<< Il mio rapporto con la “musa” è cambiato nel tempo.
All’inizio, ovvero quand’ero piccolo (sui quindici anni se non sbaglio), pensavo che la poesia fosse una sorta di vocazione o “chiamata”. Ricordo che nel mio cervello si formavano versi in continuazione, ad ogni ora, senza che io minimamente li cercassi o “propiziassi”. Adesso la poesia è una delle tante attività che scandiscono la mia giornata di redattore tuttofare, impegnato senza sosta a scrivere liriche e commenti critici o a correggere quelli degli altri, a costruire e-book, a trafficare con file audio di varie estensioni per tirarne fuori sottofondi musicali, interviste o addirittura trasmissioni. Quindi se oggi continuo a buttar giù strofe e componimenti, seppure assistito da un'”ispirazione” non più torrenziale come prima, è per lavoro, per abitudine e perché la poesia è ormai una vecchia amica per me… e perderla di vista mi dispiacerebbe. Anzi, per legarmi a lei in misura sempre maggiore, oltre che scriverla, la leggo. Fra i miei autori preferiti, quelli (come ad esempio Leonard Cohen) capaci di ottenere, nei propri testi, una perfetta fusione fra ironia e dolore>>.
di Pietro Pancamo Continua a leggere
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Opere Inedite, Ivanoe Privitera
Ho conosciuto Ivanoe Privitera nel 2001 a Rainews24 dove lavoro. Ivanoe in quell’anno seguì un breve stage a Rainews24 e aveva già pubblicato il suo primo romanzo“Il cuore di Purcell“. Fu proprio in quel cuore che ci incontrammo. Nel solco di un destino che imponeva al giovane Purcell – protagonista del suo romanzo – di sentirsi da adolescente, in uno stato di privazione e di mancanza… nel cuore cioè di chi si accinge a compiere i primi passi per accedere al mondo dell’amore e del dolore.
Ivanoe, dal 2009 titolare di una Marie Curie Fellowship biennale in Papirologia all’Università di Oxford, oggi mi scrive: “La poesia sveste la mia interiorità, è rifugio e consolzione mai vana, lungo un cammino che dal passato conduce al futuro. Nel comporre mi affascinano l’immediatezza del potere evocativo delle immagini, il ritmo del verso e le figure retoriche di suono. Spesso basta una singola immagine o un semplice accostamento di parole per intraprendere un’elaborazione formale all’insegna della ricerca fonetica e linguistica.”
di Ivanoe Privitera
Opere Inedite, Daniela Taliana
Daniela Taliana è nata a Tripoli, in Libia, e vive in Italia, a Ostia. Nel 1970, dopo la guerra tra Israele e Egitto, Daniela, come molti altri tripolini, fu costretta a lasciare la Libia, con tutta la sua famiglia. Daniela racconta così la sua storia di profuga: “I miei genitori mi affidarono a un’amica di famiglia che mi portò in Italia dai nonni materni. Ero piccola, 6 anni non ancora compiuti e non riuscivo a capire quello che stava accadendo”. Daniela mi scrive di uomini armati che giravano per le strade di Tripoli, di finestre di casa oscurate da grandi fogli di giornale, di sagome scure che saltavano sui tetti dei palazzi, di carovane di dromedari, di polvere e di incubi notturni. “La casa dei miei nonni era diventata un punto di riferimento per tutti coloro che condividevano il nostro stesso lutto: la perdita dell’identità. Non ho dimenticato le storie che i grandi mi raccontavano” scrive Daniela “erano la mia famiglia ‘allargata’, come si dice ora. Chiamavo tutti zio, zia… e preparavo il te per tutti… Ascoltavo i loro racconti… mi commuovevo, e, contemporaneamente, acquisivo l’intensità dei miei sentimenti.”
Opere Inedite, Alessia Scacchi
Alessia Scacchi definisce la poesia “l’unica strada per la conoscenza del reale, in simbiosi con l’immaginario.”
“Quella leggera tempesta d’inverno che agiva costante, all’intersezione tra la persiana di una casa romana di pochi metri e un cielo colorato da cento e più luci di un giallo elettrico, s’impresse al mio sguardo come può il verde brillante di un prato che in primavera si agghinda di fiori, i bianchi narcisi; bassi, nel folto di un’erba incorrotta, essi si affacciano al sole, prudenti.
Io ero, in quel candido aprile, nel mezzo delle gramigne e mi soffermavo, assorta, al lento frusciare dei faggi di una lontana isola di medioevo che ancora racchiude e protegge un’infanzia felice e sfacciatamente contadina.
Questi ricordi mi portano al primo pensiero poetico quando, piccina – seppure di forte corporatura, guardavo e parlavo ad un olmo, un fulgido e umbratile olmo dalle fruscianti foglie; all’ondeggiar del vento parevano pormi i saluti di una natura, quella della Talenti degli anni Ottanta, sopravvissuta all’onta della cementificazione. È come se il ritmo di quelle leggiadre fronde mi avesse sospeso nel tempo e avesse abituato il mio corpo ad osservare i particolari inattesi, le controversie di un reale inspiegabile se non negli schemi di una schiacciante normalità.
Io ero a-normale: avevo una splendida madre trentenne, che sola cresceva una bimba sognante; avevo un padre che assomigliava ad un babbo natale con accento napoletano; convivevo con una zia – seconda mamma – che studiava e piangeva alle difficoltà di un’università occupata; abitavo una casa che assomigliava alle dimore dei Lillipuziani, in una Roma borghese che ostentava un incerto potere economico; ma, oltre questo, avevo uno sguardo attento e intollerante alla presunta normalità…”
di Alessia Scacchi Continua a leggere
Opere Inedite, Daniele Beghè
Daniele Beghè mi scrive questa lettera che pubblico integralmente.
