È l’ora, soddisfatte le ombre,
e con il vento
volato via lo sguardo
dalle sedie sul prato,
dal pensiero della fatica che è stata la sera.
Stai su un lembo del tempo
non è più la terra
dove sei nato,
porti il fiato sul vetro
e la luce attraverso ti fa di cera.
Dove hai le mani, tu vedi
stasera
il viso che chiudi nei palmi
in attesa di un grido, la sete
di animale notturno.
*
L’ombra della voce si assottiglia.
Giorno dopo giorno l’incertezza
raschia i margini a ogni parola.
Tu sai quanto distante è sempre stato
per me il presente, per desiderio matto
dell’adesso, per timore che il prendere
tutto, tutto in una volta, mi perdesse.
Il dopo giorno sfasa il sincrono
degli occhi e delle labbra.
*
fermi i colori fuori, tutti i pensieri
smentiti dall’altoparlante
il cielo vuoto porta via i giorni dove eravamo
e gli alberi c’erano sempre stati, sempre stata
la primavera, non ti chiedevi se ancora, per quanto,
se sarà mai, se mai era stato vero
devo dirti che ho paura e non so come
perché là fuori c’è il tempo, là fuori, e qui mancano istanti
alle ore
*
“L’inferno sono gli altri”
J. P. Sartre
Solo nell’auto tra i campi (uscito a comprare cibo)
ho fatto un giro largo
per le stradelle: nessuno. Un deserto fiorito
di case belle, lussuose di erbe e di acqua veloce.
Solo io ancora vivo: che inferno
sarebbe? Io, prigioniero di tanto bendidio.
La parola ancora, percepibile
al tatto, torna al mittente
a occhi chiusi
(gli altri sono anche l’inferno, sì, sono
anche tutto, però).