Adam Zagajewski
a cura di Luigia Sorrentino
Adam Zagajevski, saggista, scrittore e poeta, è nato a Leopoli (che ha fatto parte dell’ex Unione Sovietica e ora si trova in Ucraina) nel 1945. E’ considerato con Wislawa Szymborska il maggiore poeta polacco vivente. (Foto di Silvio Lacasella).
Zagajewski è noto anche per il poema “Try To Praise The Mutilated World” – “Tentativo di lode al mondo mutilato” -uscito a puntate sul periodico statunitense “The New Yorker” e diventato celebre dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Candidato al Nobel per la Letteratura, Zagajewski ha una voce che parla dallo sfondo di immense devastazioni contaminate dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Shoah. Aveva solo quattro mesi quando la sua famiglia fu deportata in Polonia, paese di cui era originaria. Nel 1981 a causa della legge marziale polacca (quando il governo della Repubblica Popolare limitò drasticamente la vita quotidiana con l’introduzione della legge marziale, nel tentativo di schiacciare l’opposizione politica guidata dal movimento di Solidarnosc) Zagajewski fu costretto all’esilio e si rifugiò in Francia, a Parigi. Dal 2002 è tornato a vivere in Polonia. Attualmente risiede tra Cracovia e gli Stati Uniti e insegna all’Università di Chicago.
La sua autobiografia “Tradimento” è stata pubblicata dalla casa editrice Adelphi nel 2007, (traduzione di Valentina Parisi). La stessa casa editrice ha in corso di pubblicazione (per il 2012) una scelta significativa dell’intera opera poetica di Zagajewski.
Intervista Adam Zagajewski
di Luigia Sorrentino
Accademia americana di Roma
17 marzo 2011
In “Tradimento”, lei scrive: “La vita è tradimento. Chiunque possegga un’anima immortale, e abbia ricevuto la vita, è un traditore.” Sembra proprio che in questo libro per lei sia impossibile venire al mondo fuori della condizione del ‘tradire’ e ‘dell’essere traditi’.
Perché la vita è tradimento?
“Credo che abbiamo un innato desiderio di perfezione dentro di noi, ma la vita non è mai perfetta come l’idea che abbiamo di essa. Per me questi due livelli sono interessanti. Da una parte la nostra vita interiore, che forse non è perfetta, ma è ‘ideale’, e poi l’altro livello, quello quotidiano in cui siamo corrotti e non possiamo seguire i nostri ideali. Quelli che scrivono letteratura, e più in generale quelli che si occupano di arte, sono consapevoli di questa discrepanza tra la vita interiore e la vita economica o familiare. E’ un tradimento, non il peggiore, ma comunque un tradimento.”
Lei scrive: “Il mondo interiore, il regno assoluto della poesia, ha la caratteristica di essere inesprimibile.” E allora, che cosa succede se quel mondo interiore e inesprimibile, aspira soprattutto ad esprimersi? Lei dice: “Usa uno stratagemma. Finge di interessarsi e di interessarsi molto alla realtà esterna.” Con tale affermazione fa crollare l’idea che si ha dei poeti: spesso fotografati come esseri fragili, insicuri, poco realistici, sognatori…
Quale stratagemma utilizza il poeta per esprimersi?
“Questo frammento ha un tono ironico, non credo totalmente a quello che ho detto. Mi sembra che a volte i poeti o i romanzieri credano che quello che hanno da dire è difficile da esprimere e quindi quando succede qualcosa nel mondo reale nel libro si trasforma in una catastrofe o in un elogio. Non sempre lo scrittore è coinvolto in prima persona in quello che scrive e allora si usano questi stratagemmi, ovvero utilizzare degli eventi che siano intellegibili, empirici, fisici, concreti, degli eventi che siano totalmente tuoi.”
Ci parla dell’ineffabile ‘cinismo’ della poesia e della paura che ha la poesia di svelare il proprio “segreto”… Poi dice che la poesia ha un cuore freddo… ci dice che la realtà capirà improvvisamente di essere stata soltanto un pozzo inesauribile di metafore e scomparirà. E la poesia resterà sola al mondo, muta, vuota, triste e incomunicabile…
Che significa? Davvero la poesia ha un cuore freddo? Davvero la poesia teme che qualcuno possa scoprire il suo segreto?
