Dalla postfazione di G. Maretti Tregiardini
Marco Munaro sembra aver scritto “Berenice” per placare sé stesso come autore e come essere. Non come uomo, bensì come essere, perché in questo libro lui è un essere dell’Ente. Si cala totalmente pienamente ciecamente nel «gran mar de l’essere» per naufragare e naufragare. Riemerge e vede lei, Berenice; naufraga e chiama lei, Berenice. Ogni immersione lo purifica e lo trasforma, gli dà la veggenza perché gli dà l’oblio di sé. Resta pensante, ma in forma d’albero, d’uccello, di macigno, di astro, di morto, di vivo, di risorto. […]
Al lettore
Questa voce attraversata da fiumi e bagnata dal mare, da città e pietre, è cresciuta a scuola dall’abisso della mia anima buia, è fiorita sotto la volta scorticata. E ancora, una ragazza che forse non esite mi ha salvato. L’ho chiamata Berenice.
Marco Munaro
Rovigo, luglio 2012 – dicembre 2013 Continua a leggere