ALESSANDRO CENI
PERMANENZE
Opere pittoriche
Per la poesia di Alessandro Ceni
In esposizione
dal 2 al 9 maggio 2017
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ALESSANDRO CENI
PERMANENZE
Opere pittoriche
Per la poesia di Alessandro Ceni
In esposizione
dal 2 al 9 maggio 2017
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Antologia a cura di Gabriela Fantato
Dalla nota critica di Maria Attanasio
Dieci poetesse contemporanee, nate tutte nella seconda metà del Novecento, scrivono di grandissime poetesse del passato, vissute tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Letti nel loro insieme i saggi sono una sorta di mappatura poetica che, mettendo a confronto stilemi e poetiche diverse, ripercorre i punti nodali del secolo breve, dove spesso s’impigliano l’esistenza e la parola delle poetesse analizzate. Continua a leggere
Come leggiamo nella postfazione di Rolando Damiani, “(Luciano Cecchinel) è un poeta bilingue naturaliter, in italiano letterario e nella sua rara e arcaizzante parlata dell’altro trevigiano nativo, se non addirittura un trilingue quando si affidi all’inglese dell’America materna “. Continua a leggere
Un poema epico, iniziatico, mitologico, sulla parte selvaggia della nostra esistenza. Una celebrazione della solitudine come risorsa incondivisa ed eretica e una visione salvifica del poeta, scaraventato di continuo in luoghi preclusi dal naufragio e dai fallimenti della specie umana.
This is an esoteric, mythological epic poem about the wild side of our existence, a celebration of solitude as an unshared, heretical resource, and a salvifical vision of the poet, who is constantly being flung into prohibited places by the shipwreck and the failures of the human species.
Dal 2015, Francesco Benozzo, poeta, musicista e filologo, è candidato al Premio Nobel per la Letteratura. Nel 2016, la giuria popolare del Premio, composta da scrittori, poeti, associazioni, riviste e operatori culturali provenienti da tutto il mondo, lo ha decretato vincitore ideale del Premio.
Di Francesco Benozzo Kolibris ha pubblicato i poemi Onirico geologico (2014), Felci in Rivolta (2015) e La capanna del naufrago (2017).
Francesco Benozzo has been a candidate for the Literature Nobel Prize since 2015. His poems Onirico geologico, Felci in Rivolta and La capanna del naufrago, were published by Kolibris in 2014, 2015 and 2017, respectively.
Nel 2016 la giuria popolare del Premio Nobel per la Letteratura, composta da poeti, studiosi, critici, riviste, associazioni e operatori culturali da tutto il mondo ha decretato Francesco Benozzo vincitore ideale del Nobel.
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
Pier Paolo Pasolini
Da: POESIE SCELTE
Volume a cura di
Nico Naldini e Francesco Zambon
Guanda, 2017 Continua a leggere
TRENTASETTE BALLATE TRATTE DALLA STORIA DEL PROGRESSO
Traduzione di Vittoria Alliata
Enzensberger è autore poliedrico: saggista, pamphlettista, romanziere, scrittore per l’infanzia, memorialista. Però forse i suoi libri entrati piú vigorosamente fra i classici del Novecento sono quelli di poesia. E Mausoleum, uscito in Germania nel 1975, è una pietra miliare del suo itinerario poetico. È un libro costituito da trentasette ballate dedicate ad altrettanti personaggi che hanno fatto, come dice il sottotitolo, «la storia del progresso »: da Giovanni de’ Dondi che nel Trecento costruí l’orologio di Padova a un altro italiano, Ugo Cerletti, che sei secoli dopo inventò l’elettroshock. In mezzo: Campanella, Leibnitz, Linneo e tanti altri pensatori e scienziati.
Se già Leopardi diffidava delle «magnifiche sorti e progressive» del mondo, Enzensberger ha uno sguardo ancora piú perplesso sulla modernità. Per lui l’aspirazione al dominio totale della natura ha creato un modello destinato a portare l’umanità al disastro. E a volte ha forgiato un tipo di scienziato squilibrato, sadico, dai deliri onnipotenti, come quello della ballata dedicata a Lazzaro Spallanzani che si eccitava compiendo mostruosità sugli animali «a fini di studio».
