Una poesia di Juan Vicente Piqueras

Juan Vicente Piqueras

Palme

Nasciamo dalla sete. Siamo palme
che crescono a forza di perdere
i propri rami. I tronchi sono ferite,
cicatrici rimarginate dal vento e dalla luce,
quando il tempo, quello che fa e quello che trascorre,
occupa il cuore e lo trasforma in nido
di perdite, ne erige la sua aspra colonna.

E per questo le palme sono allegre
come coloro che hanno saputo soffrire in solitudine
e ora si cullano nell’aria, spazzano nubi
e dalle loro chiome consegnano
inni alla luce, fonti di fuoco,
ventagli a dio, addio a tutto.
Tremano, testimoni di un miracolo
che conoscono soltanto loro.

Siamo come la sete delle palme
e ogni ferita aperta verso la luce
ci fa sempre più alti, più felici.
Perdite sono i nostri tronchi. È trono
il nostro dolore. Non è bello
soffrire ma bisogna aver sofferto
per sentire, come un intimo nido,
la meraviglia dei sopravissuti
che ringraziano l’aria, e poi scoppiano
per l’alta gioia in mezzo al deserto.

Juan Vicente Piqueras, una peosia da Palme, Empirìa, 2005

Palmeras

Nacemos de la sed. Somos palmeras
que van creciendo a fuerza de perder
sus ramas. Y sus troncos son heridas,
cicatrices que el viento y la luz cierran,
cuando el tiempo, el que hace y el que pasa,
ocupa el corazón y lo hace nido
de pérdidas, erige
en él su templo, su áspera columna.

Por eso las palmeras son alegres
como los que han sabido sufrir en soledad
y se mecen al aire, barren nubes
y entregan en sus copas
salomas a la luz, fuentes de fuego,
abanicos a dios, adiós a todo.
Tiemblan como testigos de un milagro
que sólo ellas conocen.

Somos como la sed de las palmeras,
y cada herida abierta hacia la luz
nos va haciendo más altos, más alegres.
Nuestros troncos son pérdidas. Es trono
nuestro dolor. Es malo
sufrir pero es preciso haber sufrido
para sentir, como un nido en la sangre,
el asombro de los supervivientes
al aire agradecidos y estallar
de alta alegría en medio del desierto.

Juan Vicente Piqueras, una poesia da “Palmeras”, 2007 Continua a leggere

Ricordo di Franco Loi

di Alberto Bertoni

 Una delle raccolte poetiche più riuscite di Franco Loi, Liber (Garzanti, 1988), ha un titolo dal significato duplice: in milanese vale infatti Libro e Libero. Non è un caso, perché entrambe le accezioni fissano due elementi importanti, per definire l’essenza profonda della scrittura di Loi. Autore di libri tutti ben strutturati e memorabili, dall’iniziale Stròlegh, Astrologo, del 1975, fino a l’Angel de aria (Nino Aragno, 2011), Loi è stato anche il cantore inesausto del diritto assoluto a quella libertà di pensiero, azione, percezione che oggi viene messa così tanto in pericolo. Naturalmente non è un caso che il veicolo simbolico di questo afflato alla libertà sia l’aria, alla quale è intitolata anche l’autoantologia che raccoglie il meglio della sua produzione poetica e che è oggi il suo libro più facilmente rintracciabile, Aria de la memoria. Poesie scelte 1973-2002 (Einaudi, 2005).

Poeta insieme popolare e cólto, com’è proprio di tutti i veri grandi (Dante e Leopardi in primis), Loi incarna per ora l’apice ultimo di una tradizione letteraria milanese che ha avuto nell’ottocentesco Carlo Porta e nel novecentesco Delio Tessa gli altri due vertici. Dire autore neodialettale sembra adesso del tutto naturale, ma non lo è stato fino al 1972, quando due poeti che erano anche importanti sceneggiatori cinematografici, Tonino Guerra e Cesare Zavattini, pubblicarono due libri – il primo in santarcangiolese, il secondo in luzzarese – che sdoganarono la poesia in dialetto, da lunghi decenni chiusa nel recinto ristretto di una produzione folklorica di basso profilo. Il fatto che tale rilancio sia venuto da due autori legati al cinema non è casuale, poiché i dialetti non hanno mai perduto la loro visionarietà anche onirica e quella risonanza felicemente o drammaticamente istintiva che ne hanno fatto lungo l’arco della storia d’Italia le lingue della comunicazione più intima e diretta.

Sulla scia di Guerra e Zavattini, hanno svelato a quel punto la loro presenza e la loro inventività poeti di alto o altissimo livello come i romagnoli Baldini e Baldassari, il ligure Bertolani, il friulano Giacomini, il marchigiano Scataglini, il siciliano De Vita, fino appunto a Franco Loi.

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