“Credo che nella poesia ci siano due aspetti. Il primo è il cuore di pietra. Quando, ad esempio, si scrive un elogio funebre, quando qualcuno che ami muore, il cuore non rimane insensibile e si sente concretamente l’affetto e la tristezza, ma, allo stesso tempo, se si vuole scrivere una buona poesia, bisogna pensare anche alle caratteristiche tecniche e trovare delle buone metafore. Non basta dire: ‘come sono triste!’ Quella è una cattiva poesia. Bisogna trovare un modo per trasmettere il messaggio e questo approccio formale è freddo. Quindi c’è l’aspetto emotivo, dato da un sentimento o da una sensazione, e poi c’è questo ‘interesse tecnico’ molto freddo. Come posso esprimermi, come posso dire una tale cosa in modo che anche gli altri la capiscano?”
A proposito del male, lei dice che “è impossibile cogliere l’essenza del male”. Perché l’uomo non riesce a distinguere, a riconoscere, l’essenza del male?
“Mi piacerebbe sapere perché non conosciamo l’essenza del male. Ci sono molte teorie ma sono tutte incomplete. La migliore forse è quella che parla del peccato originale, ma non è una spiegazione è solo un’affermazione. In fin dei conti non sappiamo come comportarci. Ogni volta che cerchiamo di costruire un sistema sociale migliore, delle città migliori, il male non sparisce. Mi sento sempre impotente e non so cosa fare. Non sappiamo cos’è il male.”
A proposito di Karl Marx, lei scrive: “Aveva un suo modo di trattare la sofferenza: la inseriva in una prospettiva scientifica. Per questo dormiva tranquillo. E sonni altrettanto tranquilli poterono e possono dormire tanti marxisti del pianeta Terra e dei satelliti circostanti.”
Chi sono i marxisisti d’oggi? A chi pensava quando ha scritto queste parole? Chi sono quelli che inseriscono oggi la sofferenza in una prospettiva scientifica e dormono – continuano a dormire – sonni tranquilli?
“Non so chi siano i marxisti oggi. Quando arrivò Hitler e il nazismo, molti marxisti affermarono che tutto era successo a causa della lotta di classe, ma non è così, perché non è possibile spiegare il nazismo attraverso le categorie marxiste. Non so se oggi ci siano ancora persone convinte che si possa spiegare il mondo solo con la lotta di classe e con l’abolizione della proprietà privata. Ci sono dei posti al mondo, come l’America latina, alcuni paesi molto poveri, dove il sogno marxista convince ancora, ma quelli che hanno vissuto l’esperienza del comunismo, che era il compimento della dottrina marxista, sanno che Marx non ha risolto i grandi enigmi del mondo.”
Questo libro opera per figure di pensiero, perché induce continuamente a una riflessione e per poterlo apprezzare bisogna leggerlo più di una volta. Sembra il libro scritto da un filosofo, ma lei è un poeta… o forse è anche un filosofo?
“Non sono un filosofo, non riesco a pensare in modo astratto. Ci provo a volte, ma credo che il pensiero abbia bisogno di immagini, sono un poeta che pensa. Non sono in grado di immaginarmi delle categorie filosofiche, ho sempre bisogno di un’immagine concreta, di un volto, di un essere umano, del tempo, dell’ambientazione. Il filosofo dimentica le cose concrete. Non voglio essere un filosofo, ma a volte sono geloso e mi chiedo perché non riesco a pensare in modo astratto.”
Mi sembra che lei metta all’interno della poesia figure di pensiero. Intendo dire che anche i suoi versi sono frutto del pensiero.
E’ corretto dire che la sua poesia è anche una riflessione filosofica?
