Premio Letterario Internazionale Ceppo


C O M U N I C A T O  S T A M P A

La 67a edizione del Premio Letterario Internazionale Ceppo, diretto e presieduto dal poeta Paolo Fabrizio Iacuzzi, presidente onorario Giuliano Livi, prosegue a Pistoia con un ricco programma di eventi dal 20 aprile al 13 maggio, dopo le tre importanti anteprime che si sono svolte dal 25 gennaio al 10 marzo: Il Ceppo per le Giornate della Memoria, Il Ceppo per la Poesia e la Pace in Ucraina, Il Ceppo per Gadda.

Un grande sforzo organizzativo, sostenuto dalla Fondazione Cariptdichiara Iacuzziche ha coinvolto finora oltre mille partecipanti tra Pistoia e Firenze. Il premio Ceppo e il suo Progetto educativo, è sostenuto da oltre cinquanta insegnanti che credono nella sua azione educativa per sviluppare le competenze di vita dei ragazzi.  Quest’anno, grazie all’impegno dei giurati Filiberto Segatto (Ceppo Ragazzi Goldkorn e Ceppo Giovani Bolognini), Ilaria Tagliaferri (Ceppo Ragazzi Sarfatti), Matteo Moca (Ceppo Giovani Piccioni) che insieme a me col premio Ceppo Giovani Poesia in collaborazione anche con Annamaria Iacuzzi e Alessio Bertini di Pistoia Musei ha dato vita a laboratori di lettura fra letteratura per ragazzi e adulti, rivisitazione di grandi classici come Gadda e Svevo, incroci fra poesia, narrativa, arti figurative e cinematografiche, sviluppando negli studenti delle scuole primarie e secondarie di I e di II grado di Pistoia e di Firenze le capacità di analisi critica e di efficace sintesi dei contenuti, molto spesso mettendo in gioco le loro esperienze vissute”.

LE DUE TERNE FINALISTE PER LA POESIA 

La Giuria della 67a edizione del Premio Letterario Internazionale Ceppo, dopo aver conferito a febbraio il Premio Ceppo Internazionale Poesia Piero Bigongiari a Ljudmyla Djadcenko  – Premio Ceppo per la Pace e la Poesia – ha definito a aprile 2023 le terzine.

I finalisti del Premio Ceppo Poesia: Gabriel Del Sarto Sonetti bianchi (L’Arcolaio); Stefano Massari Macchine del diluvio (MC Edizioni); Luigia Sorrentino Piazzale senza nome (Samuele Editore).

I finalisti del Premio Ceppo Poesia Under 35: Francesco Brancati L’assedio della gioia (Le Lettere), Riccardo Innocenti Lacrime di babirussa (NEM); Eleonora Rimolo Prossimo e remoto (Pequod).

La selezione delle due terzine è avvenuta su una scelta di oltre 100 libri partecipanti, pubblicati da consolidate e giovani case editrici. Tutti i finalisti hanno scritto delle brevi Lecture sulle tre parole chiave della loro poesia, che verranno pubblicate sulla rivista on line  SuccedeOggi  media partner del Premio Ceppo.

La Giuria dei Giovani Lettori, che voterà in diretta le due terne, è composta da 23 membri, di cui la maggior parte è stata selezionata su cinquanta candidati degli Istituti secondari di II grado che hanno partecipato al Premio Ceppo Giovani Poesia Pistoia Musei per il miglior commento a una poesia dei sei vincitori. Tra i giurati degli enti sostenitori, in rappresentanza del Comune, ci sono Gabriele Sgueglia (assessore alle Politiche Giovanili) e Irene Bottacci (presidente Commissione Cultura).

PREMIO ALLA CARRIERA A VALERIO MAGRELLI

La Giuria Letteraria, presieduta da Iacuzzi, composta da Alberto Bertoni, Michele Bordoni, Martha Canfield, Giuliano Livi, Andrea Sirotti, Filiberto Segatto, Ilaria Tagliaferri e Gabrio Vitali ha inoltre deciso di assegnare il Premio Ceppo Pistoia Capitale della Poesia a Valerio Magrelli per l’intera sua carriera letteraria, che vince un premio offerto da Berni Store. Continua a leggere

La poesia di Arundhathi Subramaniam

Arundhathi Subramaniam

For a poem, still unborn

Over tea we wonder why we write poetry.
Ten people read it, anyway.
Three are committed in advance
to disliking it.
Three feel a vague pang
but have leaking taps and traffic jams
to think about.
Two like it
and wouldn’t mind telling you so,
but don’t know how.
Another is busy preparing questions
about pat ironies
and identity politics.
The tenth is wondering
whether you wear contact lenses.

And we,
as soiled as anyone else
in a world addicted
to carbohydrates
and words,

still groping
among sunsets and line lengths and
slivers of hope

for a moment
unstained
by the wild contagion
of habit.

