Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
Oggi, a Opere Inedite, leggiamo la poesia di Maria Benedetta Cerro che mi ha inviato delle poesie raggruppate sotto il titolo: ‘Dimora della folle insonni’.
Una parola ‘innamorata’ della poesia, quella di Maria Benedetta, che esordisce nei testi che mi ha inviato con questi versi: “Non ti chiedo di amarmi/ – estatico e mite il filo di parole / inattuabili che alimentano / il segreto fiume del sogno”- .
Una parola che sta tutta dentro “le ore delle selve e dei boschi” che esprime con precisione una visione estatica della natura. Una poesia che parla e fa parlare anche “coloro che non hanno voce”.
DIMORA DELLA FOLLE INSONNIA
I.
Non ti chiedo di amarmi
– estatico e mite il filo di parole
inattuabili che alimentano
il segreto fiume del sogno –
Rapisci le caste ore delle selve
– cappe dissolute coprono i fiori –
Versa nelle pupille l’indaco
e il verde di intatte collane.
II.
Si aggira estatico nel bosco delle case.
Non vede, non comprende,
solo aspira un appena percettibile odore
– il nespolo fiorisce nella imminente neve –
Lui ne beve il polline ferito.
Gemono le note
le braccia ascoltano le forme amate.
Il furto dello stupore
lo rende folle e intemerato.
III.
Amasti più di lei la Musa.
Fosti l’amante del rifiuto
la sentinella
delle sue palpebre chiuse.
Le tue lenti non la riconobbero.
Chi ha rubato il senso dei discorsi
e profanato le sue profondità?
Chi ha percosso le margherite?
Quali labbra frequentasti
che dissetano l’oblio?
Almeno la uccidesti con gentilezza?
Può dirlo l’occhio arroventato
che frequenta le altezze
della folle insonnia.
IV.
Non parlare. Scrivi.
Piccoli segni lascia divenire
ciò che non ha voce.
Con occhi tardivi leggi l’universo.
La storta quercia
che si abbraccia le radici
le puntiformi tra le secche foglie.
Voglio in questo letto dormire
essere cosa tra le tante
inanimate e spente.
Sentire inquieto il vento
ed esprimere il sonno
un suo discorso lieto.
V.
Sedeva dirimpetto al sasso
– ne scrutava la prigione – Un passo
persino udiva, fuor di ragione.
Avanzare e ritrarsi fino a sparire.
Gridare: C’è qualcuno?
Può darsi.
VI.
Che ampia casa è la follia!
Non l’anima. Sanguina il laccio
dei calzari. Il guanto a rete
le sue lacerazioni considera
con assoluta mestizia.
Ma il laccio spezzare non può
la perfezione.
Il verso ammalato ha preso appunti.
Non frequenterà le tue finestre
Musa delle altezze e dei fatali inganni.
———–
Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo nel 1951 e risiede a Castrocielo (FR). Ha pubblicato: ‘Licenza di viaggio’, Edizioni dei Dioscuri, Sora 1984 (Premio pubblicazione); ‘Ipotesi di vita’, Lacaita, Manduria 1987 (Premio pubblicazione “G. Carducci”, Pietrasanta); ‘Nel sigillo della parola’, Piovan, Abano Terme, 1991; ‘Lettera a una pietra’, Confronto, Fondi 1992; ‘Il segno del gelo’, Perosini, Verona 1997; ‘Allegorie d’inverno’ Manni, Lecce, 2003; ‘Regalità della luce’, Sciascia, Caltanissetta, 2009.
Pingback: 11 Settembre dieci anni dopo | bluhost.info