“Non credo che le mie poesie siano filosofiche o presentino riflessioni filosofiche. Forse sono costruite intorno ad un interrogativo filosofico, ma nessun filosofo accetterebbe le mie poesie come un saggio filosofico. Io sono più interessato alle immagini, mi piace creare un’atmosfera, una metafora. I filosofi amano creare immagini astratte, io no. Forse in me ci sono alcune caratteristiche del filosofo, ma propendo molto più per la poesia.”
In realtà lei si laurea proprio in filosofia… e allora, come giunge alla poesia? E perché sceglie proprio la poesia?
“Quando ho studiato filosofia ero molto giovane. Non finivo mai i testi che dovevo leggere. Iniziavo con tutte le buone intenzioni e leggevo Kant o Cartesio, ma non riuscivo a finire i libri, la mia fantasia mi portava altrove. A margine delle pagine scrivevo delle poesie, oppure usavo quello che leggevo nei libri di filosofia come ispirazione, ma non ero fatto per la filosofia. Alla fine mi sono laureato, ma da ragazzi non è difficile farlo, però sapevo che il mio futuro non ero la filosofia. Ero troppo rivolto verso la realtà, verso un momento di estasi piuttosto che verso fredde elugubrazioni.”
Che relazione c’è tra il pensiero (proprio del filosofo) e l’ispirazione (propria del poeta, dell’artista?)
“Credo che siano due cose diverse. Non so quali siano gli elementi del pensiero filosofico perché io non ce l’ho, ma quando si leggono i filosofi contemporanei come Heidegger, sembra di leggere delle macchine, è tutto così freddo, manca l’estasi della scrittura. Nella poesia c’è sempre la combinazione del caldo e del freddo. L’ispirazione è una cosa che ti viene data, non la si controlla, arriva come un dono. I filosofi, invece, sono proprietari del loro pensiero, mentre i poeti non sono padroni di quello che fanno.”
In tutta la sua opera è presente il tema del viaggio, (nasce a Leopoli, in Ucraìna) ma poi va a vivere a Parigi per insegnare all’università di Chicago. Quindi nella sua opera è presente il tema del viaggio, da un lato, e dell’estraneità, dall’altro. Quasi che lei, per tutta la vita, avesse cercato una terza patria… L’ha trovata, infine, la sua patria?
“Quando ero un bambino la mia famiglia ha lasciato la città di Leopoli, che prima ha fatto parte dell’Unione sovietica e ora si trova in Ucraina. Mi sono trovto ad essere un migrante giovanissimo, avevo solo 4 mesi. A lungo ho avuto la sensazione, e a volte ce l’ho ancora, che tutti i posti dove ho vissuto non fossero del tutto miei. Cracovia, ad esempio, è una città bellissima e la amo, ma non è del tutto mia. Fortunatamente questo cambiamento mi interessa… Non mi sto lamentando, badi bene. Ho vissuto 20 anni a Parigi e molti anni negli Stati Uniti ed è stata sempre un’avventura. Tuttavia per me questo resta un filone da esplorare ed è sempre presente nelle mie opere. La ricerca della madre patria… Lei mi ha chiesto se ne ho trovata una terza e in certo senso sì, l’ho trovata attraverso la lettura e la scrittura, ma si desidera sempre qualcosa di più ‘sentimentale’. Inoltre la scrittura va e viene, non è che si scriva tutti i giorni.
Ha detto un grande poeta, Ceslaw Miłosz, che a scrivere versi non è l’abilità della mano, ma «il cielo, a noi caro ancorché scuro, / qual videro i genitori e i genitori dei genitori / e i genitori di quei genitori / nel tempo che fu».
Qual è , allora, il suo cielo?
“Il mio cielo è nella scrittura e in questi momenti di estasi. Non succede tutti i giorni, è un evento raro, ma improvvisamente i pensieri accelerano e vivi più intensamente. Non si tratta solo della scrittura. A volte si va in un museo e si ha l’impressione che la vita sia migliore, più calda. Questi momenti sono ‘il mio cielo’. Questo non significa che io respinga tutto il resto. Amo molto anche fare lunghe passeggiate e ascoltare gli uccelli… Ho più di un paradiso.
