Il racconto autobiografico di Tomaso Kemeny, “Per il lobo d’oro“, (Effigie 2020) copre quaranta anni del Novecento, dal 1938, anno di nascita dell’autore a Budapest, fino al 1978 a Milano. L’azione include la caduta di suo padre sul fronte russo e la successiva “invasione-liberazione” dell’Ungheria da parte dell’Armata rossa.
Nel 1947 Kemeny viene adottato dal patrigno e nel 1948 la famiglia fugge dall’Ungheria per non venire deportata.
L’avventura esistenziale vede l’autore, peso medio negli Stati Uniti, sul ring di Chicago. Segue l’incontro con André Breton e le esperienze d’avanguardia nella Milano degli anni Settanta. Il libro evoca i labirinti di libertà percorsi e costruiti da un poeta nostro contemporaneo.
ESTRATTI
Il libraio Michele Morale, fu il mitico libraio di Piazza Piola A Milano. Più che vendere libri e CD si sforzava di fornire nutrimento culturale agli avventori. Era dotato di due lobi piuttosto pronunciati, e io ,scherazando, cercavo di tirarglieli, ma lui opponeva resistenza. “Professore, se lei fose una bella ragazza o Napoleone, le lascerei tirare i miei lobi, ma così…” Bisogna sapere che io gli avevo raccontato che mio nonno, Gyula, un cultore di Napoleone, da bambino raccontò come l’Impereur, in segno di benevolenza, soleva tirare i labi dei suoi guerrieri. Un giorno il Sig. Morale mi disse:” Le sue poesie, per quanto interessanti, vendono pochino. Perchè non scrive un romanzo, forse riuscirebbe a raccogliere un po’ di soldi…”.
Quando il caro Morale, con cui mi piaceva anche prendere il caffè, la mia abitazione essendo vicina al suo negozio, ci lasciò, decisi che avrei dedicato un mio lavoro in prosa, appunto, questo “Lobo d’Oro”. Decisi di fare l’autobiografia dei miei primi quarant’anni(1938 -1978) trascivendo di getto ciò che la mia memoria riusciva a custodire.
Era Natale a Budapest, l’albero era illuminato da candeline, non c’erano ancora quelle lampadine elettriche di oggi. L’albero, a un certo punto, oscillò per poi rovescirsi, incendiando il nostro salotto.
Fu mi Padre a spegnere il fuoco che stava divorando tappeti e tendaggi. Papà poi partì volontario in guerra per liberare la Transilvania, antica Patria magiara, ora rumena. Purtroppo la guerra si spostò sulla pianura russa, dove Papà cadde combattendo. Quando,nni dopo, l’Armata Rossa stava travolgendo gli eserciti germanici e maguari, mia Madre, la donna più bella di Budapest, chiese alla mia bambinaia, Miaria, di portarmi al sicuro a Gonyu. Maria si era appena sposata con Otto, capitano della flotta ungherese che presidiava il sacro Danubio, che ci portò a destinazione con la sua nave. Mentre i sovietici bombadavano a tappeto Budapest, io in campagna fui felice che mai, totando fiondate con i contadinelli, correndo per i campi, e per quanto le bambine mi paresser insignificanti, una bambina bionda, Rozsika, si immaginava di essere la mia fidanzata.