*

A una poesia non ancora nata

Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie.
Dieci persone le leggono, in ogni caso.
A tre non piacciono
per partito preso.
Tre provano un vago struggimento
ma devono pensare ai rubinetti che perdono
e al traffico cittadino.
A due piacciono
e non avrebbero problemi a dirtelo,
ma non sanno come.
Un’altra è tutta presa a preparare domande
sulle facili ironie
e sulla politica dell’identità.
La decima si chiede
se porti le lenti a contatto.

E noi
corrotti come chiunque altro
da un mondo assuefatto
ai carboidrati
e alle parole,

brancoliamo ancora
fra tramonti, metrica e
schegge di speranza

per un istante
liberi
dal terribile contagio
dell’abitudine. Continua a leggere

Carol Ann Duffy, “Valentine”

Carol Ann Duffy

      VALENTINE

 

Not a red rose or a satin heart.

I give you an onion.
 It is a moon wrapped in brown paper.
 It promises light
 like the careful undressing of love.

Here.
 It will blind you with tears
 like a lover.
 It will make your reflection
 a wobbling photo of grief.

I am trying to be truthful.

Not a cute card or a kissogram.

I give you an onion.
 Its fierce kiss will stay on your lips,
 possessive and faithful
 as we are,
 for as long as we are.

Take it.
 Its platinum loops shrink to a wedding-ring,
 if you like.
 Lethal.
 Its scent will cling to your fingers,
 cling to your knife.

      A SAN VALENTINO

 

Non una rosa rossa o un cuore di raso.

Ti dò una cipolla.
 E’ una luna avvolta in ruvida cart a scura.
 Promette luce
 come il lento spogliarsi dell’amore.

Eccola.
 Ti accecherà di lacrime
 come un amante.
 Renderà il tuo riflesso
 un traballante ritratto di dolore.

Sto cercando di essere onesta.

Non un biglietto lezioso o baci per interposta persona.

Ti dò una cipolla.
 Il suo bacio pungente resterà sulle tue labbra,

possessivo e fedele
 come noi,
 finché lo saremo noi.

Prendila.
 I suoi cerchi di platino si riducono a un anello nuziale,
 se vuoi.
 Letale.
 Il suo odore si appiccicherà alle tue dita,
 al tuo coltello.

VALENTINE, di Carol Ann Duffy, tratta da La donna sulla luna, poesie scelte di Carol Ann Duffy, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2011

 

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Una poesia di Carol Ann Duffy

Carol Ann Duffy

      THE LONG QUEEN

The Long Queen couldn’t die.
 Young when she bowed her head
 for the cold weight of the crown, she’d looked
 at the second son of the earl, the foreign prince,
 the heir to the duke, the lord, the baronet, the count,
 then taken Time for a husband. Long live the Queen.

What was she queen of? Women, girls,
 spinsters and hags, matrons, wet nurses,
 witches, widows, wives, mothers of all these.
 Her word of law was in their bones, in the graft
 of their hands, in the wild kicks of their dancing.
 No girl born who wasn’t the Long Queen’s always child.

Unseen, she ruled and reigned; some said
 in a castle, some said in a tower in the dark heart
 of a wood, some said out and about in rags, disguised,
 sorting the bad from the good. She sent her explorers away
 in their creaking ships and was queen of more, of all the dead
 when they lived if they did so female. All hail to the Queen.

What were her laws? Childhood: whether a girl
 awoke from the bad dream of the worst, or another
 swooned into memory, bereaved, bereft, or a third one
 wrote it all down like a charge-sheet, or the fourth never left,
 scouring the markets and shops for her old books and toys –
 no girl growing who wasn’t the apple of the Long Queen’s eye.

Blood: proof, in the Long Queen’s colour,
 royal red, of intent; the pain when a girl
 first bled to be insignificant, no cause for complaint,
 and this is to be monthly, linked to the moon, till middle age
 when the law would change. Tears: salt pearls, bright jewels
 for the Long Queen’s fingers to weigh as she counted their sorrow.

Childbirth: most to lie on the birthing beds,
 push till the room screamed scarlet and children
 bawled and slithered in their arms, sore flowers;
 some to be godmother, aunt, teacher, teller of tall tales,
 but all who were there to swear that the pain was worth it.
 No mother bore daughter not named to honour the Queen.

And her pleasures were stories, true or false,
 that came in the evening, drifting up on the air
 to the high window she watched from, confession
 or gossip, scandal or anecdote, secrets, her ear tuned
 to the light music of girls, the drums of women, the faint strings
 of the old. Long Queen. All her possessions for a moment of time.

      LA REGINA LUNGA

La Regina Lunga non poteva morire.
 Giovane quando chinò il capo
 al freddo peso della corona, aveva guardato
 il figlio cadetto del conte, il principe forestiero,
 l’erede al ducato, il lord, il baronetto, il visconte,
 e poi preso per marito il Tempo. Lunga vita alla Regina.