Mi piace molto ciò che scrive Daniele . Daniele non si rivolge soltanto a me, ma ai lettori del blog. Ed è per questa ragione che rendo pubblica la sua lettera.
Daniele merita una risposta da noi tutti.
Naturalmente, ringrazio Daniele per avermi scritto.
Per prima cosa dico a Daniele: “Lei deve continuare a scrivere, non posso però dirle ‘come‘. Deve scoprire lei, piano piano, la ‘sua’ voce.”
Opere Inedite, Federica Venezia
Federica Venezia mi racconta di aver scritto la sua prima poesia all’età di otto anni. In quel periodo iniziava a studiare il violino e, di conseguenza, la musica nel suo complesso: “La durata delle note e delle pause, le figure musicali e la battuta, i segni di frazione del tempo”.
Da allora, in tutte le cose della vita, Federica ha sempre cercato ‘le sonorità giuste’, ‘il ritmo appropriato’: “nella voce da trasmettere alla radio, nella stesura di un articolo, nei piccoli versi pensati per un pentagramma ideale. Armonioso, più che fedele alle regole. Libero e onesto. Mi affascinano i tentativi di dare voce alla poesia;” scive ancora Federica, che spiega: “la poesia musicata è in grado di raggiungere vette di straordinaria bellezza.” E aggiunge: “Penso al maestro Giovanni Nuti, per esempio, e al suo meraviglioso lavoro sull’opera di Alda Merini. Viceversa, amo senza riserve – e considero scrittura in versi sciolti a tutti gli effetti – i testi delle canzoni di grandi autori quali Fabrizio De André, Paolo Conte e Piero Ciampi. Ma anche Bob Dylan, Leonard Cohen e Joni Mitchell. Musica è poesia, poesia è musica. L’una non esclude l’altra. Entrambe riescono ad esprimere l’interiorità dell’individuo con risultati talvolta sorprendenti; ed è questa, a mio avviso, una educazione sentimentale dal valore inestimabile, di cui spesso si sottovaluta l’importanza. Ho intrapreso il discorso poetico dapprima diffondendo via etere le mie liriche preferite; poi, forte della passata esperienza, breve ma significativa, sono tornata a scrivere per il bisogno di rendere manifesta l’evoluzione armonica del mio sentire. Un essere umano centrato, consapevole di sé ed osservatore fine, non può prescindere da un percorso di autentica riflessione, poiché esso è forse il solo capace di fare luce sulle proprie sterminate ombre.”
di Federica Venezia
Opere Inedite, Giuseppe Vetromile
Giuseppe Vetromile mi ha scritto che vive la poesia intensamente e, a volte, con sofferenza, quando non riesce a trovare i termini adatti e le giuste strutture poetiche per esprimere il suo sentire profondo.
“Ogni poesia scritta è per me, da una parte, l’atto conclusivo di una certa ricerca interiore, più o meno indovinata, dopo un tempo più o meno lungo di decantazione durante il quale effettuo, su quanto scritto, il necessario lavoro di revisione e aggiustamento; dall’altra, è un punto di partenza per scandagliare ulteriormente il mondo, per sentire nuove vibrazioni e per proporre nuove esperienze. C’è bisogno di un lavoro continuo sulla parola e sullo stile, perché sempre di più la poesia aderisca alla verità ed alla luce che ciascuno di noi ha dentro di sé.
di Giuseppe Vetromile
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Opere inedite, Loredana Magazzeni
Loredana Magazzeni è insegnante e poeta. In lei è ben presente una genealogia femminile che l’accompagna e la guida. Loredana sente e ribadisce un compito di armonizzazione e di mediazione che crea senso nel suo lavoro con la parola. Insegnante da quando aveva 28 anni, prima, per tre anni ha lavorato in agenzie pubblicitarie a Bologna. Le interessava già allora l’aspetto creativo della lingua, per creare scrittura.
Loredana ha iniziato a scrivere a 40 anni con un gruppo di donne, il Gruppo ’98, che crede nell’importanza e nella diffusione della scrittura delle donne, e nella pratica delle relazioni fra donne e dell’ascolto. Per relazionarsi con altre donne nel 2004 ha dato il via a un progetto chiamato “Patchwork” che consiste nell’abilità delle donne di mettere insieme frammenti, anche della propria vita (e dei tanti ruoli che vi sono chiamate a svolgere con uguale intensità, e qui sta il primo enorme dispendio di energie creative che non è ancora stato riconosciuto alle donne) per costruire arte, bellezza.
Opere Inedite, Marina Pizzi
Oggi, a Opere Inedite, leggiamo la poesia di Marina Pizzi.
Credo che questa foto esprima tutta la poesia di Marina. Le avevo infatti chiesto di inviarmi una foto che la rappresentasse, che rappresentasse il suo rapporto con la poesia. E questa è la foto che Marina ha scelto e mi ha inviato.
A guardarla, Marina sembra lontana, quasi in secondo piano rispetto a ciò che la circonda. Eppure in quello stesso spazio Marina è immersa, e da quello spazio Marina “parla” del rapporto con la sua poesia.
Sembra quindi, a chi vi scrive, che il suo ‘io poetico’ si ponga in una sorta di “tana” della parola, una tana che la circonda e l’abbraccia, che la sovrasta, anche, la fa piccola, lontana.
La sua è una voce che – per usare una sua espressione – arriva dalla “galassia del distacco”, e piange “la rotta di non saper la rotta/ né la perfetta eresia del vento.”