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Dalla prefazione di Simona Baldelli
“[…] Le poesie di Daniele Campanari, in questa sua nuova opera CORPO DISUMANO, ci consegnano uno sguardo denso e disilluso su una realtà che è fatta di solitudine e dolore, attonito contenitore di vicende difficili da codificare.
Le parole sono disperatamente soggettive, scritte nella carne (nella realtà o nella finzione, poco importa, giacché sulla carta tutto diventa vero) e, proprio perché così credibilmente ancorate al suo essere, parlano all’orecchio di chiunque le ascolti, in virtù di quel desiderio di connessione, o tensione all’assoluto, cui ogni essere umano aspira. Continua a leggere
dalla Postfazione di Bernardo Pacini
Il prolifico poeta toscano ha voluto spalancare una porta, aprire per sé e per gli altri una sua stanza, esplorarla e compitarne gli oggetti fingendo di essere solo, eppure sapendo di dar luogo a uno spettacolo: la scrittura-suppellettile che inganna la vita, la poesia-oggetto che cauterizza gli squarci. Giusto un tarlo sulla trave: la manutenzione della casa-presente, la consapevolezza della sua reale esistenza, del problema da lei significato, prende le mosse da una minaccia risibile: il tarlo che si intravede sulla trave, ovvero un minuscolo insetto che offende la struttura portante del tetto di un luogo abitato da persone che invecchiano e che a quel legno non sopravviveranno. E il poeta sa bene che in fondo non c’è niente da temere, nessuna torma da disinfestare.
[…] Maffii, scrivendo questo libro, ha compiuto un gesto archeologico, un tentativo di indicizzare la memoria, di metterla in relazione con “il tono della voce” e della lingua, seguendo una zona deluminata del subconscio.
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«Liberi di dire» Saggi su poeti contemporanei
Prima serie
Carlangelo Mauro
Editore: Sinestesie, 2016
ESTRATTO DALLA NOTA INTRODUTTIVA DI CARLANGELO MAURO
I poeti presi in considerazione in questo studio (n.d.r. Cucchi, De Angelis, Fontanella, Piersanti, Volponi) sono molto diversi fra loro, anche se in ognuno di essi sembra forte il legame con il luogo, elemento fondante del loro “fare poesia”. La poesia di Fontanella, che si è stabilito da anni in America, non può non riconnettersi al luogo di origine, quella di Cucchi e De Angelis si inscrive nelle periferie milanesi, la poesia di Piersanti abita profondamente Urbino – ciò permette di confrontarla con la scrittura volponiana – e il paesaggio delle Cesane, mentre in quella di Neri rivive la guerra ‘civile’ del 1943-1945 tra Erba e dintorni. Anche questi vogliono essere poeti nuovi, ‘liberi di dire’ dopo l’egemonia della Neoavanguardia, alla ricerca di altri spazi e inediti rapporti con le tradizioni poetiche, che non possono non essere negate, dichiarate morte o richiamate in vita, sotto altre forme. Continua a leggere
Prefazione di Maurizio Cucchi
Un’idea già dichiarata nel titolo, un’idea quanto mai precisa sorregge quest’opera prima di una giovane poetessa: l’idea di indagare la presenza misteriosa del male e dell’orrore nell’essere umano attraverso alcuni notissimi esempi di delitti, di eventi criminali del nostro tempo, divenuti oggetto di attenzione e amplificazione mediatica. L’autrice si muove per ognuno, in estrema sintesi, su tre registri: annotazione misurata di reperti scientifici, commento lirico, didascalia che richiami il fatto di cronaca. E la cronaca stessa, dunque, la “nera”, diviene oggetto di poesia senza la minima enfasi, ma restituita con forza nella capacità di scavo e verità della poesia. Continua a leggere
Prefazione di Franz Krauspenhaar
La chiarezza e l’altitudine
