Ho conosciuto Vera D’Atri a Torre del Greco durante un incontro di poesia organizzato in un circolo culturale.
Vera ha iniziato a pubblicare poesie di recente, forse perchè era spaventata dalla vocina interiore che le chiedeva insistentemente di portare allo scoperto le cose che scriveva, chissà da quanto. Non a caso Vera mi dice: “Le prime due righe che scrivo mi danno l’impressione di provenire da un altro mondo. E’ come se stessi scrivendo sotto dettatura. Il resto è lavoro. Molto lavoro per concentrare quello che ciascun lettore poi avrà come compito di diluire per sé e di sé nell’accompagnarsi al testo”. Vera poi mi scrive che l’esperienza le ha fatto volgere lo sguardo verso l’invisibile alla ricerca di “qualcosa che non sono io, ma il simbolo di ogni mio istante”.
“La poesia è un rivolgersi alla tensione di un vissuto abitato da innumerevoli altri.
I versi scorrono così su righe ineguali, hanno l’aspetto di un diagramma molto frastagliato; puntano oltre il foglio, quasi, alla fine, ne volessero fuggire. Vorrebbero essere/avere una specie di ali.”
di Vera D’Atri
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