(Luigia Sorrentino) Continua a leggere
Opere Inedite, Natalia Lisi
Per Natalia Lisi “la poesia è sempre stata una funzione fisiologica paragonabile al respiro, al ciclo cardiaco con le sue sistole e le sue diastole: un qualcosa di intimamente connesso con la propria vita, un organo inalienabile dal proprio corpo. Una seconda voce diversa da quella della coscienza. Inseguire questo canto di Sirene significa scegliere la terra del mito, significa far coesistere il presente con gli infiniti spazi inesplorati che si aprono nella nostra mente: le dita sui tasti di un pianoforte possono creare infinite melodie muovendosi fuori e dentro le scale del sistema tonale, così noi con il sistema delle parole possiamo entrare ed uscire dalla veglia, dal mondo esterno a noi, verso la luce del sonno, la terra delle immagini, della bellezza, dell’eroismo adolescenziale: possiamo provare, senza mai riuscire del tutto, a conciliare i molti mondi, a fermarli, a dare una consistenza alle immagini inconsistenti nate nella nostra intimità.”
di Natalia Lisi
Opere Inedite, Vincenzo Celli
Alla domanda: <<Perchè scrivi?>> Vincenzo Celli risponde quasi chiudendosi: <<Non lo so, e sinceramente, spero di non scoprirlo mai.>>
Però poi Vincenzo scrive : “Il mio rapporto con la poesia – o il suo rapporto con me – è nato da poco. Ho iniziato a scrivere a quarantacinque anni e oggi ne ho cinquanta.”
Vincenzo usa la parola con parsimonia perchè forse sa – ha capito – che nessuna personale sfumatura aggiungerebbe qualcosa al sentimento della poesia che – infine – si fa da sè.
E così Vincenzo passa accanto alla poesia dei padri, che a loro volta sono passati accanto alla poesia dei loro padri, fino ad andare sempre più indietro. Passare accanto ai padri e aprire bene gli occhi per guardare sul “pelo dell’acqua”, sul sentimento che si fa crescere, che si fa poesia.
“Per me la poesia è un mistero che non so spiegare, se non attraverso le stesse cose che scrivo.”
di Vincenzo Celli
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Opere Inedite, Maria Pia Quintavalla
Il rapporto che Maria Pia Quintavalla ha con la scrittura è di “passione necessaria, nervosa, dai visceri alla testa, ma di fondamenta, ormai, del mio pensare e del mio vivere. Quindi di funzionamento del mio essere.”
Poi Maria Pia tenta un’analogia e scrive: “il rapporto che ho con la poesia è quello che si intrattiene con una buona madre, un doppio di sé per vivere, un pedale, uno strumento, un arto non fantasma; una fiera sorgente (Lettere giovani), da cui apprendere, oppure, una fiaccola concreta, (Le moradas), luce che rende capace di dare forma.”
Per Maria Pia “il dettato interiore crea, da sé, mute forme desideranti, e crea con il fare della e con la lingua non usuali forme, come le musicali, chiavi di violino ad es. per una esatta dizione del mondo ( Le moradas), utopia della mia visione del mondo, e al mondo; modalità affettiva e linguistica pregnante, contrapposto a certo pensiero debole, e tale da diventare un alfabeto vivente, in azione, e perenne. Come la vita, in metamorfosi.”
“Per me la poesia è parte dell’umano destino, sua sintesi significante. Dopo che musa o Beatrice, senso del viaggio. Strada e cammino, anche: voce e voci, loro strumentazioni, verità-passione e sue tecniche, ovvero orchestrazione di verità possibili, sue approssimazioni almeno: ‘verità e passaggio’, anch’io..”
di Maria Pia Quintavalla
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Opere Inedite, Federico Faccioli
<<Io ho 30 anni e per la crisi ho perso il lavoro; ma ho ritrovato nella poesia una libertà che mi ha permesso di ritrovare dei miei lati umani molto interessanti.>>
di Federico Faccioli
<<Conosco Federico da una vita…
Abbiamo fatto le scuole medie assieme e in seconda ci hanno pure bocciato.
Negli anni successivi, durante le notti raminghe, raramente ci siamo incontrati sobri.
È nata forse li, tra un cantare Battiato a squarciagola ed il girovagare incerti fuori e dentro la nostra città, la voglia di scrivere e la necessità di farlo? Quando si sono fatte strada, mi domando, le parole, nel nuovo nato poeta Federico Faccioli?>>
di Michele Morandi
Opere Inedite, Lucianna Argentino
<< Era il luglio del 1977. All’esterno avevo la distesa del mare, il suo paesaggio immenso, le sue onde e il loro canto incessante. Dentro avevo mareggiate, ero contesa tra l’adolescenza e l’età adulta.>> Lucianna Argentino, mi scrive che a quindici anni era già in rapporto ‘di confidenza’ con la scrittura attraverso un diario su cui quotidianamente scriveva di se stessa. Lucianna racconta: <<fu facile esprimere su un foglio bianco il mio disagio, farne un luogo in cui poter essere me stessa, un’estensione di me dove nessuno sguardo mi giudicava. Poesia come alleanza tra corpo e anima. Fu facile come gesto in sé e fu difficile perché ciò che dentro premeva chiedeva parole diverse, parole che erano come uno strappo, uno schiaffo e nello stesso tempo come un’ abbraccio, una carezza; parole che sgorgavano da un luogo sconosciuto da cui una voce carica di ombre mi chiamava. Fu l’inizio di un affascinante cammino. Ed è aggirandomi tra quelle ombre che ho continuato a frequentare la poesia, lottando con esse e per esse, portando alla luce il carico di verità che in esse è racchiuso e da cui trarre senso nell’apparente “non senso” che spesso avvolge la realtà delle cose e delle persone e il linguaggio poetico stesso. >>
di Lucianna Argentino
Opere Inedite, Vera D’Atri
Ho conosciuto Vera D’Atri a Torre del Greco durante un incontro di poesia organizzato in un circolo culturale.