La poesia di Diego Caiazzo è qualcosa che rimanda a cose estere, alla poesia anglosassone o tedesca. Sia chiaro che un certo filone di poesia narrativa, quella più pacata e sintomatica di un disagio che però non è mai invettiva – raro in Italia, comunque – ha influito sul poeta. Caiazzo, napoletano, è di quella genia di indigeni della metropoli, ideale capitale del Sud, che sta sottotraccia o alto nei cieli. La sua poesia, come potrete notare fin da subito, si sposta su frequenze che sembrano vicine fra loro, e invece compiono tutto il largo giro delle emozioni e delle pulsioni umane. E queste frequenze l’autore le fa diventare suono a volte sibilante, a volte rombante ma mai oltre le righe. C’è la nobile compostezza di una certa Napoli, che un amico giornalista del luogo purtroppo scomparso, Ciro Paglia, mi raccontava come discendente degli Hohenzollern, tra il serio e il faceto di quel suo bel modo di dire e di vivere. Dunque questo esordio davvero tardivo Diego Caiazzo lo fa con questo poemetto, La via lattea, che ebbi modo di leggere già alcuni anni fa. Un vero viaggio tra Paradiso e Inferno, nella coniugazione di un verbo che si fa dolore e passioni piane ma chiare. Ecco quello che può piacere e piace di questo poetare: la sua chiarezza, come se ogni volta sciogliesse il nodo gordiano delle cose ma non facendo un riassunto, bensì facendone una pura sintesi poetica. Ѐ questo che riceviamo da questo libro. Una sintesi di uno spazio vastissimo che diventa anche piccolissimo. Non c’è più limite nell’universo, l’Uomo è sempre lo stesso ma muta sempre, nel cielo della vita e della poesia. Continua a leggere
dalla nota dell’autrice
Andare passeggiando entro gli anni della propria vita, lo sa fare un diario, il narrare, il prosieguo della prosa. Quando si va a capo, con la poesia, si rendono anche stacchi e silenzi, si conchiude, e i frammenti sono liberi o meno di tessersi in immagine o micropoemi. è già stato fatto, in quella tensione all’opera nei miei nove libri di poesia.
Qui: a cominciare da un cuore sconosciuto, l’io sparisce e riaffiora. C’è una vera biografia, come sono storie vere, tutte le altre.
Poi: documenti, da luoghi e tempi; i ritratti di poeti amati e conosciuti e una sezione da China in prosa.
Importante sia che le visioni e i racconti più classici, dalla volontà di precisione all’afflato, a volte metafisico, a volte irriverenti, lascino affiorare la grazia che la prosa persegue, e consente, medium di un viaggio che auguro intrigante. Continua a leggere
dalla Nota di Fabio Pusterla
«Partire la mattina presto» è l’atto con cui Alberto Nessi, poeta vincitore del Gran Premio Svizzero di Letteratura 2016, inizia il viaggio in treno che conduce il lettore lungo paesaggi naturali e incontri umani. Questo libro è come uno scompartimento che offre un campionario di tipi e di sentimenti, di oggetti e di visioni: così capita che «la purezza della neve nel cielo / si scontra con l’oscenità del giornale». Alla ricerca della «parola che non tradisca la sua genesi» l’autore sa raccontare con la semplicità e la saggezza di chi è abituato a vivere in bilico fra attese e delusioni, in una terra spirituale di confine. Gli capita d’incontrare anche migranti clandestini: «quante volte ci morderà la rete ancora il cuore?» e alla fine deve constatare che «non vedrò più la viaggiatrice senza bagaglio / che avrebbe tante cose da raccontarmi» perché «deve scendere». È il destino di tutti, ben racchiuso in poesie scritte «forse un po’ come ballare il tango». Continua a leggere
Nella narrazione di romanzo, che Virginia Woolf ha definito simile a una tela di ragno, vi sono incontri degli autori e delle autrici con i libri del passato e del presente, i quali definiscono tutti insieme uno spazio discontinuo in cui ogni scrittura si prolunga oltre la soglia del singolo testo e oltre le cronologie creando talvolta fratture o anche abissi, altre volte territori di condivisione. Il volume propone un percorso critico attraverso romanzi di autrici italiane rappresentative dal secondo Novecento a oggi (Banti, Ceresa, Ortese, Morante, Ramondino, Sapienza, Ferrante). Il discorso nel suo complesso non intende presentare un canone ma disegnare un ritratto, uno dei possibili, dell’identità autoriale femminile nella scrittura di romanzo. L’indagine sullo stile, sui personaggi, sulle dinamiche intertestuali, e in particolare sulle strategie di autofinzione che le diverse scrittrici adottano evidenzia come tratto distintivo uno scarto fra il diritto all’espressione acquisito dalle donne e la permanenza di un segno di denuncia di volta in volta più o meno dissimulato. In questa prospettiva, i romanzi sui quali ci si sofferma testimoniano l’adozione di soluzioni che risultano attuali per i contenuti etici, civili, culturali e innovative rispetto ai codici espressivi della tradizione.
