La ristampa di “Cuore” di Beppe Salvia

Beppe Salvia

Interno Poesia ristampa l’attesissimo libro di poesie di Beppe Salvia Cuore diventato introvabile, che uscì postumo nel 1987, a cura di Arnaldo Colasanti a circa tre anni dalla tragica scomparsa dell’autore.

Dall’introduzione
di Sabrina Stroppa

 

[…]

All’inizio del 1984 escono su “Braci” sedici poesie sotto il titolo di “Cuore”: diventerà il titolo generale di un libro che Salvia prepara nei primi mesi del 1985, e che raccoglie una serie di poesie pubblicate in rivista tra il 1979 e il 1984.

La sezione eponima comprende una delle sue liriche più belle, “A scrivere ho imparato dagli amici”; e saranno proprio gli amici dopo la morte di Beppe, avvenuta il 6 aprile dello stesso anno, a ritrovare i dattiloscritti preparatori tra le sue carte. Il libro apparve solo alla fine del 1987, postumo, per l’editore rotondo, a cura di Arnaldo Colasanti, come primo numero della collana di poesia “Novelettere” da lui diretta. Nella premessa, Colasanti indicavano i versi di Salvia “lo spalancarsi di una potenza e di una unicità lirica” sostenute da “una lingua di magistero, di studio delle cose e degli uomini”. Gino Scartaghiande, che contribuì all’allestimento del volume, ragionando su quella “grande poesia” degli anni Ottanta e Novanta che ebbe le sue radici nei Settanta parla di cuore come di uno dei ‘veri libri’ dell’epoca: “un libro straordinario, miracoloso, impensabile e dieci anni prima”.

Il volumetto ebbe, subito, almeno due lettori di eccezione. Pietro Tripodo, in una presentazione del luglio 1988, indicava in “Cuore” la capacità di “disporre diversamente da prima l’attuale, giovane universo della res publica literatum: leggendo minutamente i versi, sottolineava l’affollarsi di una “iperattività retorica” che è “un tempo risultato e sostanza di poesia”, una “rabbia della forma” espressa da varie insistite “Tessiture formali”, sole in grado di sopportare “l’urto nervoso […] di un’intollerabile urgenza”.  Andrea Zanzotto, riconoscendo nell’autore una voce importante tra quelle dei giovani poeti che stavano facendo un “salto qualitativo […] verso nuove forme”, ravvisava nella poesia di Salvia una “sconcertante luce” capace di creare un “inquietante sfondo di allontanamento”, e insisteva sul quid arduo e sfuggente che leggeva nelle sue prove più composte.


Pensando al titolo, passibile di un sospetto di compromissione con il patetismo di De Amicis, Zanzotto lo definiva “volutamente provocatorio, in un certo senso”. Non so, ammetteva, “se sia stato dato dai redattori che hanno curato questa pubblicazione, o se salvia avesse già ordinato queste carte con titolo simile”.

 

“La sua poesia, che ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa […] di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata fra gli uomini e la volontà di riprendere contatto con il “cuore” del mondo. (Andrea Zanzotto)
Il titolo era stato dato effettivamente dall’autore: lo si legge in cima all’indice manoscritto. Nella sua intenzionale e provocatoria semplicità conteneva “tutta la novità sfolgorante e scandalosa” della poesia di Salvia. L’aggiunta del sottotitolo “cieli celesti” tra parentesi- era il titolo della sezione più cospicua del libro – è il frutto, come ricorda Arnaldo Colasanti, di un “compromesso nato dalle rimostranze di Rocco Salvia”, fratello del poeta, che “non amava il titolo semplicemente Cuore, nell’idea che fosse sentimentale”, e chiese di modificarlo in vista della pubblicazione. In realtà la giunta non lenisce di molto il peso della novità di quel titolo, perché anche il ribattimento fonico di Cieli celesti, e l’aggettivo desuete e spirituale, rimandano a una certa maniera, insieme semplice ed espressionista, e intenzionalmente ‘antica’, che rappresenta la cifra distintiva della poesia di Salvia.

Da CUORE

INVERNO DELLO SCRIVERE NEMICO

 

 

Ma di questo assai sereno annoiarsi
quanto si garba l’animo mio, quale;
distratto, in questi giorni così arsi,
è e conviene pure se quest’ale
prendo e mi volo per i riarsi
sentimenti esangui, esposti§
alle mature stille di flutti tersi
che lunga nella sabbia arsa da le
lontane rive spande, pure, sento
contrarsi un fremito, e assopito
mi sveglio e voglio ancora il canto
di questa qualche distratto séguito
a distrarre da me come se un canto
qual è, mai forse udito, è quel che medito,
sa dirmi cose care a mio mal vezzo.

***

Ahi, che stanchezza mi giunge adesso,
addosso, e mi sottrae il cuore mio,
tutto quel che non fosse inganno, ressa
di esorcismi, ma la grazia del dio,
tutto che il sole m’ha nutrito; Essa
Ingenera vana paziente veglia,
sa di morte sensi mentre bellezza,
e pare farmi testo e invece, ch’io
sappia, mi dice, quanto non può Vero
farsi salute, corpo tanto forte,
cuore di zucchero, mente di pietra.
Così nulla accade, mi dice, e il Vero
verità franca e cortese induce a morte;
nulla tradirà l’arguta pietra
premeva, che non muove o si desta.

***

Chiude l’alba una notte è troppo fredda,
apre le porte crette al nuovo giorno
che saprà d’ autunno,  l’inizio d’anno
nuovo, ottobre s’inghirlanda, s’infredda
un nuovo aire che fratello all’
occaso di quel giorno inusato ch’ora
palesa un suo destino pretto, e l’altro
voglio misurarla, duna malvagia ora
il tocco, e s’aprono soffitti incerti
nel cielo, chiudono le corolle i fiori,
ora si misura il metro dei certi
intendimenti, sa apre il sipario goffo,
al boccascena appaiono mestizia
e il canto dolente di un’arietta buffa.

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