Vera ha iniziato a pubblicare poesie di recente, forse perchè era spaventata dalla vocina interiore che le chiedeva insistentemente di portare allo scoperto le cose che scriveva, chissà da quanto. Non a caso Vera mi dice: “Le prime due righe che scrivo mi danno l’impressione di provenire da un altro mondo. E’ come se stessi scrivendo sotto dettatura. Il resto è lavoro. Molto lavoro per concentrare quello che ciascun lettore poi avrà come compito di diluire per sé e di sé nell’accompagnarsi al testo”. Vera poi mi scrive che l’esperienza le ha fatto volgere lo sguardo verso l’invisibile alla ricerca di “qualcosa che non sono io, ma il simbolo di ogni mio istante”.
“La poesia è un rivolgersi alla tensione di un vissuto abitato da innumerevoli altri.
I versi scorrono così su righe ineguali, hanno l’aspetto di un diagramma molto frastagliato; puntano oltre il foglio, quasi, alla fine, ne volessero fuggire. Vorrebbero essere/avere una specie di ali.”
di Vera D’Atri
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Opere Inedite, Costantino Posa
Costantino Posa mi ha raccontato che da bambino scriveva poesie su pagine strappate di quaderni che conservava e che poi inevitabilmente non ritrovava mai…
Costantino mi scrive che ha perso il padre quando aveva 15 anni. Un lutto che lo ha costretto a interrompere gli studi e a dedicarsi, ancora ragazzo, al lavoro, e poi alla famiglia. Dal matrimonio con la donna amata non sono venuti figli. E allora, a un certo punto, la scelta : Costantino e sua moglie chiedono l’affidamento di due ragazzi (un maschio e una femmina) fino ad arrivare all’adozione di Valentina, che per Costantino è, a tutti gli effetti, ‘sua figlia’ . Poi il dolore per il rinnego e il distacco dell’altro figlio, dopo 16 lunghi anni di vita insieme. Per Costantino:’ ancora aspettative deluse, amore riposto e non considerato. E quindi, la difficoltà di capire ed essere capito e l’incredulità per tutto ciò che accade.’
Costantino mi scrive che un altro grande, recente dolore lo ha portato a riscrivere poesie: “la perdita di una persona cara, un ragazzo di 20 anni morto in un incidente stradale, sposato da un anno e padre di una bambina. Era il figlio di un mio amico e io ero il suo padrino di cresima.”
“Scrivo da pochi anni sorretto da una vecchia passione lasciata per tanto tempo da parte.”
“Tante volte le parole restano dentro o escono nel modo sbagliato. La poesia è un modo per dire le stesse cose, ma per dirle nel modo giusto.”
di Costantino Posa
a UNO come TANTI
Ho una spina nel mio cuore,
scandisce ogni attimo di lamenti
che si chiedono: Dov’eri tu quando io son nato?
Trattiene un unico stupore alla deriva,
quando nei pensieri serpeggia
la paura di dover scrivere per piacere
e non scrivere dei miei pensieri.
Questo tuo non voler tacere,
ti fa sentire sicuro, grande,
ma se è vero che sei grande
dove sono le parole fiere
che ti hanno fatto diventar grande.
Dove sono quei versi forgiati
dai fremiti di un sentire,
mentre il tuo dire, disegna
soltanto angosce, inganni,
frantumano le icone riflesse
di uno specchio corroso
dall’essere presuntuoso.
Io mi fingo di essere come
un pensiero ancora sospeso
e mi convinco che si vive
anche per un solo momento
e ancora per un solo momento
si ridiventa ancor più grande.
C R E P T I I
Non avrò nessun timore a lasciare quel che sento.
La mia ultima poesia, fatta senza una parola.
Carta bianca pattinata senza un verso d’ascoltare.
Esule per motivi di risposte mai chieste. Per un sogno mai sognato.
Solo passi, tanti passi, sempre passi, aspettando che la voglia torni.
Scrivevo solo per me.
Lascerò che il mondo va, sorridente, senza alcun mio lamento
e se poi, più in là, mi pento, che fa? Lascerò quel che sento.
BENTORNATO
Bentornato piccolo poeta,
pensavi di scappar via?
Non si può volare
…controvento.
Non si può cancellare
quel che sento.
Le parole…..vanno
e vengono, ma
il cuore resta.
Il cuore non batte mai
inutilmente.
Il cuore batte
ogni lettera
del tuo sentimento.
Il cuore piange
ogni tuo pentimento.
Poi alla fine ride
se lei,
nonostante tutto,
ti sorride.
Costantino Posa nato ad Acquaviva delle fonti Bari il 30/09/1950, vive a Santeramo in Colle, Bari, ha iniziato a scrivere poesie 4 o 5 anni fa, e non riesce più a fermarsi.
Con la GDS Edizioni ha realizzzato un quaderno di poesie (40) in vendita online ( Libreria Universitaria –
Ibis – GDS ) “Emozioni in versi”.
Opere Inedite, Annamaria Ferramosca
Annamaria Ferramosca: “Ho sempre sentito, nei miei tentativi di scrittura poetica, di star cantando una voglia forte di prossimità. Nel senso largo dello stare accanto, della spinta incandescente a voler accogliere e restituire ogni voce, dunque, dello scrivere per avvicinarsi e poi far avvicinare, come in una catena calda e gioiosa e fertile di altri incontri. Assomigliare a chi mi si accosta, in un cerchio di reciproco ascolto-condivisione, cercando di innescare poi l’osmosi tra ciò che cola sulla carta e ciò che il lettore cattura e diventa tessera di un suo percorso, sua anima. Sento che sia a me che scrivo sia a chi legge/ascolta può accadere così di allontanarsi un po’ dal proprio buio e di nuovo avvertire desiderio. Quello, transitivo, di sentirsi vivi, vitali, rivolgendosi all’altro che è accanto. Una prossimità che mi auguro possa divenire contagio.”
di Annamaria Ferramosca … Continua a leggere
Opere Inedite, Pierluigi Cuomo
Perluigi Cuomo, attore e regista, è anche poeta.