Con Dora Pal, la terra, Ida Travi procede nella sequenza poetica avviata con Tà – poesia dello spiraglio e della neve e proseguita nel tempo attraverso tre libri. In queste raccolte Ida Travi mette a fuoco la sua personale poetica centrata sui Tolki, esseri umani, esseri comuni, abitanti una strana terra e parlanti una lingua ridotta all’osso: figure senza tempo, ex studenti, ex lavoratori, venuti da chissà dove. Una vecchia, un uomo, una ragazza, un bambino. E intorno qualche sacco di farina, un campo, un recinto, un albero. Vre è solo una ragazza, questo è il nome che le è stato assegnato. Zet ha una benda arrotolata sulla testa. Kiv, il bambino, tira il carretto. Kiv è sottile come un filo d’erba. Dice la vecchia: “Cerca le parole e troverai le immagini’. Tra loro ogni tanto canta un usignolo. Tra loro ogni tanto compare Ur. La terra ritroverà il suo tremore. Nelle squame dei pesci, nei fossi, nelle ali degli uccelli. Dietro le porte dell’ex ufficio, in laboratorio. Nel sacchetto, nel secchio. Nel libro, nel fiore. E qui. Nell’androne. Qui. Sotto l’albero della decadenza… Continua a leggere
Dalla nota di Alberto Manguel
Se volessimo immaginare il metodo di lavoro di Brancale, è esattamente la tecnica di Rodin: nello scolpire Rodin aggiungeva argilla alla forma che costruiva, Brancale sottrae, sottrae e continua a sottrarre finché non resta che un granello di senso, ma che grano! In una poesia Brancale dice: «Il cuore è perfetto in ogni battito dell’imperfezione», ossia il cuore raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del suo battito, come – potremmo anche dire – il poeta raggiunge la sua perfetta condizione esistenziale attraverso l’imperfezione del linguaggio, attraverso ciò che non può essere detto. La metafora, lo sappiamo, è un’ammissione del fallimento del linguaggio; forse per questo Brancale utilizza metafore così di rado. Le sue immagini valgono a se stesse. L’originalità non è necessariamente ammirabile in un’opera letteraria, ma quando essa è riuscita, sentiamo che quell’opera potrebbe avere duemila anni di vita, come per esempio: «la porta sulla stagione di un altro corpo.»
(Traduzione di Federica Cremaschi)
Già il titolo che l’autrice ha voluto dare a questo poemetto, Sulla soglia della trasparenza, indica il senso della sua ricerca e del suo operare nel campo della poesia e dell’arte per cogliere nella bellezza della natura, percepita ed ammirata «sulle foglie bagnate», in «ogni apice d’erba», sul «fremito dell’ala», nei «moti d’aria lievi», in «ogni angolo di muraglia» i segni di una «sacralità naturale», cosciente di «stare sempre tra sacro e profano, in lotta per non essere intera, nell’uno e nell’altro», perché la poesia ci avvicina all’Assoluto, ma lo coglie solo in trasparenza, perché Dio ci parla attraverso le cose, ma è oltre le cose, che pure lo significano nella poesia, che rimane sulla soglia della religione.
Silvia Venuti, in questo poemetto ci fa comprendere come la bellezza della natura altro non è che un riflesso della Bellezza di Dio, che ci parla. Continua a leggere
La lanterna di biancospino occupa un posto importante di riflessione, di recupero, si può dire quasi di silloge di momenti del percorso del suo autore, per un nuovo slancio e per una riconquista di freschezza comunicativa.» Come osserva Francesca Romana Paci nell’introduzione, The Haw Lantern è una raccolta dotata di struttura unitaria e va letta dunque come sistema. Un sistema in cui si mantiene vivo il coraggio di una ricerca «fondata nel reale, ricerca dei confini e del senso del reale stesso, del rapporto della mente con il reale, della verità nella contraddizione, dell’equilibrio tra tensioni opposte, della libertà pur nella indiscussa permanenza di legami importanti: questo è il cuore della poetica di Heaney, il vero argomento di tutta la sua poesia, il suo vero, continuo oggetto d’indagine».
