di Riccardo Prencipe
( a Ferdinando Bologna)
Per me è a dir poco emozionante e singolare scrivere di un’opera su cui non vi è bibliografia. L’opera in questione infatti è stata scoperta di recente, ne è stata data notizia pochi giorni fa, ed è per questo che mi andava di parlarne a carne fresca, senza libri/tegole che pesino sulla testa.
In una cucina di un piccolo paese a nord di Parigi, chiamato Compiègne, era appesa quella che si credeva fosse un’antica icona anonima raffigurante il Cristo deriso (fig. 1).
Di recente la tavoletta è stata giustamente attribuita a Cimabue, stiamo parlando di un pittore supremo, una leggenda lo vuole maestro di Giotto, e tutti gli aneddoti (anche quelli non veri) nascono per una ragione. In questo caso la ragione è evidente: in Cimabue si intravedono, in nuce, quelle che saranno le riconquiste giottesche, ovvero il riappropriarsi di un linguaggio visivo che è già sulla rotta della concretezza del rinascimento; un linguaggio che abbandona gli impacci e l’incorporeità della pittura alto medioevale. Il catalogo di Cimabue non supera una decina di opere su tavola, questo numero così basso ne accresce il valore. Volendo traslare E’ come se avessimo scoperto un nuovo film di Kubrick, o un album inedito dei Beatles. L’attribuzione collega la Derisione a un dittico di cui facevano parte altre due tavolette, una a New York (raffigurante la Flagellazione, e quindi il momento immediatamente precedente al nostro, fig. 2) e l’altra raffigura la Madonna con bambino fra angeli, e si trova alla National Gallery di Londra (fig. 3). Continua a leggere