Paul Celan, “Di soglia in soglia”

NOTA DI PIETRO ROMANO

Il senso della soglia come condizione liminare che soddisfa il ricongiungimento con un’idea di origine trova nella poesia di Paul Celan il massimo della sua rappresentazione. In particolare, la raccolta di 47 poesie del 1955, Von Schwelle zu Schwelle, in Italia riproposta nella traduzione einaudiana dal titolo Di soglia in soglia a cura di Giuseppe Bevilacqua, sottolinea il bisogno di riallacciarsi alla «soglia non rimossa», al di là della quale tutto ciò che ha preso congedo dall’esistenza possa vedersi riunito.

Tuttavia, per capire la pregnanza di cui l’immagine della soglia appare intrisa, occorre rifarsi alla vita del poeta il quale, perduti i familiari nei lager nazisti, si trova a dovere cercare nella parola un luogo che faccia propriamente «casa» e colmi così lo sradicamento che lo accompagna.

Infatti, come nota Bevilacqua, se si tiene conto delle origini ebraiche del poeta, appare doveroso segnalare la cifra simbolica che, nella tradizione giudaica, assume la soglia in quanto luogo iniziatico dei valori familiari. L’uso sineddotico di tale immagine, nella quale peraltro paiono condensarsi due componenti fra loro strettamente correlate, ovvero il ricordo e la lingua materna, non toglie però valore alla soglia in quanto spazio pregno di evento, oltre il quale si staglia la dimensione del possibile: al contrario, i due significati si trovano compenetrati all’interno di una visione che, a cominciare dalla dedica nuziale all’amata Gisèle de Lestrange, intende il travalicamento come una vera e propria esperienza di apertura cosmologica. Le scelte cromatiche che tinteggiano le atmosfere del primo ciclo di Von Schwelle zu Schwelle suggeriscono l’ingresso dell’io all’interno di un percorso iniziatico chiamato a prospettargli la visione di due soglie e il legame che le sottende al fine di rivelare una realtà inafferrabile e comunque in continua metamorfosi. Al lucore del bianco e ai rossori serali si contrappone sempre lo spazio della notte, che è luogo dell’ombra e dei sommersi e come tale dimensione percepita temporalmente eterna.

È l’incrocio fra due mondi in costante comunicazione a fare della parola poetica l’unico canale percorribile tra la vita e la morte: Celan se ne serve per assistere alla propria immersione nel «mondo pietrificato dei sommersi» e a un tempo consacrare l’esperienza del passaggio, la vita nuova:

Sentii dire che nell’acqua
vi era una pietra ed un cerchio
e sopra l’acqua una parola
che dispone il cerchio attorno alla pietra.

Vidi il mio pioppo calare nell’acqua,
ne vidi il braccio tastar giù nel profondo,
e, protese al cielo, le radici ad implorar notte.

Io non gli tenni dietro,
soltanto colsi da terra quella briciola,
che ha del tuo occhio la nobile forma,
dal collo ti tolsi la collana dei motti
e ne orlai la tavola, ove adesso stava la briciola.

Ed il pioppo sparì alla mia vista

Ogni immagine in questo componimento assurge a simbolizzazione del possibile: l’acqua, in quanto colma di significato liminare e situata a metà tra la vita e la morte; la pietra, come ombra di un passato non ancora dissolto, e il cerchio che la parola dispone intorno a essa; il pioppo, le cui radici capovolte in direzione del cielo implorano notte. Sono tutte figure attinenti a un’idea di origine, cui l’io accede sprofondando entro di sé e riconoscendone la sacralità che le abita.

L’inabissamento acquista i connotati di una vera e propria tentazione cui il poeta alla fine decide di non cedere abbracciando il preludio a una soglia nuova, che si invera nella vita: «io non gli tenni dietro, / soltanto colsi da terra quella briciola, / che ha del tuo occhio la nobile forma, / dal collo ti tolsi la collana dei motti /e ne orlai la tavola, ove adesso stava la briciola». Peraltro, l’immagine del pioppo come figura simbolo di un sé scisso ancorato al passato ricorre anche in componimenti presenti nelle sezioni successive, come in Campi: Continua a leggere

Premio Gensini 2013 a “Olimpia”, Opera di Poesia

Letture

“Olimpia”, iI volto del presente tra finito e infinito
Nota di lettura di Silvana Lazzarino

Con lo sguardo rivolto alla contemporaneità e scavando nella lingua della poesia, Luigia Sorrentino, (nella foto di Federico Ferrantini) giornalista e scrittrice, testimonia un nuovo modo di fare comunicazione trovando una relazione tra la realtà che quotidianamente è chiamata a raccontare o a descrivere, e le emozioni che questa realtà le suscita. In giovane età si è avvicinata al teatro frequentando a Firenze il laboratorio “La Bottega” di Vittorio Gassman, per poi lavorare con il regista e drammaturgo Ruggero Cappuccio, fino a raggiungere la professione giornalistica. Ha collaborato per anni, come inviato, alle rubriche di approfondimento del TG1, per poi approdare a Rai News 24 a gennaio del 1999, dove ha condotto i notiziari del primo canale di informazione “all news” della Rai e collaborato con le rubriche culturali. Continua a leggere

Maria Elisabetta Novello, “Liridi”

Arte e Poesia
a cura di Luigia Sorrentino

Maria Elisabetta Novello Liridi a cura di Annamaria Maggi
dal 21 aprile 2011 al 20 giugno 2012

Inaugurazione: sabato 21 aprile dalle ore 18.30 a Bergamo, Galleria Fumagalli.

La giovane artista Maria Elisabetta Novello ha trovato nella componente materica, che sta alla base del
suo lavoro, la CENERE, il modo di concepire la sua poetica artistica. Opera con segni precari, minimi, di
memoria antropologica. Accumula il suo materiale (come nelle opere Paesaggi, presenti in mostra) in vari modi e lo restituisce, nel silenzio, dandogli una nuova identita’, una nuova immagine, per lo piu’ altamente meditativa.
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