In questi mesi di pandemia io ho apparentemente fatto la stessa vita degli ultimi dieci anni, cioè dal mio rientro dalla Siria.
Niente di diverso. Chiusa tra casa, studio e giardino, ho vissuto tempi di completo isolamento, lavorando per molte ore, punto su punto, riga su riga, tra musica e poesia.
Ho alternato in questi anni lunghi periodi di isolamento e lavoro a viaggi anche frequenti, brevi o lunghi che fossero, sempre con accurate e precise preparazioni. Questo insieme mi ha consentito un giusto equilibrio di vita, di rapporti, partecipazioni, incontri con “l’altro da me”.
Il viaggio non è per me solo spostamento, non è lasciare un luogo per arrivare ad un altro.
Per me viaggiare è una condizione, una necessità vitale che mi permette il raggiungimento di quell’equilibrio di cui sono alla costante ricerca.
Equilibrio tra geometria e natura, ordine e caos, realtà e sogno, concentrazione assoluta e mondo esterno.
Essere privata dalla possibilità di viaggiare, di questa risorsa essenziale mi ha quindi creato in questi mesi un grande disagio.
Ho continuato a lavorare, spesso al limite delle mie energie, ma quello che è profondamente cambiato è lo spirito con cui ho affrontato le mie giornate di lavoro. Giorni trascorsi con profonda tristezza per le notizie, le immagini, le incertezze, la perdita di tanti amici.