Le cose nuove 2018
A P.P.P.
Due angeli a governare, ali tenere, sottili
di un volo leggero e veloce.
Un altro, inerpicato, imbianca,
carezza di calce un muro.
Nella piazzetta la pioggia taglia,
l’andatura piegata di una vecchia
rallenta l’urgenza del mondo.
Nessuno osa parola.
San Leonardo ha una piccola chiesa
nei vicoli di Galatone
con fiori di plastica e tovaglia da cucina
e Santa Lucia alluminio, a far confine con la strada.
È così qui, niente è nobile
niente è artificioso. Spontaneo sì, un po’ folle.
La macchina porta via ferraglie,
carica carica del Tempo
e i pozzi crescono illusi ormai di farci bere prima
d’affrontar le scale.
Una architettura antica, utile a chissà quale identità.
Non sappiamo più cos’è stato. Non sappiamo più!
Se, se tu potessi scorgerci adesso
sapere che aspettiamo.
Questo silenzio ubriaca, non trova voci e senso.
Tu, sapiente custode, col tuo allarme
fa sì che questa vena d’acqua torni di nuovo viva
e bere potremmo.
Dissetarci.
Che miracoli tu! Riempi!
Torna… Non puoi? Torna…
Prepotente, feroce, rinasci
basti tu, col tuo profumo, a farci puri
nella nostra nuova rabbia a puntellare
lo scrostato intonaco
dell’edificio sognato e mai sorto.
“Qualcosa (già sai! l’avevi detto!) è venuto
ha fatto allargare l’abisso tra corpo e storia,
ci ha indebolito,
inaridito, ha riaperto le ferite…”.
Tarda, oh! quanto, a trovar terra,
il seme della Passione.
*** *** ***
Da un combattimento
Novembre 2017 . Ospedale Vito Fazzi – Lecce
Penombra.
Le luci tagliano il corridoio,
questa “palestra di scommesse”
brucia gli occhi quando i neon sovrastano il giorno.
La luce, la luce… andrebbe studiata qui,
pensata, accordata col vedere e col vedersi.
Solo adesso in questa penombra tutto par vero,
possibile, al riparo.
Contenere l’evidenza,
lasciarsi al fato, al miracolo,
cucire la vita, stilla dopo stilla,
battito dopo battito
in un tempo che non consuma
e fa somma dell’infinito,
del tempo, dei passi fatti, dei desideri.
Di tutte le ore spese a cercare le ore.
***
I corpi nell’attesa
adesso, nella cuccia del sonno,
galleggiano o forse volano.
Il corpo di mio padre va all’indietro,
chiama il nome del fratello,
il corpo di mio padre non dà tregua,
né conosce tregua.
Nel colmo del fastidio
se la prende per un cerotto, un catetere, un sondino…
e aggiunge fastidio a fastidio l’intollerante.
Non sopporta nulla
e manco se stesso,
non credo si conosca.
Non credo che il corpo sia stato per lui corpo,
ligio e lindo com’era,
con la maschera da burbero…
***
Ti scrivo da un combattimento con la vita.
Volerla ad ogni costo, proteggerla. Averne cura.
Come fare quando graffia?
Quando indeterminata fa sfida, muta in dolore?
Quando dissolve il senso
e ricuce il bambino sul vecchio?
Quando ritrova il balbettio,
l’ahi del dolore e forse mai più l’oh dello stupore?
Come fare?
Come fare a dar retta a quelle mani.
Le muove, non le sente.
Le vuole, le reclama ma, non sono più sue.
Ti scrivo da un combattimento con la vita
lo sappiamo, qualcuno perderà.
E via via perderemo tutti.
Qualcuno resterà con il dono fatto
e forse in quel dono ci saranno tutti gli altri.
Chi ha mancato di segnar memoria
e chi semplicemente è stato a vivere,
solo quello, vivere e basta, natura di natura.
Siamo qui a celebrare il nascere,
quel giorno e tutto quello
che si è portato appresso:
le voci, i rumori, il camminare,
il guardare lesto dell’infanzia
e la corda dell’equilibrista per farsi al mondo,
all’altro, all’arte se è venuta,
al lavoro se è venuto, all’amore
e all’oltre che ci accoglie se chiamato.
Di tanto siamo, del nascere siamo, di quel troppo.
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Le cose della casa
2016 per L’archivio della superficie di Elena Campa.
Nell’inciampo trovò ciò che non trovo.
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Nelle cose della casa c’è
il “conto” del tempo
la memoria trattenuta nell’abitudine.
Certe volte
non ricordi più i numeri,
le stagioni e i riti e gli incontri
onorati, governati
con una caffettiera
o col servizio buono dei piatti (reliquia, nella credenza)
o con la tovaglia ricamata (ah! quanto altro tempo ancora in quelle mani creatrici)
o anche con quella scopa, poggiata li, nell’angolo.
***
Una scopa non è solo una scopa
se la pensi in quanto ti ha servito
per quanto ti ha accompagnato
nei giri di danza per far pulita la casa.
Una scopa non è solo una scopa
se la pensi per tutto e in tutto il tempo
che è stata la scopa della tua casa.
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Le cose della casa celebrano l’incontro.
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Il decoro della casa
segna lo stile d’ognuno
necessario e superfluo
scrivono le storie.
Ordine e disordine
nell’equilibrio
rendono regale il consueto
e si coltiva il piacere delle cose
ci s’accorge, nella cura, di tenere viva la vita.
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Lui aveva la sua forchetta,
l’aveva scelta con cura e poi, c’aveva lavorato
con pazienza
ne aveva allargato le estremità.
Con precisione, come si fa per un oggetto d’arte.
La usava per i rigatoni, la sua speciale forchetta,
per la pasta di taglio grosso, riusciva meglio.
E quanta grazia nel manovrare dentro il piatto.
Lentamente, lentamente con la sua “furcina” portava alla bocca il cibo.
Questo il suo speciale gusto…
Lentamente, lentamente…
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Mauro Marino è nato a Lecce, nel Salento, il 18 settembre 1956. Operatore culturale, allievo e collaboratore del poeta Danilo Dolci, dal 1999 dirige a Lecce l’attività dell’Associazione Culturale Fondo Verri dedicata allo scrittore salentino Antonio L. Verri. Giornalista pubblicista è stato direttore del quotidiano del Salento, il Paese nuovo. Impegnato sul fronte della prevenzione e della cura del disagio esistenziale progetta e conduce laboratori di espressione creativa nell’ambito delle terapie integrate del Centro per la Cura e la Ricerca sui Disturbi del Comportamento Alimentare DSM Asl Le. Numerose le sue pubblicazioni e le curatele editoriali e artistiche. Attualmente è direttore artistico per il Polo BiblioMuseale di Lecce della rassegna “ExtraConvitto”.