La raccolta è legata a uno dei periodi più felici della produzione di Seamus Heaney e segna un’ulteriore maturazione all’interno della sua attività poetica. Nel solco della grande tradizione irlandese, Heaney celebra come di consueto la bellezza e la sacralità della sua terra, ma in più aggiunge qui una nota di freschezza e leggerezza che rende ancora più piacevole la lettura dei suoi versi. Continua a leggere
Dalla Prefazione
di Maurizio Cucchi
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Un’originalissima escursione nella storia, un’invenzione poetica in cui appare nientemeno che la grande figura di Franz Kafka, già oltre la sua morte, avvenuta nel 1924. Siamo infatti nel 1931 in un onirico viaggio dello scrittore in Palestina. E insieme a questa di Kafka appare poi una figura paterna, legata alla vicenda personale del poeta stesso, nel senso della sua presenza e scomparsa nel tempo. Un intreccio coinvolgente, ricco di movimenti narrativi, sempre in bilico tra immaginario ed esperienza, secondo uno stile inconfondibile, fatto di parole essenziali e perfettamente scandite, rivela la cifra lirica che sorregge il racconto e la profondità si manifesta nell’elegante misura comunicativa del linguaggio. Un primo capitolo importante del nuovo lavoro di uno dei nostri maggiori poeti. Continua a leggere
Nota d’introduzione
di Gianfranco Lauretano
Nel 1913, quando il mondo intero stava per fare un doppio salto nel vuoto, trascinato dalla guerra mondiale e dalla Rivoluzione, a San Pietroburgo un gruppo di poeti si inseriva autorevolmente nella letteratura russa, rompeva i legami con il simbolismo tra Otto e Novecento, alla ricerca di un realismo autentico e concreto, mosso dalla volontà di raggiungere l’acme delle cose, toccare la loro essenza. Di quel gruppo facevano parte Sergej Gorodeckij, Nikolaj Gumilëv, Anna Achmatova e Osip Mandel’štam.
Quello stesso anno Mandel’štam dava alle stampe la sua prima raccolta di versi, La pietra. La sua poesia è intrisa di sentimenti primari, oggetti, viandanti, specchi, dita che scivolano sulla superficie del mondo e sulla carne. I suoi versi sono pietre levigate, limate con tenacia e sapienza. Il suo è un gesto poetico netto, puro, indomabile. Continua a leggere
Per la prima volta Interlinea pubblica un’antologia di poesie di diversi poeti e scrittori che hanno come denominatore comune la malattia di Alzheimer e che sono dedicate ai genitori o ai familiari o ispirate dal dolore e dalle difficoltà di questa patologia. Quando apparentemente non si hanno più parole, la poesia ha parole adatte e sufficienti, è uno strumento profondo, che può trasmettere contenuti altrimenti difficili da comunicare, perché è universale, come la malattia. Le poesie di questo libro sono accompagnate dai commenti di Franca Grisoni, con cui condividiamo le modalità di lettura della sofferenza, un’altissima sensibilità e una capacità interpretativa dell’umano, particolarmente utili per comprendere i percorsi del dolore, scoprendo un «Alzheimer d’amore».
Il libro nasce dall’incontro di Franca Grisoni con la poesia Alzheimer, madre di Davide Rondoni dedicata ai suoi amici, figli di una madre colpita dalla malattia. Ed è l’autrice stessa a raccontare l’inizio del suo percorso che dal 2008 l’ha portata a raccogliere e commentare poesie sul morbo di Alzheimer di diversi autori noti, tra i quali Margaret Atwood, Mario Benedetti, Alberto Bertoni, Roberta Dapunt, Valerio Magrelli, Fabio Pustrela, Andrea Zanzotto e altri, ma anche d’occasione, che si sono lasciati coinvolgere nella malattia per pochi versi, per una o più poesie, o per un’intera raccolta.