Nella sua poesia la disperazione diventa estasi. Lei ha una voce sommessa che parla dallo sfondo di immense devastazioni contaminate dalla crudeltà della Seconda Guerra Mondiale e della Shoa. E’ questa l’essenza della sua poesia.
“Non viene dalle speculazioni… Io sono nato qualche settimana dopo la fine della Seconda guerra mondiale, tra le rovine della guerra se vogliamo. Sono cresciuto nella Slesia polacca, molto vicino ad Auschwitz. Nonostante tutto ricordo un’infanzia serena, ma fin da piccolo sono stato esposto a fatti che ancora oggi non capisco. Da una parte c’era la sofferenza e il lutto di Auschwitz e da ragazzo ho letto molto a riguardo, e dall’altra c’era la gioia della vita normale, i libri, la musica.
Per me è simbolica la data del 27 gennaio, il giorno in cui Auschwitz è stato liberato dall’armata rossa e che poi è diventato il giorno della memoria. Il 27 gennaio però è anche il compleanno di Mozart e questi due fatti sono la somma di tutte le stranezze del mondo dove viviamo. Viviamo ancora ricordando Auschwitz e quella tragedia, ma ascoltiamo anche Mozart che ha composto musiche molto gioiose. Certo, ci sono anche delle note di tristezza nel Requiem, ma Mozart è principalmente gioia e il fatto che il 27 gennaio racchiuda sia Auschwitz sia Mozart per me è un grande dilemma dell’esistenza. Piangiamo ancora le vittime della Shoah, ma riusciamo anche ad essere gioiosi ed estatici. Per me scrivere poesie è la mia risposta a questo scontro. Abbiamo bisogno di entrambe le cose: la gioia estrema e la tristezza estrema.”
E’ stato detto, anche, che la sua poesia si ispira alla musica e alla pittura, anzi, è stato detto che lei comunica e dialoga con poeti, filosofi, musicisti e parla loro confidenzialmente. Molte le sue poesie dedicate a questi artisti. C’è un suo libro, non ancora tradotto in Italia, che ha per titolo “La difesa dell’ardore”. Che cosa vuol dire, difendere l’ardore?
“All’inizio abbiamo parlato del cuore freddo della poesia. Secondo me la poesia ha bisogno di durezza, di distacco, ma anche di ardore. Ha bisogno di ‘entusiasmo’, una parola meravigliosa che in greco significa ‘avere dio dentro di sé’. La parola ‘entusiasmo’ deriva da dio, il valore delle parole, però, è stato dimenticato. Noi conosciamo il significato della parola ‘entusiasmo’, la usiamo, ad esempio, nel calcio, quando il Real Madrid gioca contro l’Arsenal. Ma io penso all’entusiasmo per qualcosa di più elevato. E’ necessario difendere i pensieri più elevati, non credo che siano sotto minaccia, non credo che siano destinati a scomparire, ma penso comunque che debbano essere difesi.”
Mi viene ora di paragonare la sua poesia a quella di Eliot che diceva che la “forma ardente del mondo” è la bellezza, la sapienza, l’ironia, ma anche l’auto-ironia. Eliot diceva, anche: «La poesia, se autentica, è un movimento di conoscenza, spesso piena di affetto.»
E’ questo che lei fa con la poesia? Trasforma l’ispirazione, «in una torcia fiammeggiante che passa di mano in mano» dallo scrittore al lettore?
“Adoro ciò che ha detto e non potrei essere più d’accordo. Ha espresso questo pensiero con parole meravigliose questa ‘torcia’, questa ‘fiamma’ dell’entusiasmo e dell’ispirazione.
Credo che il buon lettore di poesia o di libri sia importante quanto lo scrittore. E’ meraviglioso che ci siano ancora grandi lettori che hanno questa capacità di rispondere alla poesia, all’arte, alla buona prosa.
La differenza tra chi crea e chi riceve è molto più breve rispetto a quello che pensiamo. E’ un momento, un passaggio di ‘trasmissione del fuoco’. E’ necessario trasmettere questo fuoco.”
