da “Tempo d’opera”, Il ramo e la foglia edizioni (2022)
L’estate della betulla, un buon inizio nella veglia,
quello che mi è passato per la testa, un istante,
lei si è decisa a stare ferma, immobile alla fotocamera,
lei che muove solo lento il braccino al vento.
Ma non c’è vento e sta ferma, solo un po’ per l’acqua
improvvisa venuta giù a diluvio l’altra sera,
o stamattina presto ancora dentro il sonno.
Tengo caro il verde del giardino da quel lato
e nessun torto a questo dal mio studio,
già troppo celebrato, e il leccio capirà
che c’è un tempo per tutti e il tempo è caro,
l’amore muove il tempo, muove me,
muove la pace già precaria dello stare
e se leggo il giornale già il mattino
scivola via tra un assedio e un tremore,
già il tempo che misuriamo a luce
frana e si sfalda in infinite ombre.
*
E come all’ultimo balzo del mattino sparisce
la morte del diluvio notturno. È tutto un rifiorire,
tremare in tua presenza.
E mi alzai, con la convinzione di me,
del tuo ramo al mio innamoramento.
Scendi, fai, e che la forza mai non manchi,
fai, poi rispondi al tuo calo di forze.
Mai noi potremo dire abbiamo solo
per poco, solo per poco rinunciato
a vivere. Mai che la vita non sia
o ci abbandoni.
*
È una pioggia lenta, l’acqua che cade, vedi
e non possiamo farci niente, andiamo verso casa
e ci sono le cose che accadono e non possiamo
farci niente, temere, per quella forza del pensiero
che ci tira avanti. Ragiona dunque sul fatto che non possiamo
farci niente, come il tiro quando vai troppo lontano,
decidi di riprovare nel cammino che va da casa alla
prima stazione di sosta, tremeresti ancora se non fosse
per amore, tutto l’amore che hai radunato in te, tutto,
e quell’odore di terra bagnata che ti rimanda al primo
ardore.
*
Quel vaso di felci, non lo guardo mai, ed è come se stesse
lì da un’eternità, riappare e a ragione riprendo il filo
del discorso, a volte il caso, è perfetto nel suo ordine.
Me lo dicevo tra un silenzio e l’altro. Vedi, non basta
mai la scoperta, è vita, ed è lì davvero da tempo,
ricordo, basta pensarci, stavolta è stato in una pagina
di Naipaul, leggere «vasi di felci». La vita degli oggetti
sta tutta nel pensiero che li fa vivere. E mettere nei versi
una dimenticanza, ora è viva, e per un po’ andrà bene così,
senza un sentimento particolare, ma solo una realtà
oggettuale.
Alberto Toni (1954 – 2019) è vissuto a Roma, dove ha insegnato materie letterarie nelle scuole. Ha esordito come poeta nel 1987 con la raccolta “La chiara immagine” (premio L’isola di Arturo – Elsa Morante), a cui sono seguite “Partenza” (1988), “Dogali” (1997, premio Sandro Penna), “Liturgia delle ore” (1998, premio Eugenio Montale), “Teatralità dell’atto” (2004, premio Pasolini), “Mare di dentro” (2009), “Alla lontana, alla prima luce del mondo” (2009), “Democrazia” (2011), “Vivo così” (2015), “Il dolore” (2016), “Non c’è corpo perfetto” (2018). Una scelta delle sue poesie, “Selected Poems 1980-2010”, è apparsa in traduzione inglese negli Stati Uniti (2014). Ha pubblicato inoltre alcuni libri in prosa: “Con Bassani verso Ferrara” (2001), “Quanto è lungo il sempre” (2001), “L’anima a Friburgo” (2007), “Livorno” (2016). Come critico letterario ha collaborato a numerose riviste e periodici e ha scritto testi per il teatro.
“Tempo d’opera”, Il ramo e la foglia edizioni (2022), è la sua ultima raccolta poetica pubblicata postuma.