Di che cosa era regina? Donne, ragazze,
 zitelle, streghe e befane, balie, vedove,
 mogli, matrone, madri di tutte costoro.
 La parola della sua legge l’avevano nelle ossa, nell’innesto
 della mano, nel piede scatenato nel ballo.
 Non c’era bimba al mondo che non fosse figlia della Regina Lunga.

Non vista, lei governava e regnava; alcuni dicevano
 in un castello, alcuni dicevano in una torre nel cuore di tenebra
 di un bosco, alcuni dicevano in giro cenciosa, travestita,
 a separare i buoni dai cattivi. Spediva lontano i suoi esploratori
 nel cigolio delle navi ed era regina di altre ancora, di chi,
 ora non più, in vita era stata femmina. Viva la Regina.

Quali erano le sue leggi? Infanzia: se una ragazza
 si destava dal peggiore dei sogni, o un’altra
 illanguidiva nei ricordi, affranta, desolata, o una terza
 annotava tutto in un atto d’accusa, o la quarta mai s’allontanava,
 e perlustrava mercati e negozi alla ricerca dei suoi vecchi libri e giocattoli –
 non c’era ragazza che crescesse che non fosse beniamina della Regina Lunga.

Sangue: prova, nel colore della Regina Lunga,
 il rosso reale, di intenti; il dolore quando una ragazza
 la prima volta mestruerà sarà insignificante, da non lamentarsi,
 e una volta al mese, legato alla luna, fino alla mezza età,
 quando la legge cambierà. Lacrime: perle di sale, gioielli lucenti
 che le dita della Regina Lunga peseranno nel contarne la pena.

Parto: le più giaceranno sul letto di travaglio,
 spingeranno con urla che faranno scarlatta la stanza e i bambini
 gli guizzeranno strillanti fra le braccia, fiori ammaccati;
 alcune saranno madrine, zie, maestre, affabulatrici,
 ma chi l’avrà provato giurerà che il dolore valeva la pena.
 Nessuna madre ha partorito figlia che non onorasse nel nome la Regina.

E i suoi piaceri erano le storie, vere o false,
 che giungevano la sera, e per l’aria salivano su
 all’alta finestra da cui lei guardava, confessione
 o pettegolezzo, scandalo o aneddoto, segreti, l’orecchio teso
 alla musica lieve delle ragazze, i tamburi delle donne, le flebili corde
 delle vecchie. Regina Lunga. Tutto le sue ricchezze in cambio di un attimo di tempo.

Una poesia di Carol Ann Duffy, ‘The Long Queen’ tratta da La donna sulla luna, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2011

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U A Fanthorpe, una poesia

A destra, U A Fanthorpe


THE POET’S COMPANION

Must be in mint condition, not disposed
To hayfever, headaches, hangovers, hysteria, these being
The Poet’s prerogative.

Typing and shorthand desirable. Ability
To function on long walks and in fast trains an advantage.
Must be visible/invisible

At the drop of a dactyl. Should be either
A mobile dictionary, thesaurus and encyclopaedia,
Or have instant access to same.

Cordon bleu and accountancy skills essential,
Also cooking of figures and instant recall of names
Of once-met strangers.

Should keep a good address book. In public will lead
The laughter, applause, the unbearably moving silence.
Must sustain with grace

The role of Muse, with even more grace the existence
Of another eight or so, also camera’s curious peeping
When the Poet is reading a particularly

Randy poem about her, or (worse) about someone else.
Ability to endure reproaches for forgetfulness, lack of interest,
Heart, is looked for,

Also instant invention of convincing excuses for what the Poet
Does not want to do, and long-term ability to remember
Precise detail of each.

Must be personable, not beautiful. The Poet
Is not expected to waste time supervising
The Companion. She will bear

Charming, enchanted children, all of them
Variations on the Poet theme, and
Impossibly gifted.

Must travel well, be fluent in the more aesthetic
European languages; must be a Finder
Of nasty scraps of paper

And the miscellany of junk the Poet loses
And needs this minute, now. Must be well-read,
Well-earthed, well able

To forget her childhood’s grand trajectory,
And sustain with undiminished poise
The saddest dedication: lastly my wife,

Who did the typing.

LA COMPAGNA DEL POETA

Deve essere come nuova di zecca, non soggetta
ad allergie, emicranie, postumi di sbornia, isterismi, tutte
prerogative del Poeta.

Steno-dattilografia auspicabile. Capacità
operativa su lunghi percorsi a piedi e su treni ad alta velocità titolo preferenziale.
Deve essere visibile/ invisibile

a un battere di dattilo. Dovrebbe essere o
un dizionario, thesaurus, enciclopedia vivente,
o avere accesso immediato ai medesimi.

Cordon bleu e conoscenza di contabilità essenziali,
Oltre a manipolazione di cifre e immediato richiamo alla memoria
di nomi di persone incontrate una volta.