Pubblico volentieri le sue poesie, che ho scoperto di recente.
Per Pierluigi la poesia libera la coscienza “del sapere insieme”, della condivisione della conoscenza che proprio i poeti, più di tutti, avvicinano. Ecco, il tema di oggi potrebbe essere proprio quello della “conoscenza”. Il pensiero va a Dante al XXVI canto dell’inferno della Divina Commedia: “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”… Secondo voi la figura di Ulisse è il simbolo della ricerca del sapere?
“La poesia è libertà la poesia è musica la poesia è spirito la poesia è un faro che illumina gli angoli bui della coscienza. Remota e silenziosa non ha voce per esprimersi, solo un soffio può darle vita. Un sollievo alla mente che si affanna alla periodica ricerca del se’, dei sensi e del senso.”
di Pierluigi Cuomo
Opere Inedite, Patty Indiano
Patty Indiano dice di aver amato la poesia fin da giovanissima: “la poesia è stata sempre per me il luogo della riflessione, della ricerca dell’autentico, della libertà da tutti i filtri che poniamo tra noi e la verità.” E la verità per Patty , quando si ha il coraggio di esprimerla, necessita di un linguaggio energico e senza fronzoli, senza metafore, anche duro… e, secondo lei, tanto più efficace quanto più spoglio e privo di retorica.
Partendo da questi presupposti, la poesia di Patty è giunta a una scrittura asciutta, quasi scarnificata, che lei stessa definisce ‘essenziale’. Patty ama in particolare la poesia femminile, soprattutto quella di Anne Sexton e di Sylvia Plath, che sono state per lei un importante punto di riferimento. Patty pur riconoscendo valore alla tradizione poetica, rifiuta gli stereotipi e le convenzioni stilistiche. I suoi nuclei tematici sono: la sessualità, la maternità, la solitudine, lo sdoppiamento e l’amore. Continua a leggere
Opere Inedite, Luca Sanfilippo
Luca Sanfilippo è nato a Roma nel 1980. Ha compiuto studi regolari e ha conseguito, nel 2000, la maturità scientifica.
Nonostante l’intelligenza particolarmente acuta e l’apparente semplicità con cui ha affrontato gli studi scolastici, ha iniziato, verso la fine del percorso, a mostrare segni di irrequietudine, arrivando a perdere un anno e a mettere in secondo piano i rapporti interpersonali.
Siè iscritto all’Università con rinnovato interesse, tenuto vivo, in particolare, dalla letteratura inglese. Luca attraverso gli studi universitari ha continuato a cercare di risolvere, cambiando ambienti e intessendo nuovi rapporti, i propri disagi e le proprie mancanze.
Nel 2004, la svolta. L’ incontro con una donna straordinariamente forte e creativa, gli hanno dato la spinta necessaria a compiere quella che Luca stesso definisce: ‘una rivoluzione attorno al proprio asse, repentina quanto violenta. Via, rapporti sociali e familiari, comportamenti, pensieri e tratti caratteriali.’Luca ha iniziato a interessarsi all’arte visiva e, nel 2007, quasi partendo da zero, ha deciso di iscriversi al corso di Illustrazione della Scuola Internazionale di Comics (che porterà a termine tre anni dopo) .
Questi ultimi tre anni, ci dice, lo hanno spinto sempre più verso la pittura e a un’idea del ‘fare immagini’, inteso come movimento spontaneo e non mediato dal pensiero: l’ideale di mani che si muovano da sole. Continua a leggere
Opere Inedite, Letizia Dimartino
Per Letizia Dimartino la poesia è immergersi in una tempesta emotiva fortemente voluta. La tensione che deriva da questa ‘immersione’, non le fa sentire il senso di esclusione. Le sue rime nascono in quello che lei stessa definisce ‘un processo convulso’ che rende possibile l’espressione di sensazioni forti. Letizia non appare mai in pubblico, vive defilata, e in questa condizione matura lo scrivere. La poesia per lei è ‘gesto quotidiano’, vissuto come atto di autoaffermazione e rielaborazione. La sua poesia si rivolge al corpo, un corpo che comanda, un corpo ‘geograficamente sofferto’. “Sento che il mio è un rapporto intenso tra poesia del corpo e poesia dell’anima, rapporto che si intreccia, di continuo, al vivere la casa e le cose che la abitano – creature della mia vita chiusa- in gesti abitudinari. E se fuori la città vive e cambia, io, nella mia bolla intatta, scrivo ció che ‘vedo’, senza rapporti relazionali, in una assenza che mi procura desiderio della realtà da tradurre in versi. ” Continua a leggere
Opere Inedite, Enzo Ferrari
Per Enzo Ferrari “la poesia è l’intimità di una strada, il mistero di un paesaggio, il fresco di un pomeriggio, il riflesso di un bosco, che parlano per frammenti”. Per Enzo la poesia è Penna, Caproni, Saba, Sbarbaro, Conte. Questi poeti sono i suoi mentori. Persone, mari e montagne i suoi testimoni.
E poi, la carta, la mano che segna la pagina bianca, il foglio brillante e chiaro che si presta al compimento del lavoro. L’Importante, per Enzo, è riuscire a dare con la trama dei versi, spazio alla gente, assieme alla gente, che “seduta o in piedi” cammina verso una meta. Continua a leggere
Opere Inedite, Bruno Conte
Bruno Conte è un giovane poeta, e anche un ottimo critico di poesia. Ha diciannove anni e vive a Torre del Greco.
Nel 2010 si è iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Federico II di Napoli.
