Il duro desiderio di durare”, “Corpo memorabile” e “La fenice”, in “Ultime poesie d’amore”, Passigli Editori, 1996, traduzione di Vincenzo Accame)
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Mario Famularo (Napoli, 1983) esercita la professione di avvocato a Trieste. Suoi testi sono apparsi su antologie e riviste letterarie, tra cui “Poetarum Silva”, “YAWP”, “Argo”, “Inverso”, “ClanDestino”, “Il Segnale”, “Digressioni”, “Atelier” e tradotti in lingua spagnola dal “Centro Cultural Tina Modotti”. È redattore della rivista trimestrale “Atelier” e dei lit-blog “Laboratori Poesia” e “Niedern Gasse”. Collabora con il ciclo di incontri di poesia e letteratura “Una scontrosa grazia”; suoi contributi critici appaiono su “Nazione Indiana” e in prefazione a diverse pubblicazioni di poesia. Ha pubblicato le raccolte di poesia L’incoscienza del letargo (Oèdipus, 2018, terzo posto al premio Conza 2019) e Favēte linguis (Ladolfi, 2019).