Deve saper tenere una rubrica. In pubblico darà il là
alla risata, all’applauso, all’insopportabile silenzio della commozione.
Deve sostenere con grazia

il ruolo della Musa, e con ancor più grazia l’esistenza
di almeno altre otto, oltre all’occhio indiscreto della telecamera
quando il Poeta legge una

poesia particolarmente volgare su di lei, o (peggio ancora) su qualche altra.
Si richiede capacità di sopportare rimproveri per
dimenticanze, mancanza d’interesse e di calore,

e anche di inventare sul momento scuse convincenti per qualcosa che il Poeta
non vuole fare, e ricordarne nel tempo
ogni singolo dettaglio.

Deve essere interessante, non bella. Il Poeta
non dovrà perdere tempo a controllare
la Compagna. Metterà al mondo

bambini incantevoli, fatati, tutti
variazioni sul tema del Poeta, e
incredibilmente dotati.

Deve saper viaggiare, parlare correntemente le più belle
lingue europee; deve essere una Cercatrice
di fastidiosi ritagli

e delle cianfrusaglie d’ogni genere che il Poeta perde
e che gli servono adesso, in questo preciso momento. Deve essere colta,
coi piedi per terra, capace

di dimenticare i voli grandiosi dell’infanzia,
e accettare con impeccabile compostezza
la più sconfortante delle dediche: infine a mia moglie,

che l’ha battuto a macchina.

Men / Uomini: ritratti maschili nella poesia femminile contemporanea, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Casa Editrice Le Lettere, 2004 Continua a leggere

Carol Ann Duffy, “Christmas Poems”

Carole Ann Duffy

Da Un Natale inglese, poesie scelte (Christmas Poems di Carol Ann Duffy), a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, illustrazioni di Simone Pagliai, Editoriale Le Letter, 2018

The Christmas Truce

Christmas Eve in the trenches of France,
the guns were quiet.
The dead lay still in No Man’s Land –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank . . .
The moon, like a medal, hung in the clear, cold sky.

Silver frost on barbed wire, strange tinsel,
sparkled and winked.
A boy from Stroud stared at a star
to meet his mother’s eyesight there.
An owl swooped on a rat on the glove of a corpse.

In a copse of trees behind the lines,
a lone bird sang.
A soldier-poet noted it down – a robin
holding his winter ground –
then silence spread and touched each man like a hand.

Somebody kissed the gold of his ring;
a few lit pipes;
most, in their greatcoats, huddled,
waiting for sleep.
The liquid mud had hardened at last in the freeze.

But it was Christmas Eve; believe; belief
thrilled the night air,
where glittering rime on unburied sons
treasured their stiff hair.
The sharp, clean, midwinter smell held memory.

On watch, a rifleman scoured the terrain –
no sign of life,
no shadows, shots from snipers,
nowt to note or report.
The frozen, foreign fields were acres of pain.

Then flickering flames from the other side
danced in his eyes,
as Christmas Trees in their dozens shone,
candlelit on the parapets, and
they started to sing, all down the German lines.

Men who would drown in mud, be gassed, or shot,
or vaporised
by falling shells, or live to tell,
heard for the first time then –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, the song was a sudden bridge
from man to man;
a gift to the heart from home,
or childhood, some place shared …
When it was done, the British soldiers cheered.

A Scotsman started to bawl The First Noel
and all joined in,
till the Germans stood, seeing
across the divide,
the sprawled, mute shapes of those who had died.

All night, along the Western Front, they sang,
the enemies –
carols, hymns, folk songs, anthems,
in German, English, French;
each battalion choired in its grim trench.

So Christmas dawned, wrapped in mist,
to open itself
and offer the day like a gift
for Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
with whistles, waves, cheers, shouts, laughs.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
A young Berliner,
brandishing schnapps,
was the first from his ditch to climb.
A Shropshire lad ran at him like a rhyme.

Then it was up and over, every man,
to shake the hand
of a foe as a friend,
or slap his back like a brother would;
exchanging gifts of biscuits, tea, Maconochie’s stew,

Tickler’s jam … for cognac, sausages, cigars,
beer, sauerkraut;
or chase six hares, who jumped
from a cabbage-patch, or find a ball
and make of a battleground a football pitch.

I showed him a picture of my wife.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
He thought her beautiful, he said.

They buried the dead then, hacked spades
into hard earth
again and again, till a score of men
were at rest, identified, blessed.
Der Herr ist mein Hirt … my shepherd, I shall not want.

And all that marvellous, festive day and night,
they came and went,
the officers, the rank and file,
their fallen comrades side by side
beneath the makeshift crosses of midwinter graves …

… beneath the shivering, shy stars
and the pinned moon
and the yawn of History;
the high, bright bullets
which each man later only aimed at the sky.

La tregua di Natale

Vigilia di Natale nelle trincee francesi,
i cannoni tacevano.
I morti non si muovevano nella Terra di Nessuno –
Freddie, Franz, Friedrich, Frank …
La luna, come una medaglia, pendeva nel cielo terso e freddo.