Bruno Conte è anche un calciatore (chiunque lo voglia conoscere sotto il profilo sportivo, può trovare in rete le informazioni necessarie). Bruno ha coniugato in sè il famoso motto latino di Giovenale: “Mens sana in corpore sano”. Per Bruno “il poeta d’oggi deve essere un atleta, allenato alla corsa del mondo. Deve compiere uno slancio. E la parola, la sua voce deve immergersi nella bellezza e nella mutevolezza del mondo. In questo modo, forse, si potrà ‘reinventare una speranza’ “, scrive Bruno Conte citando il poeta francese, Yves Bonnefoy.
Bruno Conte non ha fretta di scrivere e pubblicare poesie. Sa bene che ogni qualvolta si tenti di rappresentare con le parole ‘l’intima essenza del poeta’ si dispone di mezzi del tutto provvisori.
Bruno Conte ha già letto Rilke, che gli ha detto: “Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. […]” Continua a leggere
Opere Inedite, Monica Martinelli
Monica Martinelli ci detta “a cuore aperto” le modalità del suo “fare poesia”: “un rapporto fatto di pieni e di vuoti, in quanto ‘scatta’ per riempire un vuoto, una mancanza; così la poesia si sostituisce a me, mi subentra o agisce, a mia insaputa.” Come Monica dice, la sua poesia nasce da una mancanza, da qualcosa che, anche se non c’è, vuole disperatamente esserci. Ed è a questo punto che, a seconda dei casi, la sua poesia assume la forma di ciò che deve essere ‘riempito’ – la poesia svuota ed è svuotata – o di ciò che deve essere ‘svuotato’ – la poesia riempie ed è riempita. Ecco che Monica ci dice: “C’è quando io non ci sono, oppure quando mi sottraggo.” Per Monica la poesia diventa, in qualche modo, un rapporto insiemistico, che aggiunge e, insieme, toglie. Poi Monica dice: “la poesia è soprattutto una trasmissione e uno scambio di emozioni con chi legge. Ed è un risultato concreto, perché è qualcosa che resta, per chi viene dopo.” Continua a leggere
Opere Inedite, Riccardo Raimondo
“Oltre alla poesia Verso un’ecologia del verso che apre la mia raccolta inedita Il potere dei giocattoli, non so trovare parole migliori per parlare del mio rapporto con la poesia. Spero che basti.” (Riccardo Raimondo)
“Perché scriviamo?/ Non ne ho idea./ Ma forse noi neanche scriviamo,// siamo scritti,// subiamo/ come lo scoglio subisce la marea/ l’orgoglio la ferita.// Scriviamo come tuona il fulmine,/ scorre il fiume nel solco scavato,/ la frana crepa rubando lo spazio,/ come la vacca muta muta// fa la cacca// e lo spaventapasseri spaura/ lo stormo mai sazio di verdura.”
di Riccardo Raimondo
“Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche che la domanda è insieme buffa e sconvolgente. Come domanda buffa, avrà certamente delle risposte buffe: ad esempio, che scrivo perché non so fare altro; o perché sono troppo disonesto per mettermi a lavorare.”
(Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa) Continua a leggere
Opere Inedite, Donatella Nardin
Per Donatella Nardin la poesia è un magma oscuro che si fa governare da lemmi e forme decifrate con pazienza certosina e rigore, per articolarsi poi nei temi di tutti e di sempre: l’umana, indecifrabile sofferenza, il conflitto, il disinganno, l’impossibilità, l’assenza. Spesso tale materia si impone improvvisa per rafforzare nel suono la percezione di sé e delle cose intorno quasi a coglierne lo scarto inatteso, l’epifania. Altre volte la parola poetica si cerca in un corpo a corpo contro/verso per liberare gli occhi e il cuore, per portare alla luce una preghiera dolorosa, insistita, un’istanza ripetuta, quasi la voce ultima di qualcuno che senza colpa è rimasto fuori, escluso, perduto.
Con molto pudore, con grande pena. Nel suo vario articolarsi, si modula in una continua, inattingibile ricerca di senso, nel tentativo inesausto di decifrare le linee sottese alla trama, la loro essenza precisa, incarnata.
A volte si intona alla serena armonia del respiro, con un linguaggio piano, assertivo. Nella continua pretesa di forme e assunti migliori, più autentiche e di una maggiore consapevolezza poetica, negli ultimi anni ha accostato molti autori classici, moderni e contemporanei in una lettura disordinata e onnivora.
Donatella Nardin rifugge “la trimurti poetica della scrittura consolatoria, del sentimentalismo lirico sdolcinato e dell’eccessivo concettualismo.” Si porta nel cuore le considerazioni dei grandi sulla poesia come quella del poeta francese Yves Bonnefoy che osserva ” la poesia è la presenza viva di ciò che incombe, nell’illusione profonda di avere la meglio sulla morte “. Continua a leggere
Opere Inedite, Vincenzo Gramegna
Vincenzo Gramegna mi ha scritto di aver appreso una volta da un poeta americano – Lawrence Ferlinghetti – che la poesia è la voce della quarta persona singolare. Vincenzo ha strabuzzato gli occhi, stupito e si è detto: “è vero!”
