Presentazione del libro postumo di Alberto Toni

Nota al testo

di Roberto Dedier

Al momento della sua scomparsa, nell’aprile del 2019, Alberto Toni stava lavorando a un nuovo libro di poesie, che aveva provveduto a riportare in un file in formato Word, denominato «Nuove poesie 2018-2019».

A dispetto della genericità del titolo, il file non conteneva dei semplici testi in ordine cronologico di stesura o di trascrizione, ma una vera e propria raccolta per la quale erano stati ipotizzati il titolo Tempo d’opera e una scansione testuale, che a una più attenta lettura si fonda su alcune evidenze contenutistiche.

Sono presenti, infatti, citazioni, eserghi, allusioni che nel loro insieme costituiscono una fitta rete non solo intertestuale, più o meno esplicita, ma anche interculturale, specie nei confronti dei linguaggi dell’arte.

L’autore, inoltre, aveva abbozzato una possibile ripartizione in sezioni, restaurando così una pratica che era rimasta estranea a Vivo così (2015), ma che era stata ampiamente ripresa ne Il dolore (2016) e in Non c’è corpo perfetto (2018) e che ha quasi sempre caratterizzato il suo modus operandi.

Ad apertura del libro, infatti, era presente, dopo il titolo, l’occhiello «Tempo 1». La compattezza e la coerenza del testo, nel suo insieme, non hanno consentito di individuare i possibili termini di chiusura o apertura di nuove sezioni, con ogni probabilità da intitolarsi «Tempo 2» etc., né di stabilire quante potessero essere nelle idee del poeta. Il quale, non avendo potuto portare a termine la revisione del testo con la cura estrema che gli era consueta e che aveva dimostrato in altre occasioni, non ha lasciato segnalazioni in merito.

È certo che Tempo d’opera, per quanto concluso, fosse rimasto nel computer ancora in una fase progettuale; non embrionale, ma ancora non del tutto stabilita e soprattutto senza alcuna proiezione editoriale.

Si può ipotizzare che la non prossimità di una pubblicazione (del resto era appena apparso Non c’è corpo perfetto, che reca il finito di stampare del dicembre 2018) non comportava alcuna premura di definizione; al resto ha pensato la malattia, per cui il file ha necessariamente comportato alcuni interventi correttivi, invero minimi.

Sono stati emendati evidenti refusi rispondenti ad altrettanti errori di battitura, nonché la punteggiatura, perlopiù per le stesse ragioni; sono stati uniformati gli spazi tipografici tra i versi che vanno a costituire strofe diverse; sono stati sciolti dubbi interpretativi (e di conseguenza di grafia) su alcuni omografi.

L’interruzione di pagina ha risolto le rare incoerenze circa gli incipit e gli explicit di alcuni testi di più ampio respiro strutturale.

Quello che consegniamo ai lettori è dunque un testo che riproduce l’ordine del file, con la sola responsabilità, in assenza di altri testimoni e di altre indicazioni interne, di aver escluso l’occhiello «Tempo 1», rinunciando così a stabilire sezioni sicuramente aleatorie.

Vorrei infine ringraziare quanti hanno consentito che l’ultimo libro di Alberto vedesse la luce. Patrizia La Via, anzitutto, che non solo mi ha affiancato nella revisione del testo e nella correzione delle bozze, ma che ha atteso che superassi remore e perplessità dovute a un eccesso di vicinanza; Roberto Maggiani e Giuliano Brenna, che non hanno invece esitato ad accoglierlo nelle loro edizioni e a seguirlo con amorevole attenzione.

ESTRATTI

Voi che siete già, voi, dunque, gli smarriti al dubbio,
alla pioggia, alla neve, al sole timido di primavera.
L’arte che infine consiste nel muto universo parallelo,
e il documento, la mano che accarezza il sogno,

mentre tu guardi la scrittura, il segno che decifra,
tramonta all’ultimo di un giorno vuoto e perso.
Potreste forse dire che il nostro agire vi spaventa?
Conforta? Tiene fede alle promesse fatte, come

l’impronta mia sulla fronte ogni volta più dura?
Troppo nel gioco in giostra che fa felice l’infante,
troppo anche il dire, e converrebbe non contarli più
gli anni e fingere sentimenti nuovi e belli.

Tenevamo gli uni per gli altri? Fino all’ultimo
ho sperato, imparavo, c’è tanto da imparare
nell’immediato, tanto da ritrarlo a volte
nei colori più accesi a un passo, solo a un passo

dal vero. Tutto perché ci sia luce e verità,
qualcosa che ci dica dov’è il luogo e che luogo,
se la strada, se un albero, se soltanto l’acqua
del trasporto, del bere, del corpo lavato e puro.

Mi porterò avanti in tutto questo, ma soltanto
con il pensiero e la domanda, figura del prendere
o lasciare. Del resto non c’è altro, niente che
oggi sia già dato, anche la mia misura all’occhio

che a guardare forse non ha guardato, e non sa.
Potremmo non disperderci mai. Resta per ora
un morso che stringe, un nodo, la postura di chi
tenderebbe la vista, se soltanto sapesse farne uso.

E dove allora? Con quali parole, se la misura
che incide non ha presa. Porta nell’ultima radice
una pura intuizione, bellissima fede: un cielo.

***

Il cipressetto infantile sta sul mio confine, proprio
in angolo, cresciuto sbanda, vuole parlare,
dice che è l’ultimo sole della mattina.
Spiegavo la natura a una mente
che non vuole dormire, le mani
al primo freddo, se tu esci puoi
contare i primi passi, le prime
consolazioni. Che gli diremo,
di tutto questo tempo che vola
via? Che prospettiva raggiante
quando gli occhi ritornano
alla stessa immagine ossessiva?
Ieri era ieri in tutt’altra maniera,
una battuta che non torna, più
sonora, meno sonora. E lui che
fruga nella cassetta della posta
è ora in cerca di un messaggio.

***

Nessuno ci vedeva e noi vedevamo tutto
Mario Benedetti

 

Difendimi dal sospetto che la mente indaga.
Difendilo, è quell’antico riprendersi dopo la fatica,
è il destino dell’opera che supera ogni incertezza.
Vita, una vita senza riposo, toglieremo il superfluo
per sostare a lungo di primavera in primavera.
Come oggi. Che sia la prima aria fresca del mattino
e il canto gioioso degli uccelli, la natura
quando conversiamo e che resta.

Ci sono negli altri misteri insondabili. E noi,
mi dedicava un po’ del suo tempo, quanto basta
per dirlo amico, lui, lo riconosciamo perché
la parola è l’incanto che resta. Difendiamolo,
i miei viaggi di parola, qualcuno lo diceva
e i suoi.

Siamo dentro un mistero antico, non soltanto
il viso caro
che perdiamo.

da “Tempo d’opera”, Il Ramo e la Foglia Editore, 2022

 

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