Sul filo spinato il luccicchìo della brina era bizzarra
canutiglia d’argento.
Un ragazzo di Stroud fissò una stella
per incontrarvi lo sguardo della madre.
Un gufo piombò su un ratto sul guanto di un morto.

In un boschetto nelle retrovie,
un uccellino solitario cantò.
Un soldato-poeta lo annotò – un pettirosso
mantiene il suo territorio invernale –
poi scese il silenzio e come una mano toccò ogni singolo uomo.

Qualcuno baciò l’oro del suo anello;
alcuni accesero la pipa;
quasi tutti, nei loro pastrani, si strinsero
ad aspettare il sonno.
Il fango liquido si era infine indurito nel gelo.

Ma era la vigilia di Natale; credete; la fede
elettrizzava la notte,
e la brina luccicante sui figli insepolti
ne impreziosiva i capelli irrigiditi.
L’odore aspro, secco dell’inverno serbava il ricordo.

Una sentinella perlustrava il terreno –
non un segno di vita,
né ombre né spari di cecchini,
nulla da notare o riportare.
Gli agri stranieri, gelati, erano campi di dolore.

Poi fiammelle tremolanti dalla parte opposta
gli danzarono negli occhi,
brillarono come decine di alberi di Natale,
lucine di candela sui parapetti, e
là, lungo le linee tedesche, si cominciò a cantare.

Uomini che sarebbero annegati nel fango, gassificati, annichiliti,
colpiti
da scrosci di granate, o sopravvissuti per raccontare,
udirono allora per la prima volta –
Stille Nacht. Heilige Nacht. Alles schläft, einsam wacht …

Cariad, il canto fu un ponte improvviso
da uomo a uomo;
un dono al cuore da casa,
o dall’infanzia, da un luogo condiviso …
Finita la canzone, i soldati britannici applaudirono.

Un soldato scozzese attaccò a squarciagola The First Noel
e tutti dietro,
finché i tedeschi si alzarono in piedi, e videro
attraverso la linea di separazione,
le forme mute, scomposte, di chi era morto.

Per tutta la notte, lungo il Fronte Occidentale, cantarono,
i nemici –
canti di Natale, canzoni popolari, inni nazionali,
in tedesco, inglese, francese;
ogni battaglione in coro nella sua cupa trincea.

Così spuntò l’alba di Natale, avvolta nella nebbia,
per aprirsi
e offrire quel giorno come un dono
a Harry, Hugo, Hermann, Henry, Heinz …
con fischi, saluti, urrà, grida, risate.

Frohe Weinachten, Tommy! Merry Christmas, Fritz!
Un giovane di Berlino,
brandendo schnapps,
fu il primo a uscire dal fossato.
Un ragazzo dello Shropshire gli corse incontro come una rima.

E fu tutto un correre su, ognuno di loro,
a stringere la mano
del nemico come fosse un amico,
o dargli una pacca sulla spalla come un fratello;
e scambiarsi doni di biscotti, tè, stufato Machonochie,

marmellata Tickler… cognac, salsicce, sigari,
birra, sauerkraut;
o rincorrere sei lepri, saltate fuori
da un orticello di cavoli, o trovare un pallone
e trasformare un campo di battaglia in un campo di calcio.

Gli ho mostrato una foto di mia moglie.
Ich zeigte ihm
ein Foto meiner Frau.
Sie sei schön, sagte er.
Quanto è bella, ha detto lui.

Poi seppellirono i morti, spinsero le vanghe
nella terra indurita
più e più volte, finché una ventina di uomini
non furono in pace, identificati, benedetti.
Der Herr ist mein Hirt … il mio pastore, non manco di nulla.

E per tutto quel giorno e quella notte, festosi, meravigliosi,
ci fu un viavai
di ufficiali, di truppa,
i compagni caduti fianco a fianco
sotto le croci improvvisate di tombe invernali …

… sotto le stelle timide, tremule
e la luna infilzata
e lo sbadiglio della Storia;
i proiettili lucidi, alti
che ciascun uomo da allora diresse soltanto al cielo. Continua a leggere

Wendy Cope, poesie

Wendy Cope

Bloody Men

 

 

Bloody men are like bloody buses –
You wait for about a year
And as soon as one approaches your stop
Two or three others appear.

You look at them flashing their indicators,
Offering you a ride.
You’re trying to read the destinations,
You haven’t much time to decide.

If you make a mistake, there is no turning back.
Jump off, and you’ll stand there and gaze
While the cars and the taxis and lorries go by
And the minutes, the hours, the days.

 

Quei fetenti degli uomini

Sono come quei fetenti degli autobus –
li aspetti per circa un anno
e quando alla fine compare un bus
eccone altri due o tre che sbucano.

Mettono la freccia, guardi il lampeggio,
cerchi di leggere la destinazione.
Loro ti offrono un passaggio,
ma tu non hai molto tempo per la decisione.