Purtroppo la mamma ebbe torto, l’Armata Rossa puntò sulla città di Gyor, a pochi chilometri da Gonyu. Il drappello di soldati tedeschi, comandati a non ritirarsi, e un giovane ragazzo di 16, anni, il fratello di Rozsika, morirono mentre avanzava l’Armata di migliaia di elementi. Non sapendo cosa facesserò i nazisti, io salutai l’arrico dei “barbari” con un “hei Hitler”. Ma i russi non facevano male ai bambi, li feci ridere, anche se più avanti, mi posero una mela sulk capo giocando a fare i Guglielmo Tell, per fortuna avevano buona mira. Oltre uccidere il pollame , i maiali e buttare bombe a mano nel Danubio per pescare senza fatica i pesci, i guerrieri “liberatori” si impegnarono a violentare le ragazze. Una vecchina, Veruska, di 70, ancora vergine e malata di tipoo, fu vilata a turno da sette soldati. Sculettava per l’aia ridendo e gridando “mi hanno violentata”. Il Pastore calvinista pensava avesse perso la mente, ma in realtà era felice di avere finalmente assaporata le verigini della sessualità, così dicevani i contadini, ridendo della sua allegria, in contrasto con la situazione di essere derubati, violati umiliati. Tra l’altro i russi rubanavano l’orologio a tutti, e nella loro ignoranza, quando l’orologio si fermava , lo buttavano via, pensando che l’animaletto tic-tac fosse defunto. Mia Madre mi venne a prendere e trovai Budapest invasa da truppe risse, inglesi, americane e francesi. Gli americani distribuivano caramelle e frutti (vidi la prima banana),Gli inglesi difendevano le donne dao tentativi di violenza dei sovietici, i francesi agitavano la lro bandiera tricolore sul “famoso” Ponte delle Catene”, sul Danubio. Anni dopo gli stalinisti ungheresi nazionalizzarono la notra fabbrica e offrirono al mio padre adottivo di diventarne il Direttore,dopo essersi iscritto al Partito. Ma anche il secondo Papà era un eroue.Fece due nni di lavori forzati durante il governo nazionalista in quanto pacifista. Rifiutò di iscriversi al partito dicendo di essere socialdemocratico e contrario al partito unico. La stessa notte dovemmo fuggire per non essere deportati come “nemici del popolo”. Un compagno comunista pacifista, che aveva subito il campo di lavoro insieme a Papà, di notte ci offrì i passaporti falsi, e mio Padre, campione nazionale di pallanuoto negli anno ’30, figurò come massaggiatore, della squadra di calcio dell’Ujpest, e abbandonammo il paese comodamente in aereo, atterrando a Venezia, In seguito chiedemmo l’asilo politico e fummo internati nrl campo profughi a Banoli, vicino a Napoli. Qui,strisciando sotto i fili spinati del campo, uscii per giuocare a calcio con i ragazzi napoletani (e da allora sono diventato tifoso della squadra del Ciuccio, del Napoli). Mi padre parlando sette lingue, fu chiamato a lavorare a Milano. Ma scendemmo a Firenze a vedere questa meravigliosa Atene conrtemporanea, come diceva la mamma. Mi innamorai delle Madonne di Rafaello, figure materne che tutto mi paiono perdonare. La Mamma voleva vedere la casa di Michelangelo, il vigile, a nostra sorpresa, pensò che cercasse una casa di moda. Papà osservò :”nemo propheta in patria”. Do po anni a Milano,dove iniziai a frequentare le elementari, ebbi una borsa di studio per gli Stati Uniti. A Chicago, nella Swift High School, soffrìi un rito di iniziazione .”Dp you want to fifght?”, mi disse un ragazzo-armadio. Dissi “Yes!” e fui picchiato a sangue. In seguito frequentai una palestra a La Salle Street, e scoprìi di avere un gancio di sinistro irresistible. Nella stessa palestra venne il grande Sugar Ray Robinson, che mi disse “com quel sinistro arriverai in alto”. Mi chiamarono “Absolute Tiger” dopo che al primo round vinsi 4 partite da dilettante. Il pubblico scometteva sulle nostre “match”. Con Sugar feci non solo footing lungo La Salle Street, ma un giorno ballammo con niente di meno che Abbe Lane( con la magnifica ho fatto due passi!). Il quinto incontro fu fatale, il mio sinistro fece solo il solletico a quel fenomeno di colore che mi inviò direttanmente all’ospedale e così addio pugilato e avanti tutta con la poesia. Continua a leggere