Il Bosco Sacro è certamente un’opera unica nel panorama del teatro e della poesia del Novecento. Questo testo di Edmond Rostand, pubblicato per la prima volta nel 1908 (rappresentato come pantomima) e che finalmente esce in lingua italiana grazie alla traduzione di Stefano Duranti Poccetti, mette insieme mito e contemporaneità. Porta all’incontro tra gli dèi e una FIAT 35-45 HP che giunge in una foresta mistica abitata da presenze divine che saranno così meravigliate dal veicolo da volerlo addirittura provare. Il testo si fa perfetta allegoria della Parigi abitata dall’Autore, attenta al passato e perennemente devota al progresso.
Il bosco sacro
L’ombra di tre cipressi sull’erba avanza.
Mentre in lontananza s’argenta un cielo di Grecia,
presso una sorgente che scola, sprofondando in stagni,
gli dèi si sono seduti su un bosco d’ulivi.
È l’ultimo dei boschi sacri.
Il mare tranquillo
s’allunga sul fondo, ancora più bianco intorno a una penisola.
Si scorgono, lievemente sfiorati da un po’ d’aria,
i glauchi olivi biancheggiare come il mare.
Degli alti e riflessivi allori, splendidamente cupi,
sono vicini ai meno alti allori dove rose crescono,
contraendo il fogliame con nero sdegno.
Gli dèi restano seduti come in un giardino.
Sono là, familiari, armoniosi, pacifici,
senza sforzarsi d’essere invisibili.
Giunone, riconoscibile dalle belle pieghe del collo,
quanto per lo scettro d’oro da cui emerge un cuculo;
Venere pare una statua, vestita
in modo scultoreo con biancheria bagnata;
Marte, dio della battaglia; Apollo, dio del giorno,
il cui arco nell’aria appare più grande di quello d’Amore;
Giove, di cui, questa sera, il sopracciglio s’aggrotta
e che lascia cadere, nel prendere dal rovo una mora,
il fulmine scintillante ai due estremi;
Minerva, dagli occhi più fieri degli occhi dei gufi,
appare sotto gli altri due occhi vuoti e senza pupille
ch’ella ha tolto al cielo, levandosi la visiera;
Diana, di cui la salvia ama lo scarpone,
la quale porta uno stretto diadema; Vulcano,
che, facendo progetti d’arte e di meccanica,
gratta la sua fronte testarda sotto il berretto conico;
e Mercurio, che sente fin dentro il cervello
battere gli alettoni ch’egli ha sul cappello.
Tutti i grandi dei sono lì; tutti, eccetto Nettuno
e Vesta, importunata sempre dalle cose piacevoli,
e Cerere, che si occupa delle spighe imbiondite;
ma tre dei più piccoli rimpiazzano gli assenti:
Pan, che non è mai lontano da un bosco d’Arcadia
e che dalle canne crea sognanti melodie.
Il nettare che circola è versato da Ebe,
mentre Cupido si concede a giochi da bebè,
che sono poco rassicuranti per la gelosa Giunone…
Sicché gli dèi, tutti insieme, risultano dodici.
Edmond Rostand, Il bosco sacro. Le Bois Sacré, traduzione di Stefano Duranti Poccetti, prefazione di Ombretta De Biase, Nulla Die Edizioni, 2021
Dall’introduzione di Stefano Duranti Poccetti
Che cosa ci fa una FIAT 35-45 HP in una mistica selva, circondata da dodici Dei dell’Antica Grecia? – Apollo, Giove, Mercurio, Venere, Giunone, Cupido, Pan, Vulcano, Ebe, Minerva, Diana, Marte. Potrebbe sembrare una trama da terzo millennio, invece Il bosco sacro è una pantomima su poema di Edmond Rostand scritto nel 1908. Ormai l’Autore è affermato, forte del grande successo del suo Cyrano de Bergerac, debuttato nel 1897 al Théâtre de la Porte-Sain-Martin, con quattrocentodieci repliche a seguire. Il testo in questione è figlio di quella metropoli stimolante, industriale, dove c’è tanta voglia di sperimentare e dove le nuove creazioni della meccanica possono entrare in connessione con il divino, che a sua volta ne rimane affascinato e stupito, tant’è vero che, al suo contatto, si rende frivolo, bramoso d’avventura, curioso di relazionarsi alle cose umane, che siano queste utili e futili, fino a giungere al finale, quando gli Dei vorranno testare l’auto, brillantemente riparata da Vulcano, per fare un giro, mentre la coppia addormentata, cullata dai sogni forgiati da Morfeo, è inconsapevole di tutto, ma si meraviglierà, al risveglio, di ritrovare l’auto riparata, visto che erano stati fermati da un guasto.
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Edmond Eugène Alexis Rostand è nato a Marsiglia il 1º aprile 1868 ed è morto a Parigi il 2 dicembre 1918. È conosciuto in particolare come drammaturgo e la sua pièce più famosa è di certo Cyrano de Bergerac. Fu anche poeta, scrivendo plurime raccolte, come: Les Musardises, Ode à la musique, Pour la Grèce, Un soir à Hernani, Le Vol de la Marseillaise, Le Cantique de l’aile.