Se commetti un errore, non puoi far dietrofront.
Salta giù, e starai là a fissare
le macchine e i taxi e i camion,
e i minuti, le ore, i giorni passare. Continua a leggere

La poesia di Margaret Atwood

 

Margaret Atwood

Morning in the Burned House

In the burned house I am eating breakfast.
You understand: there is no house, there is no breakfast,
yet here I am.

The spoon which was melted scrapes against
the bowl which was melted also.
No one else is around.

Where have they gone to, brother and sister,
mother and father? Off along the shore,
perhaps. Their clothes are still on the hangers,

their dishes piled beside the sink,
which is beside the woodstove
with its grate and sooty kettle,

every detail clear,
tin cup and rippled mirror.
The day is bright and songless,

the lake is blue, the forest watchful.
In the east a bank of cloud
rises up silently like dark bread.

I can see the swirls in the oilcloth,
I can see the flaws in the glass,
those flares where the sun hits them.

I can’t see my own arms and legs
or know if this is a trap or blessing,
finding myself back here, where everything

in this house has long been over,
kettle and mirror, spoon and bowl,
including my own body,

including the body I had then,
including the body I have now
as I sit at this morning table, alone and happy,

bare child’s feet on the scorched floorboards
(I can almost see)
in my burning clothes, the thin green shorts

and grubby yellow T-shirt
holding my cindery, non-existent,
radiant flesh. Incandescent.

Mattino nella casa bruciata

Nella casa bruciata faccio colazione.
Capirai: niente casa, niente colazione,
invece eccomi qua.

Il cucchiaio che si è fuso raschia
la ciotola che pure si è fusa.
non c’è nessun altro in giro.

Dove sono andati, il fratello e la sorella,
la madre e il padre? Via lungo il mare,
forse. I loro abiti sono ancora sulle grucce,

la pila dei piatti accanto al lavello,
accanto al fornello a legna
con la gratella e il bollitore incrostato,

ogni dettaglio è chiaro,
la tazza di latta e lo specchio grinzoso.
Il giorno è luminoso e senza canto,

il lago è blu, la foresta vigile.
A est un cumulo di nubi
lievita il silenzio come pane scuro.

Vedo i ghirigori nella carta oleata,
vedo i difetti nel vetro,
le vampe dove il sole batte.

Le mani e le gambe non me le vedo
e non so se è un problema o una benedizione,
ritrovarmi qui, dove ogni cosa

in questa casa si è da tempo estinta,
pentolino e specchio, cucchiaio e ciotola,
perfino il mio stesso corpo,

perfino il corpo che avevo allora,
perfino il corpo che ho adesso
mentre siedo a tavola stamattina, sola e felice,

piedi nudi di bimba sulle assi bruciacchiate
(li vedo quasi)
nei miei abiti in fiamme, i calzoncini verdi leggeri

e la maglietta gialla bisunta
che tiene insieme la mia inesistente, cinerina,
carne radiosa. Incandescente. Continua a leggere

La poeta anglo-indiana Arundhathi Subramaniam

Arundhathi Subramaniam

Prayer

May things stay the way they are
in the simplest place you know.

May the shuttered windows
keep the air as cool as bottled jasmine.
May you never forget to listen
to the crumpled whisper of sheets
that mould themselves to your sleeping form.
May the pillows always be silvered
with cat-down and the muted percussion
of a lover’s breath.
May the wall-clock
continue to decree
that your providence
runs ten minutes slow.

May nothing be disturbed
in the simplest place you know
for it is here in the foetal hush
that blueprints dissolve
and poems begin,
and faith spreads like the hum of crickets,
faith in a time
when maps shall fade,
nostalgia cease,
and the vigil end.
And may the vast moon-brindled fields,
opal mountains of sunwashed snow,
resonant with the laughter of all those buddhas,
never be more than a dream away.

Preghiera

Che le cose rimangano come sono
nel luogo più semplice che conosci.

Che le persiane chiuse
mantengano l’aria fresca come essenza di gelsomino.
Che tu non possa mai scordarti di ascoltare
il gualcito sussurrare delle lenzuola
che modellano la tua forma dormiente.
Che i cuscini siano sempre argentei
di pelo di gatto e della tenue percussione
del respiro di un amante.
Che l’orologio a muro
continui a decretare
che la tua provvidenza
è dieci minuti in ritardo.

Che niente venga disturbato
nel luogo più semplice che conosci
perché è qui nel silenzio fetale
che i progetti si dissolvono
e cominciano le poesie,
e la fede si diffonde come il ronzio dei grilli,
fede in un tempo
in cui le mappe sbiadiranno,
la nostalgia cesserà,
e la veglia sarà finita.
E che i vasti campi screziati di luna,
le montagne opalescenti di neve inondata di sole,
risuonanti del riso di tutti i buddha,
non siano mai più lontani di un sogno. Continua a leggere

Addio alla poetessa Eavan Boland

Eavan Boland

Eaven Boland, colpita da un ictus,  è morta oggi, 27 aprile 2020 all’età di 75 anni. La notizia ha fatto in poche ore il giro del mondo. Su questo blog proprio il mese scorso avevamo pubblicato ( qui ) la traduzione delle sue poesie a cura di Giorgia Sensi. 