Ko Un, ospite quest’anno di “Ritratti di Poesia” riconosciuto come il più importante poeta vivente della Corea del Sud, scrive poesie minime, ispirate alla filosofia son, lo zen coreano. E’ autore di oltre centocinquanta opere, poesie, saggi critici, romanzi. Nei suoi versi, rarefatti come l’aria che si respira su montagne altissime, le parole di Ko Un sono illuminazioni improvvise, bagliori, frecce che folgorano. Una volta rivelata la realtà del mondo nella sua profondità, le parole di Ko Un potrebbero anche dissolversi nel silenzio. Ma la necessità di rispondere alla domanda permane: il senso dell’esperienza, l’intensità della vita del cosmo, in ogni suo più piccolo dettaglio, cos’è? Continua a leggere
Andrea De Alberti è sostanzialmente un poeta lirico. Scrive di sé, delle sue esperienze, della morte del padre, del rapporto con il figlio… Però lo fa con un taglio disassato rispetto ai canoni della poesia lirica. Questi temi entrano come di straforo in discorsi di altro tipo. Da quello paleoantropologico ed etologico che dà il titolo al libro, a quello che guarda ai fenomeni sociali della contemporaneità, siano l’Ikea o gli eroi della Marvel. Ne esce un viaggio antropologico-sentimentale lungo un percorso di poesie stranianti che catturano subito l’attenzione del lettore e lo coinvolgono in fecondi cortocircuiti mentali. È una poesia che provoca stupore perché nasce da una condizione di stupore e da quel po’ di confusione mentale necessaria per cogliere i legami fra le cose.
Dall’altro lato quella di De Alberti è anche poesia saldamente legata alla tradizione novecentesca, quella piú profondamente colloquiale, quella di Sereni e di Raboni. E con i due maestri lombardi De Alberti condivide il tema della comunità tra morti e viventi, che diventa soprattutto comunità di padri e figli dai ruoli intercambiabili: «quel che saremo o che diventeremo, | forse ero io, forse eri tu prima di nascere, | un’andata e un ritorno, un arrivare nel silenzio».
“Il collaudatore d’altalene” è una riflessione sull’autismo scritta da Roberto Marconi, educatore sociale. Nel libro la vita di Roberto interseca quella di Jacopo, figlio unico di Annie Seri e Umberto Piersanti, un “ragazzo cresciuto” affetto da diverse problematiche annesse all’autismo. Ne nasce un’opera aperta alla poesia che non racconta né descrive la malattia, ma la “storia” fra due persone in carne ed ossa, che comunicano e si osservano reciprocamente, affettivamente, una storia d’amore che contiene lo stupore e la meraviglia degli incontri che ti cambiano la vita.
Il libro degli allievi di Biancamaria Frabotta, funziona come un piccolo archivio storico meteoclimatico; un atlante di eventi e temperature registrati, nel corso di decenni, lì dove continuano a incontrarsi le stesse coordinate. Le flessioni e i climi qui rubricati si sono verificati su un’identica, tenace, geografia: tutti, sulla stessa mappa, abbiamo raccontato la medesima stagione: quasi quarant’anni di innamoramenti lirici, passioni civili, piani di studio, versi, lettere, chiacchiere e tesi di laurea.
