Antonio Moresco, “La Vita nova di Dante”


NOTA DI LETTURA DI ALBERTO FRACCACRETA

La Vita nova è un libro inclassificabile. Ricco e strano, teologico e cortese, psicologico e scolastico. Vi si narrano le (sparute) vicende terrene tra Dante e Beatrice in quarantadue capitoli in prosa, inframmezzati da trentuno componimenti poetici (prosimetro). Il poeta incontra la donna amata per la prima volta a nove anni e nove mesi (lei nove anni e tre mesi: da notare l’abnorme simbologia numerica con valore cristologico). La rivede diciottenne: l’effetto è sempre da elettroshock, il sogno — nemmeno a dirlo — atroce (poi sceverato con rigore allegorico dal ‘primo’ degli amici, Guido Cavalcanti). Qui Dante azzarda una mossa fatale: guarda, ‘corteggia’ cioè, le altre, le donne dello ‘schermo’ — per non compromettere Beatrice o per attizzare una sua presunta gelosia? Fatto sta che lei non lo saluta più, non lo degna della sua salus, saluto e salvezza, saluto salvifico. È qui però che emerge lo scarto decisivo con lo Stilnovo: Dante non si arrende alla casistica della donna che, con la sua bellezza irraggiungibile, annienta le facoltà psicologiche dell’amante infelice. Nasce la poetica della loda, è il momento (solenne) di Tanto gentile e tanto onesta pare. È il consentaneo attimo di Vede perfettamente onne salute, in cui è detto: «La vista sua fa onne cosa umile». Chi posa gli occhi su questo autentico ‘miracolo’, Beatrice, diventa ‘buono’, si converte. È toccato dalla Grazia. Dante così non ama per essere riamato, ma ama d’amore. Un amore più grande, che tocca le corde del creato, dell’essere lei creata e segno vivo del creatore, del riscattare una salvezza priva di rapporto oggettuale, priva d’ogni commercio. Il cerchio si sfalda, il circolo s’interrompe. Trasformando la destinataria della poesia, Dante trasforma sé stesso, perché da lei — originariamente — trasformato. E va oltre, nonostante la di lei scomparsa. Ecco allora che non può dirsi della sua aura gloriosa nulla che abbia residui contingenti: ecco l’idea della Commedia, che scrosta ogni vestigio umano dalla lirica che pure effigia Beatrice, figura Christi, in un gioco, sempre più rischioso, di potenzialità espressive sul limite del dicibile, sempre alle soglie estreme del reale e della luce (come già s’intravede e s’intrude nella Vita nova).

Come si inserisce il commento/racconto di Antonio Moresco in questo schema di lirica esistenziale? Be’, innanzitutto prova a calarlo nel contesto odierno: vale a dire: prova l’impossibile. «Con la Vita nova — osserva Moresco — Dante scrive un’opera che, fin da subito, possiede un’originalità e bellezza imparagonabili, per la compresenza di ingenuità e sofisticatezza, di trauma e di trascendenza, di allegoria e stigma, di amore e morte, per la sua natura scortica e autobiografica che diviene parte integrante di una mossa poetica ulteriore, per l’invenzione dell’amore scaraventato come una bomba nell’immaginario di un’epoca, di una cultura e di un popolo».

La Vita nova di Dante è organizzata secondo una struttura bipartita: prefazione a parte, c’è una Vita nova intercalata di citazioni dantesche e riflessioni dello scrittore mantovano con il racconto nel presente di un ragazzo (un adolescente dostoevskiano) che incontra la sua Beatrice; e infine la Vita nova nuda e cruda. È un’operazione di ‘rivivificazione’ dell’opera e, insieme, di ritorno all’opera, ritorno primigenio alla poesia. Ha ragione Moresco: «Questa lacerazione tra esistenza ed essenza, questo strappare la donna ideale da quella reale, con tutti i suoi aspetti di concettualizzazione culturale e stereotipi letterari via via replicati, in Dante nasce anche da un’esperienza personale bruciante e da una morte reale. In lui si sente lo strappo fondativo originario». Ergo: Beatrice è vissuta davvero, c’era. Quella storia è reale. (Non ce ne voglia Rémy de Gourmont.)

Dante Alighieri — Antonio Moresco, La Vita nova di Dante, 2021

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Dante Alighieri è nato a Firenze nel 1265 ed è morto a Ravenna nel 1321.

Antonio Moresco (Mantova, 1947) è uno scrittore italiano. Tra le sue opere ricordiamo la trilogia Giochi dell’eternità – composta da Gli esordi (2011), Canti del caos (2018) e Gli increati (2018), tutti ripubblicati da Mondadori –, La lucina (Mondadori, 2013), L’addio (Giunti, 2016), L’adorazione e la lotta (Mondadori, 2018), La mia città (nottetempo, 2018), Lettere a nessuno (Mondadori, 2018), Canto degli alberi (Aboca, 2020), Chisciotte (Sem, 2020).

 

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