Ecco dunque la domanda che Zagajewski pone con decisione, ma insieme con levità, e che io pongo a Zagajewski con decisione e levità: l’ispirazione è gioia o malinconia?
“Probabilmente ormai avrà capito che per me tutto ha un duplice aspetto. Non è una scelta. C’è un’enorme differenza tra malinconia e depressione. La malinconia è uno stato di serena tristezza in cui si accetta il mondo così com’è e si accetta lo scorrere del tempo che porta via con sé la giovinezza e parte della vita. La malinconia non è depressione. La depressione è terribile, porta via qualsiasi cosa. Dalla malinconia può esplodere la gioia, dalla depressione no. E’ possibile essere malinconici. Ma questo non esclude la possibilità di provare un sentimento di gioia.”
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Intervista integrale a Adam Zagajewski
di Luigia Sorrentino
Traduzione dall’inglese di Desirée Berlangieri e Letizia Tesorini
Accademia Americana di Roma
17 marzo 2011
Montaggio di Roberto Grifoni e Massimiliano Cantatore
Voce di Stefano Nazzaro
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Adam Zagajewski dedica questa sua poesia a Arturo Benedetti Michelangeli.
Mentre gli altri conducevano guerre
o negoziati, oppure giacevano
in angusti letti di ospedale
o da campo, lui provava
per intere giornate le sonate di Beethoven,
e le esili dita, come le dita di un avaro,
toccavano grandi ricchezze,
che non erano sue.
Smieré pianisty
Podczas gdy toczyli wojny
lub rokowania, albo lezeli
na waskich lozkach w szpitalach
czy obozach, on calymi dniani
cwiczyl sonaty Beethovena,
a szczuple palce, jak palce skapca,
dotykaly wielkich bogactw,
ktore nie byly jego.
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L’intervista integrale a Adam Zagajewski andrà in onda su Rainews24 alle 3:30 di sabato 17 settembre 2011.
meravigliosa intervista..stupenda!
Brava Luigia Sorrentino che è riuscita, in una mirabile sinstesi, di fare di fare di questa intervista un capolavoro e un grande testamento spirituale!
la voce pacata ed amica che ci valorizza nel nostro intimo e doloroso sentire….un soffio leggero che solleva la nostra solitudine e la immerge nei misteriosi e ..several heavens quotidiani-grazie
Grazie Claudia, grazie per aver seguito l’intervista integrale a Adam Zagajewski su Rainews (penso infatti che tu ti riferisca a quella perché qui ne riporto solo un brevissimo stralcio). Se ti fa piacere, possiamo parlarne più approfonditamente. Ciao e a presto.
Paola, è così… una voce, quella di Zagajewski, che testimonia il dolore del mondo, una voce che riflette sulla condizione umana, avvilita e mortificata dalle stragi, dall’orrore e.. dall’indifferenza. Penso alla Shoah, ma anche ad altre terribili catastrofi che hanno devastato il cuore degli uomini. Noi abbiamo assistito al dolore chiusi nel nostro silenzio.
ho seguitol’intervista, ma alcune parti mi sono sfuggite, dove posso trovarla integralmente?
Gentile Mari,
l’intervista verrà ritrasmessa. Non so dirle quando, al momento, ma cercherò di farglielo sapere, scrivendole un messaggio di posta elettronica privato.
Gentile Luigia Sorrentino,
complimenti per l’intervista, ricca ed originalissima soprattutto grazie alle domande vivaci e singolari.
Vorrei chiederLe di avvisarmi quando il programma verrà ritrasmesso.
Vorrei chiederLe un’altra cortesia: sono una studentessa di Ca’Foscari e sto scrivendo la tesi di laurea (triennale), si tratta di una tesi di traduzione di una poesia di Adam Zagajewski.
Sarei molto lieta e onorata di poter contattare il Maestro e pertanto Le chiedo se Le sia possibile fornirmi l’indirizzo mail del Poeta.
La ringrazio anticipatamente per l’attenzione e Le porgo i più cordiali saluti.
MariaVittoria Ghirardi
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