Per ricordare Eavan Boland, 1944-2020

di Giorgia Sensi

Abbiamo appena avuto notizia della morte della poeta irlandese Eavan Boland, una perdita enorme sia per la poesia irlandese sia per la poesia internazionale.

Fin dalle prime poesie giovanili, e ancor più nelle raccolte degli anni Ottanta, In Her Own Image, 1980, Night Feed, 1982, è evidente l’ interesse di Boland per il ruolo della donna nella letteratura e nella società, nel mito e nella storia irlandesi, che diventerà un tema centrale della sua opera, sia poetica sia critica. In queste e nelle raccolte immediatamente successive Eavan Boland affronterà il tema dell’identità femminile, e alla sua idealistica rappresentazione nella tradizione letteraria irlandese, patriarcale e maschilista, opporrà la sua descrizione di generazioni di donne vere il cui contributo alla storia e alla cultura nazionale è stato largamente ignorato; racconterà la complessità della loro vita quotidiana, esprimerà la bellezza delle piccole cose, darà voce a un silenzio durato secoli. Ma per far questo avrà bisogno, prima di tutto, di trovare la propria voce, la propria lingua.
E la troverà, sicuramente, fino a diventare una poeta di primo piano non solo nel panorama della poesia irlandese contemporanea, ma in quello della poesia di lingua inglese in generale.

Vogliamo citare qui un paragrafo tratto da una sua opera in prosa, Object Lessons: the Life of the Woman and the Poet in Our Time, Carcanet 1995. Una sorta di biographia literaria in cui l’autrice descrive la sua esperienza e il suo percorso poetico di giovane poeta donna nell’ambiente e nella tradizione letteraria maschile e patriarcale della Dublino di quegli anni nella faticosa ricerca di una sua voce personale. Continua a leggere

Eavan Boland, quando la poesia apre la realtà

Eavan Boland

OUTSIDE HISTORY

There are outsiders, always. These stars –
these iron inklings of an Irish January,
whose light happened

thousands of years before
our pain did: they are, they have always been
outside history.

They keep their distance. Under them remains
a place where you found
you were human, and

a landscape in which you know you are mortal.
And a time to choose between them.
I have chosen:

out of myth into history I move to be
part of that ordeal
whose darkness is

only now reaching me from those fields,
those rivers, those roads clotted as
firmaments with the dead.

How slowly they die
as we kneel beside them, whisper in their ear.
And we are too late. We are always too late.

FUORI DALLA STORIA

Ci sono gli outsider, sempre. Queste stelle –
ferrei segnali di un gennaio irlandese,
la cui luce si formò

migliaia di anni prima
della nostra pena: sono, sono sempre state
fuori dalla storia.

Mantengono la distanza. Sotto di loro rimane
un luogo dove hai scoperto
di essere umana, e

un paesaggio dove sai di essere mortale.
E un momento di scegliere tra loro.
Io ho scelto:

fuori dal mito dentro la storia mi muovo per essere
parte di quel calvario
la cui oscurità

solo ora mi raggiunge da quei campi,
quei fiumi, quelle strade grumi di morti
come firmamenti.

Come muoiono lenti
mentre in ginocchio accanto a loro gli sussurriamo all’orecchio.
E arriviamo troppo tardi. Arriviamo sempre troppo tardi. Continua a leggere

Carol Ann Duffy, “cosa avete fatto al mondo?”

Carol Ann Duffy

Anne Hathaway

Item I gyve unto my wief my second best bed …’
(from Shakespeare’s will)

The bed we loved in was a spinning world
of forests, castles, torchlight, cliff-tops, seas
where he would dive for pearls. My lover’s words
were shooting stars which fell to earth as kisses
on these lips; my body now a softer rhyme
to his, now echo, assonance; his touch
a verb dancing in the centre of a noun.
Some nights, I dreamed he’d written me, the bed
a page beneath the writer’s hands. Romance
and drama played by touch, by scent, by taste.
In the other bed, the best, our guests dozed on,
dribbling their prose. My living laughing love –
I hold him in the casket of my widow’s head
as he held me upon that next best bed.

Anne Hathaway

E a mia moglie lascio il mio letto, non il migliore…’
(dal testamento di Shakespeare)

Il letto in cui ci amavamo era un mondo vorticoso
di foreste, castelli, fiaccole, scogliere, mari
in cui lui si tuffava in cerca di perle. Le parole del mio amore
erano una pioggia di stelle cadenti come baci
su queste labbra; il mio corpo faceva col suo ora una rima
più dolce, ora un’eco, un’assonanza; il suo tocco
era un verbo che danzava in mezzo a un nome.
Certe notti sognavo che mi aveva scritto, il letto
una pagina sotto le sue mani di scrittore. Romanzo
e dramma recitati da odore, gusto, tatto.
Nell’altro letto, il migliore, sonnecchiavano gli ospiti,
sbavando la loro prosa. Vive l’amore mio, ride –
lo tengo della mia testa di vedova nel forziere
come lui teneva me in quel letto, non il migliore.