Vincenzo molti anni prima leggeva, grazie alle indicazioni ricevute da un professore di liceo, Arthur Rimbaud che diceva: “Io è Altro” e per Vincenzo anche questo era vero. Per Vincenzo “scrivere ‘cose’ come poesie che siano immagini è fondamentale.” A lui piacciono gli scatti lomografici e la comunicatività sanguigna che a volte prendono quando raccolgono gli angolini delle metropolitane e i marciapiedi. Vincenzo prova a scattare fotografie con la scrittura. Prova anche a riversare nella poesia tutta la sua natura silenziosa che vorrebbe tanto raccontare a voce, ma spesso Vincenzo è in difficoltà con le parole dette e predilige quelle scritte. Il mondo del web, negli anni lo ha aiutato a sentirsi libero di dire ciò che vuole e per questo la formula di scrittura mutuata dagli ambienti MUD, forum, chat, lo aiuta a trovare un ‘sacco’ di parole per comunicare. La poesia per Vincenzo è il senso di meraviglia che si genera dentro di lui leggendo Penna e Ungaretti, i suoi poeti italiani prediletti. La poesia per lui è anche l’immagine che gli suggerisce di tanto in tanto una canzone. La poesia per Vincenzo potrebbe anche essere canzone. La poesia per lui è anche una piccola rivoluzione delle parole ed è inventarne di nuove che si possono accostare alle cose ed alle persone strambe che girano in città e che non sai come chiamare. “Poi ci sono i bambini” scrive Vincenzo “ed il loro mondo fatto di parole semplici.” Vincenzo ha scoperto un giorno il linguaggio dei bambini e le loro espressioni di meraviglia durante le giornate di lavoro e di scuola e ha capito che tanta poesia la può imparare stando con loro. Per Vincenzo la poesia è anche lo spazio bianco della mente che sente il bisogno di arredare.
“Quando scrivo ‘Io’ la voce che esce dalla penna arriva da lontano.”
“La poesia è usare parole che non sembrino uscite da un dizionario dei sinonimi e contrari ma che appaiano nate da una bocca, generate con la lingua.”
“La poesia è anche liberazione dall’ossessione per il cibo in un rapporto di amore-odio che me lo fa inserire in ogni cosa – o quasi – che scrivo.”
di Vincenzo Gramegna
Sempre venerdì sera
la luce bianca fuggita via ha lasciato solamente un alone di paura, bevo tutto il giorno e penso a questo paese sempre in guerra, ai vicoli di Acerra e che non ho nemmeno più la forza di camminare ma riesco a fischiettare il più bel motivo che mi rimane: sweet jane e barcollare. Piscio come un cane e mi immagino ad annusare gli angoli del marciapiede vestito di latex nero con un collare.
Contratto t.i.
Sto abbastanza bene, appena tornato da un mare in tempesta molto bello
il vento è andato via di lì ed è venuto qui con me,
mi sono tuffato in mezzo alle onde, poi avevo freddo.
Io, un po’ rosso e un po’ sazio di nuoto.
E un po’ gonfio di cibo e un po’ contento per motivi di lavoro
e un po’ curioso e un po’ creativo
e forse a tratti un po’ cretino, un di tutto un po’ che fa bene.
Da lontano adesso vedo la pensione e poi la morte,
sono stato costretto a mostrare la felicità ma non mi importa.
Se un giorno facessero la coca cola di colore rosa
la cosa mi colpirebbe di più di un nuovo contratto di lavoro.
Asperger punto0 (mentre playground love vibraphone version scorre)
Sono
sul divano della sindrome di Asperger, il vibrafono mi entra nelle tempie.
Fermo,
nella musica rallento al cubo e rubo colore e frammenti del muro
di suono,
la vela che spinge l’uomo-idiota-sapiente fuori da me.
Oggi dovrei muovermi, distrarmi negli spostamenti di realtà che non fanno bene.
Compulsiva voglia di vedere qualcuno incollata al deretano
e di starmene appeso al darwinismo neurale delle lancette dell’orologio, dentro il divano
e nessuna voglia di trovare scuse sul portafogli perso chiavi in mano.
Devo uscire ma peso troppo.
Posso lasciare la porta aperta al saldo contabile della verità:
ho scoperto che
c’è solo il vuoto sotto quest’ultima riga.
Asperger punto1 (sulle labbra)
Non sono finto, taccio per “timidezza d’amore”
vorrei stare qui e che tu mi accarezzassi come fossi il tuo cane di cui ho solo la fame e l’odore,
adesso sono servo della bestia che trattengo e sono il padrone,
custodisco me stesso nel silenzio per ritmare
fuori-tempo,
il respiro.
Con l’odore di bruciato sulle mani, lascio due righe profonde, raschiate sotto il banco.
Quando la febbre scorre via, ho le ali cucite a mano dietro la schiena che mi fanno perdere il fiato
e resto sottovuoto.
Ho speso molto denaro, sono leggero e posso volare.
Nevica.
Il servizio clienti ha elencato i rischi
e sordo, col pensiero fisso nella pornografia telefonica, aspetto in silenzio di partire.
Ho messo le ruote da neve per un atterraggio softcore.
Lomo.txt
A. cammina sul bordo del deposito dei bus e del magazzino delle poste, non sa nulla di quello che tiene sulla sua sinistra, cammina, passeggia, barcolla, guardando l’hotel dorato e blu che lo domina con comete soldi e saliva. Io poco meglio di lui torno rintontito da parole miste d’italiano e arrikkito dall’interlingua aspetto la sera che arriva per bere litri di vino a buon mercato e per ascoltare “alive” dei Pearl jam. Ora dormo mentre gli altri sono partiti per il rave. Ho guardato il ciclope nell’okkio, l’ho fissato e sfidato senza timore.
Ho dato fuoco al bosco e non me ne sono pentito, tanto poi ho comprato una rosa indiana e l’ho regalata alla prima puttana ke ho incontrato vicino al supermercato di fianco alla scuola dove lavoro, le ho rubato l’oro ke portava negli okki e arrikkito dal metallo poco pesante, ho pensato di sfruttare il mattino per respirare il banco di nebbia ke ogni giorno continua a spuntare sotto casa.
