Julian Zhara, da “Vera deve morire”

Julian Zhara

Nella lingua dei tuoi antenati
la parola amore se esiste è letteraria,
in mezzo ai campi si fa altro, in amore
è la patata che si squaglia, un raccolto
impazzito, è in amore un uomo che sbanda,
il bestiame che non obbedisce;
bastava allora il voerse ben.

Nella lingua dei miei antenati,
preti, ufficiali e mercanti,
l’amore viene versato altrove
e se avanza, all’amata – bisogna quindi, disporne;
e ridiamo di quanta zavorra e detriti
trascina dietro di sé la parola amore.

Nel sonno mi dici un po’ dopo, parli tanto
e che dico?, chi ti capisce, parli albanese
mos ikë, mos ikë, mentre ti blocchi
nel disegno del tappeto, të dua, pa ty
parli un tono più giù, tra un mese kam frikë
me kupton, po ti? Continuare così non ha senso,
se ieta eshte varrë, resto ancora qualche giorno
poi me thyenë kurrizin me këto fjalë, më shkatërronë,
non solo screzi, lo sappiamo, mos flitë më
ma ci sentivamo ancora, rastësishtë, gli auguri
magari mi vieni a trovare, magari è solo un sogno,
tra poco mi sveglio, jo, tani  je e lirë,
tra poco arriva il momento
di andare a dormire.

Julian Zhara, da “Vera deve morire”, Interlinea, 2018

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