Dalla nota introduttiva di Alessandro Catà
Lo stupore della parola in me nasce da lontano.
Con un compagno di scuola, ai tempi delle elementari, componevamo versi su temi indicati dalla maestra o immaginati da noi n lunghi pomeriggi, seduti sui gradini di una chiesa, davanti a una fontana.
Le frasi erano per lo più altisonanti, ma le parole, indipendentemente dal loro contenuto, coincidevano in me con la luce di quei pomeriggi che andavano verso l’estate; coi bagni che presto avremmo fatto in mare; con le strette strisce che correvano sotto l’acqua bassa della riva: lunghe linee di sabbia che immaginavo come fili di uno strano telegrafo subacque; coincidevano con le montagne dell’alta Sabina, dove viveva mia nonna, somigliavano alla forma delle nuvole e dell’eternità del tempo che goca con la mente di un bambino. […]
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Alessandro Catà, "Continenti persi"
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