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ESTRATTI DA : Geografie private (Punto a capo Editrice, 2016)
Siamo entrati nel mondo
L’odore di carne arrosto alle otto di sera
è il più fedele segno dei tempi
assieme ai centri estetici con la scritta luminosa aperto
ma io non riconosco più questa città scontrosa e scaltra
dove l’olfatto resta l’unica guida
Più ci si addentra e più le tracce si diradano
un tempo aspettavo il lunedì mattina
per venire qui a contare i passi tra i numeri rossi e neri
l’intelligenza era lì al termine del tragitto
nell’aria calda dello stridio dei treni
Per la prima volta ho ignorato il nostro vicolo
ho voltato le spalle al posto
dove un giorno io e te
siamo entrati nel mondo Continua a leggere
Il modo migliore per parlare oggi in forma narrativa non è raccontare le cosiddette «storie vere», né ambientarle qui ed ora. Il ‘trucco’ della veridicità letteraria non poggia sulla semplice raffigurazione della vita quotidiana che ci circonda, se non nella grande poesia, non certo nel romanzo e nel suo logoramento. I grandi romanzi poggiano invece su ciò che non invecchia, lasciando alla cronaca e alla diaristica il compito di assolvere al mero valore «documentale» e «testimoniale» (questi sono i termini della differenza in questione) di situazioni della propria epoca. Sono i romanzi storici, le storie alternative, i romanzi fantastici, speculativi e fantascientifici, le narrazioni proiettate più indietro e più avanti, che assumono un grande valore per chiunque sappia leggerli con profitto. Leggere con profitto significa far propria un’opera letteraria, avocare a sé il ruolo di critico e pensatore, senza fare banale ‘uso’ del racconto, ma offrire a sé prima, ed eventualmente agli altri poi, un’attenta interpretazione scevra da passioni personalistiche atte a mettere in bocca a un autore cose che egli non abbia mai enunciato nella raffigurazione del suo mito messo su carta o in scena. Continua a leggere
ESTRATTI DA: Interferenze della luce (Italic, 2014)
(IN SOTTOFONDO INIZIA UNA CANTILENA CHE CONTINUERÀ FINO ALLA FINE V. POTENZA DELLA CANTILENA)
I
Se anche frantumassi il vento
gli aghi mugolanti ricamano
memoria d’acqua
arti di luna
ricamano
la croce sulla sedia
Luce sbarra buio
Sbarra non puoi ascoltare
Sbarra non puoi guardare
Le mani di granito rompono lo spazio
il buco la polvere ossessiva
Ingoia l’ovulo rotondo che trattiene
il ragno il verso- insetto
appeso ai piedi dell’altare. Continua a leggere
Il prato bianco uscí da un piccolo, raffinato editore, l’Obliquo, nel 1997. Era la terza raccolta poetica di Francesco Scarabicchi, che con quel libro entrava a pieno diritto fra i maggiori poeti italiani contemporanei, confermandosi poi a piú riprese nei vent’anni che sono seguiti. L’atmosfera invernale evocata fin dal titolo fece parlare Gian Carlo Ferretti di «uno scenario dominato dal gelo, dalla neve, dal bianco, quasi immagini di un mondo in letargo, invisibile, ma segretamente vivo e disposto al risveglio». È in questa situazione di apparente abbandono che le immagini della natura si fanno precise: prati, serre, fiori, alberi: descrizioni realistiche ma anche metafore a indicare cura e accudimento. Sono paesaggi di una natura coltivata, non selvaggia, e questo accudimento meticoloso, nonostante l’ala fredda che incombe su persone e cose, sembra essere la cifra dell’umanità che emerge da questi versi, già a partire dalla prima poesia. Curarsi di ciò che sopravvive, celebrare senza retorica ciò che è destinato a non sopravvivere: quella di Scarabicchi è una malinconia composta e quasi serena anche quando, nel nucleo centrale del libro, viene affrontato piú direttamente il tema della morte: e sono forse le poesie piú intense di tutto il libro.
di Fabio Izzo
Ryszard Kapuściński non è mai stato una vittima, infatti, nei suoi libri, è sempre stato l’eroe. Una strategia utile quando si fa del reportàggio in prima persona affrontando ribellioni, rivoluzioni e colpi di Stato, soluzione che però appare decisamente meno utile quando ci si dedica allo scrivere poesia perché il Poeta è molte cose, ma non si mette mai troppo pubblicamente in vista e non attira tutta l’attenzione su di se. I migliori poeti richiamano, si rifanno, alla vulnerabilità umana Le sue poesie, non sono trascurabili, anzi risultano essere molto importanti, perché integrano e completano, sono infatti il pezzo mancante del mosaico Kapuściński. Lui stesso definiva il suo lavoro come reportage letterario, reportage d’autore, quasi in contrapposizione al noto realismo magico della lettura, ha voluto creare un genere, definito poi come giornalismo magico da Adam Hochschild nel 1994. Continua a leggere
Mercoledì 8 febbraio 2017, ore 17.30, la Biblioteca Sormani e L’Unione Lettori Italiani in collaborazione con la rivista Poesia e Conoscenza diretta da Donatella Bisutti presentano Via provinciale di Giampiero Neri, Edizioni Garzanti.