Portici
Con i ragazzi drogati l’ho passato in autobus il film muto di questo mattino bolognese che non è mio, i passanti scorrono, in un ordine che già esiste, s’accalcano alle casse, colonne della grande distribuzione. A guardia dei consumatori due uomini, accattoni, paonazzi, sbocciano in una luce da 1000 watt:
Teatrino della vita
il faro direzionale illumina una coppia felice: madre/figlia, – con pochi spiccioli pper caldarroste? Rumore di vetro in piccola esplosione mmalauguratamente interrompe il fuoco sulla relazione “parenti di sangue”. Un tappeto di scorze calde rende onore alle loro vite e mi inchino a raccoglierne una per giocarci un po’ e giacere steso per terra come loro fra piedi e carta regalo:
ora mi camminano negli orecchi
…e le risate riflesse sul lastricato, nel dolby surround del porticato.
Mi chiedo: – perché tornare su nella posizione eretta che non mi si addice in questo momento! Nascosto nell’ombra in questa selva di gambe,
non sono mai stato meglio,
voglio essere calpestato.
Biobibliografia
Vincenzo Gramegna, 34 anni, pugliese, laureato in scienze della formazione primaria con una tesi su alfabetizzazione e new media dal titolo “la scuola medium dei media”.
Si dedica part time a scrivere testi su di sé e su immagini che lo colpiscono.
E’ stato pubblicato nelle antologie:
Coopforwords 2006, Bio-scritture nella sezione blog ed sms
Coopforwords 2007, Tracce di realtà, primo classificato nella sezione blog con “lomo.txt”
Coopforwords 2008, Pascoli è precario, con il testo Pascoli è precario (blog) selezionato anche per il titolo dell’antologia.
Coopforwords 2009, A.A.A. cercasi realtà, con Dark room: è venerdì sera (blog, 3 classificato)
Monotono ma anche nel 2010 è inserito in coopforwords con il testo -Question time-
Opere Inedite, Viviana Scarinci
Viviana Scarinci ha una scrittura forte che si pronuncia nel suo farsi parola, che ha la necessità di essere parola scritta, e, in quanto parola scritta, parola dicibile. La sua poesia si snoda da lei innalzandosi come una “voce sopra altre voci”. Viviana avverte la poesia come un regime colmo di imposizioni, regole, che si rispecchiano direttamente sulle sue scelte e sui suoi comportamenti. Riconosce alla sua poesia una “strana forma di normalità” di cui ha dovuto, a un certo punto nella vita, dare spiegazioni. E’ accaduto, ad esempio, quando ha raccontato ai suoi due figli che cosa fosse questa “cosa” che riempie gran parte della sua giornata.
Per Viviana la poesia è “un linguaggio a sé, o addirittura, una sorta di idioma alternativo per comunicare un’esperienza immateriale come quella dell’essere nel suo profondo.” Anche lei, come molti altri poeti che hanno scritto a questo blog, ha iniziato un percorso di scrittura in età giovanile, ancor prima di capire che c’era già allora, il germe di ciò che oggi chiamiamo ‘poesia’. Viviana da allora non ha fatto altro che guardare dal lato in ombra le stesse cose che guardano tutti e con l’ombra di quelle, fare all’infinito ciò che fece la Wendy di Peter Pan la volta che Peter perse l’ombra: “conservarla in un cassetto per poi, al momento giusto, provvedere laboriosamente a ricucirla.”
“La poesia che amo di più non fa che tentare con l’ombra tessiture visibili.”
di Viviana Scarinci
Il padre
1.
sto nelle cose come
un’estensione tua
le proseguo e ti combatto
e non sembra in questo
buco che un dilagare
passando ristrettezze
aggrumate a un centro
così puro che non esiste
come non esiste parola
per cui si cerchi più
di un bisogno ammutolito
l’impronta più fonda
di un claudicare, il passo
che non sostiene e sottrae
protraendo nient’altro
che questo scambio iniquo
di pesi e venti che
la terra solleva
2.
tu lo sapevi l’abitato
la distorsione refrattaria
a darsi conto o pace
ed eri come quelle notti
meridionali che acquetano
le mura in una sola ombra
a segnarti dove
mandare a memoria
dove smettere
la somma delle stagioni
e sui giorni a venire
operati dall’ansia
di sapersi, come
un vago esorcismo
cominciavi a eclissarti
3.
è tutto lì, rintracciabile
attorno a una coerenza perduta
e manifesta che ci attende
non è che passare da un varco
il darsi a questo ricorso
mettendo a dimora ogni sentenza
adesso che una forza
continua a dimenticarci
come fossimo sempre
stati in fuga da quell’animale puro
spaventoso e ora lo si veda
per intero nei nostri occhi
e senza più fretta
di concludergli un assetto
il gigantesco edificio
di ciò che non abbiamo saputo
toccare barrisce la sua mole
enorme, miserabile
Dalla raccolta inedita “Atti del farsi“, di Viviana Scarinci
Biobibliografia
Viviana Scarinci, ex responsabile della segreteria di presidenza dell’Università Popolare di Roma, Upter, e della segreteria generale della Fipec, Federazione Nazionale per l’Educazione Continua, è stata segretaria di redazione di Open, Rivista Italiana di Educazione Continua edita dalla EdUP, Edizioni dell’Università Popolare. Ha lavorato come responsabile amministrativa per Apeiron Edizioni & Distribuzioni. Ha curato per Apeiron Editori, il libro di memorie collettive L’isola di Kesselring. Ha vinto diversi premi letterari tra cui la sezione Scrivere i Colori del Premio Grinzane Cavour.
Le sue poesie sono state pubblicate su Nuovi Argomenti, Atelier, Gradiva, Capoverso, il Segnale, Tratti. Nel Gennaio 2009 è uscito il libro Le intenzioni del baro, poesie 1995-2007 (edito in proprio da ilmiolibro.it del gruppo l’Espresso). Fa parte della redazione del blog collettivo Viadellebelledonne.
Gestisce il blog http://vivianascarinci.wordpress.com/
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