A Venezia, 15 febbraio 2018, 16:30
Conferenza
A cura della Congregazione Armena Mechitarista
In questo libro per la prima volta in Italia sono raccolte le voci degli scrittori armeni assassinati durante il genocidio del 1915. Voci assai differenti fra loro, com’è giusto che sia: diverse sono le date e i luoghi di nascita, la provenienza famigliare, i loro studi, le vocazioni e le carriere. Poeti e scrittori di romanzi e novelle, giornalisti, medici, farmacisti, uomini di chiesa , uomini politici. C’é di tutto, ma unico è l’amore per una patria divisa, drammaticamente minacciata, con forti differenze sociali al suo interno, eppure unita da un maestoso, articolatissimo linguaggio delle antiche radici indoeuropee, da un alfabeto unico e originale e da una superba tradizione culturale, che si sviluppa con grande ricchezza a partire dal IV secolo d.c.
Relatore: Antonia Arslan, professoressa e autrice del libro
Presenta: Carmelo Abbadessa, vicepresidente Club Unesco di Venezia
Organizzato da: Club Unesco di Venezia
Dove: Salone San Giovanni
Ingresso: libero fino ad esaurimento posti
“Volate lontano, rondini d’Armenia, noi non possiamo più muoverci..”
di Antonia Arslan
Come una folgore improvvisa che taglia in due il paesaggio, come un terremoto inaspettato che apre voragini e scuote ogni cosa costruita dall’uomo, così siamo abituati immaginare l’inizio del genocidio degli armeni, quella notte del 14 aprile 1915, quando – su decisione del governo dei Giovani Turchi – furono arrestati uno dopo l’altro nella capitale Costantinopoli i principali esponenti della comunità armena nell’Impero ottomano. Fra loro anche molti scrittori, giornalisti e poeti perché la parola poetica in Oriente è importante: è amata, cantata, ripetuta, riconosciuta come la voce profonda del popolo. Una retata ben organizzata e letale. Nessuno spiegò loro niente. Furono contati accuratamente, fu verificata la loro identità e dopo qualche ora furono fatti salire su un treno e avviati verso l’esilio. Questo gli venne detto, e così li tennero quieti; ma il programma reale era di dividerli mandandoli vero diverse destinazioni: e poi di ucciderli un poco alla volta, preferibilmente con imboscate sulle strade poco sicure dell’interno dell’Anatolia – come in effetti avvenne. Pochissimi i sopravvissuti; ma erano uomini di penna, e scrissero, e raccontarono, anche in nome dei loro compagni, che non avrebbero più potuto parlare. Così è avvenuto che le ombre degli scrittori assassinati sono riemerse un poco alla volta: sono diventati personaggi reali, protagonisti del racconto infinito di quella tragedia incombente che venne realizzata giorno dopo giorno, con l’astuzia di tenere i prigionieri all’oscuro del loro destino, fino all’ultimo momento, dicendo e non dicendo, alternando minacce e apparente bonomia e rispetto, ingannandoli con raffinata doppiezza.