La poesia di Arundhathi Subramaniam

Arundhathi Subramaniam

For a poem, still unborn

Over tea we wonder why we write poetry.
Ten people read it, anyway.
Three are committed in advance
to disliking it.
Three feel a vague pang
but have leaking taps and traffic jams
to think about.
Two like it
and wouldn’t mind telling you so,
but don’t know how.
Another is busy preparing questions
about pat ironies
and identity politics.
The tenth is wondering
whether you wear contact lenses.

And we,
as soiled as anyone else
in a world addicted
to carbohydrates
and words,

still groping
among sunsets and line lengths and
slivers of hope

for a moment
unstained
by the wild contagion
of habit.

*

A una poesia non ancora nata

Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie.
Dieci persone le leggono, in ogni caso.
A tre non piacciono
per partito preso.
Tre provano un vago struggimento
ma devono pensare ai rubinetti che perdono
e al traffico cittadino.
A due piacciono
e non avrebbero problemi a dirtelo,
ma non sanno come.
Un’altra è tutta presa a preparare domande
sulle facili ironie
e sulla politica dell’identità.
La decima si chiede
se porti le lenti a contatto.

E noi
corrotti come chiunque altro
da un mondo assuefatto
ai carboidrati
e alle parole,

brancoliamo ancora
fra tramonti, metrica e
schegge di speranza

per un istante
liberi
dal terribile contagio
dell’abitudine. Continua a leggere

La poeta anglo-indiana Arundhathi Subramaniam

Arundhathi Subramaniam

Prayer

May things stay the way they are
in the simplest place you know.

May the shuttered windows
keep the air as cool as bottled jasmine.
May you never forget to listen
to the crumpled whisper of sheets
that mould themselves to your sleeping form.
May the pillows always be silvered
with cat-down and the muted percussion
of a lover’s breath.
May the wall-clock
continue to decree
that your providence
runs ten minutes slow.

May nothing be disturbed
in the simplest place you know
for it is here in the foetal hush
that blueprints dissolve
and poems begin,
and faith spreads like the hum of crickets,
faith in a time
when maps shall fade,
nostalgia cease,
and the vigil end.
And may the vast moon-brindled fields,
opal mountains of sunwashed snow,
resonant with the laughter of all those buddhas,
never be more than a dream away.

Preghiera

Che le cose rimangano come sono
nel luogo più semplice che conosci.

Che le persiane chiuse
mantengano l’aria fresca come essenza di gelsomino.
Che tu non possa mai scordarti di ascoltare
il gualcito sussurrare delle lenzuola
che modellano la tua forma dormiente.
Che i cuscini siano sempre argentei
di pelo di gatto e della tenue percussione
del respiro di un amante.
Che l’orologio a muro
continui a decretare
che la tua provvidenza
è dieci minuti in ritardo.

Che niente venga disturbato
nel luogo più semplice che conosci
perché è qui nel silenzio fetale
che i progetti si dissolvono
e cominciano le poesie,
e la fede si diffonde come il ronzio dei grilli,
fede in un tempo
in cui le mappe sbiadiranno,
la nostalgia cesserà,
e la veglia sarà finita.
E che i vasti campi screziati di luna,
le montagne opalescenti di neve inondata di sole,
risuonanti del riso di tutti i buddha,
non siano mai più lontani di un sogno. Continua a leggere