Interventi di Donatella Bisutti e Antonio Riccardi
Intermezzi musicali a cura di Antonella Bini – flauto
Proiezioni di Giorgio Longo
L’Autore leggerà suoi testi.
Sala del Grechetto della Biblioteca Sormani Via Francesco Sforza, 7 Milano
Nota di Melania Panìco
Nel leggere “La natura del bastardo”, il nuovo libro di Davide Rondoni edito da Mondadori, si presentano agli occhi del lettore alcune parole – chiave. Una di queste è contenuta nel titolo.
Dalla Nota di Marco Corsi a Gli amori terreni 2009-2012
Le parole che compiono un gesto intorno ad altre parole hanno una doppia responsabilità: quella non facile di indicare una direzione e quella più onerosa di trovare il punto cieco del discorso, il suo inesauribile centro. Tanto più se certe parole – quelle che sono oggetto di osservazione – possiedono un passato importante alle spalle: un passato che conta almeno quarant’anni di poesia e di pensiero critico sulla poesia. Continua a leggere
Dalla nota di Rosita Copioli
Mito classico e poeti del ’900 è un libro scritto con eleganza (di stile, di lingua) intorno a un ricco nucleo di miti, l’attenzione fissa al presente. Una mente lucida va alle fonti greche e latine: Esiodo, Omero, i tragici (Eschilo, Sofocle, Euripide), Catullo, Virgilio, Lucrezio, Ovidio, Seneca. Non considera solo i miti più noti, ma anche i meno frequentati e laterali. Continua a leggere
Con l’edizione di Se questo è un uomo del 1947, venticinque testi in più nella sezione «Pagine sparse» e altri otto testi in appendice, fra i quali la tesi di laurea e le note di Levi alle edizioni scolastiche dei suoi libri.
Dalla Prefazione di Marco Sonzogni
Ogni passaggio in questo libro lascia effettivamente la sensazione che si sia compiuto uno strappo e che altri strappi possano presto compiersi: cerchi concentrici innescati dalla pietra di un’anima sensibile, attenta e reattiva che non si accontenta della superficie delle cose. L’autrice impugna la parola e agisce con la forza e la precisione di un micidiale scalpello: rimosso il silicone della superficialità (“attenta a non concentrare/ il contenuto in superficie”) e dispersa la nebbia della banalità (“Amo tutte/ le cose brutte, che hanno sopportato,/ che hanno imparato a reggere/ l’imbarazzo del mezzo, circondate”), è possibile pensare di cercare l’essenza delle cose. A piccole dosi. A sprazzi. Anche alle cieca. Anche senza ricompense. Mettendo sotto scrutinio lo strumento stesso che documenta questa ricerca: la lingua.
Cos’è La parte muta del canto? E’ una raccolta di ritratti. Di vite di musicisti “ritrovate” e mai del tutto afferrate. Un tentativo di frugare nel rapporto fra le opere e il rovello psicologico e storico che le precede, di avvicinarsi al momento insondabile in cui la forma prende forma trascendendo tutto ciò ch’è altro da se stessa. E’ nella tensione fra il canto e ciò che resta fuori del canto, nel modo in cui l’artista la risolve che cerchiamo il nucleo caldo della sua ispirazione. Questi “ritratti” provano ad avvicinarsi a quel nucleo, sapendo di non poterlo toccare. Continua a leggere
Poesie per Marilyn Monroe
A cura di Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo
Il 1° giugno del 2016 Marilyn Monroe avrebbe compiuto novant’anni. Questa raccolta intende ricordarla con un omaggio alla sua (ferita) grandezza. Sulla scia dei versi che le dedicarono Pier Paolo Pasolini e Dario Bellezza, molti poeti italiani di oggi si sono qui ritrovati per celebrarla con una tenera e partecipata ‘offerta musicale’ nella forma di una ghirlanda di liriche. Ne scaturisce un ritratto di Marilyn Monroe a più dimensioni. Continua a leggere