Da The World’s Wife, Anvil Press Poetry, 1999

e La moglie del mondo, Carol Ann Duffy, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, 2002 Continua a leggere

Emily Dickinson, la poesia come possibilità

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Margine, silenzio, ellissi: ecco le parole chiave tradizionalmente associate alla produzione letteraria – e alla vicenda esistenziale, che la rispecchia – di Emily Dickinson. Eppure, la lettura attenta dei suoi versi rivela una tensione costante verso ciò che non conosce confini: il microcosmo della stanza entro la quale la scrittrice sceglie di vivere i suoi ultimi anni è lo spazio privilegiato dal quale è possibile osservare le ambiguità del mondo e restituirle sulla pagina attraverso una lingua che, al contrario, risplende nella sua trasparenza. Nelle pause del respiro, nella sincope che caratterizza il metro, Emily Dickinson impara a evadere dalla prigionia della prosa e a proiettarsi verso una possibilità altra, verso una dimora che può essere abitata anche da chi non sa stare ferma – da chi ha imparato a dire la verità, ma a dirla obliqua, perché “il vero deve abbagliare per gradi”. È questa la sua “lettera al mondo”. Continua a leggere

Carol Ann Duffy, Premio Lerici-Pea alla Carriera 2018

Carol Ann Duffy, per gentile concessione

La cerimonia di premiazione si svolgerà domenica 30 settembre 2018, alle 17.00, a Villa Marigola di Lerici, a San Terenzo di Lerici (Sp), nel celebre Golfo dei Poeti amato da Shelley e Byron.

Carol Ann Duffy è la voce più autorevole e rappresentativa della poesia contemporanea britannica, investita nel 2009 della carica (che ancora ricopre) di “Poet Laureate” del Regno Unito, prima donna dopo quasi 400 anni di monopolio maschile e prima rappresentante della “working class”. 
Ci farebbe enorme piacere poter dare giusto rilievo al premio e alla poetessa.

Biografia e opere di Carol Ann Duffy. Carol Ann Duffy, nata a Glasgow nel 1955 da una famiglia irlandese e cresciuta in Inghilterra, vive da molti anni a Manchester dove è creative director della Writing School alla Manchester Metropolitan University. Le sue raccolte poetiche – da Standing Female Nude (1985) a The Bees (2011) – hanno ricevuto i principali premi e riconoscimenti, sono amate da un ampio pubblico di lettori e sono oggetto di studio nelle scuole. È inoltre autrice di teatro e fortunate antologie e poesie per l’infanzia (La giovane più vecchia del mondo, EL, Trieste 2001; L’infanzia rubata e altre fiabe oscure, Fabbri, Milano 2006). Dal 2009 Carol Ann Duffy è “Poeta laureato” del Regno Unito, prima donna e scozzese. In Italia è stata tempestivamente apprezzata e tradotta, a partire dalla raccolta La moglie del mondo (Le Lettere, Firenze 2002), cui sono seguite, sempre a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, La donna sulla luna (Poesie Scelte, 2011) e Le api (2014). Bernardino Nera e Floriana Marinzuli hanno curato la sequenza d’amore Estasi (Del Vecchio editore, Roma 2008) e Lo splendore del tempio (Crocetti, Milano 2011). Per il centenario della Grande Guerra Carol Ann Duffy ha curato l’antologia 1914: Poetry Remembers. Il suo più recente lavoro teatrale, rappresentato a Londra al National Theatre, è My Country, un montaggio interlocutorio di interviste sulla Brexit. Continua a leggere

Sandro Pecchiari, “L’imperfezione del diluvio”

pecchiaridi Andrea Sirotti

La terza raccolta di Sandro Pecchiari, L’imperfezione del Diluvio–An Unrehearsed Flood, è costituita da diciannove poesie bilingui sulla condivisione, sulla precarietà e sulla perdita. Continua a leggere

Carol Ann Duffy , “Le api”

le_api
A cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti

Con The Bees, Carol Ann Duffy si allinea alla prestigiosa compagnia di poeti che, da Virgilio a Sylvia Plath, hanno tratto ispirazione dalle api, elogiandone la forza e le straordinarie attività, metafore di un ideale modello di creatività e laboriosa coesistenza. Le api, umili e valorose, operaie rassicuranti ma pungenti, fanno da intermittente filo conduttore di questa raccolta che tratta e approfondisce, in toni che vanno dal lirico al sarcastico, dall’intimistico al civile, i temi cari da sempre a Duffy: l’amore, il dolore, la perdita, l’impegno sociale, la guerra, il paesaggio, il ruolo della letteratura come testimonianza e resistenza. Un libro allo stesso tempo orgogliosamente “britannico”, ma anche cosmopolita e disincantato.

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