“Geografie” di Antonella Anedda

Antonella Anedda / Credits Photo Dino Ignani

NOTA DI LETTURA DI  LORENZO CHIUCHIU’

 

Geografie, non paesaggi. Non sezioni che l’arbitrio estetico isola, ma interi domini di una visione aerea o di una continuità geologica. Non contemplazione, ma descrizione che cerca attraversamenti, affinità e faglie.

Florenskij insegna che esistono due prospettive, la lineare e la rovesciata. La lineare è quella introdotta dal Rinascimento fiorentino: il punto di fuga che ordina la scena sfonda il quadro nella direzione che va dall’occhio alla rappresentazione. La prospettiva lineare è l’effetto di uno sguardo che si inabissa in un infinito che è sua proiezione.

Ma esiste anche la prospettiva rovesciata. È quella in cui l’osservatore non proietta un punto di fuga, ma lo diventa. Florenskij spiega la prospettiva rovesciata attraverso le icone, nelle quali le linee che ordinano la composizione vanno dall’icona all’osservatore: il punto di fuga diventa l’uomo. Per gli scrittori di icone essa non è né rappresentazione né mimesi, ma la presenza tangibile dell’infinità di Dio. E questa presenza determina una prospettiva che implica l’infinità dell’uomo: il punto di fuga non è più effetto dello sguardo umano; nella prospettiva rovesciata dell’icona il fuoco prospettico sprofonda nelle anime, che così si scoprono infinite. Lo pensava anche Eraclito: non troverai mai i confini dell’anima (45, DK).

Qualcosa di simile accade in Geografie. Le prose di Antonella Anedda somigliano a icone laiche in cui la prospettiva rovesciata precipita nella visione dell’interiorità. È come se le geologie, le ere e la cruda invarianza del dolore della storia – il loro senso o la loro perfetta assurdità – crollassero nella vita interiore del poeta: coscienza, Erlebnis, memoria e tonalità emotive– ciò che Antonella Anedda chiama «il nostro coro interiore». Continua a leggere

Angelo Tonelli, una luce limpida…

Angelo Tonelli
a cura di Luigia Sorrentino


P come parola, potenza, profezia, peripezia, pólis, passione;
O come origine, occhio, ombra, oltre;
E come estasi, energia;
S come sacro, silenzio, suono, sciamano, sophía, sintesi, sentire, specchio;
I come invisibile, immaginazione, intensità, iniziazione, incubo;
A come anima, Assoluto, anamorfosi, azione.

Niente a che fare, dunque, con la poesia come letteratura, o tripudio pseudoavanguardistico del significante, o esercizio di ricalco estetizzante dell’esistente, malinconica e intimistica consolatio vitae, imbalsamazione lirica dei bei tempi perduti, richiesta seduttiva di gratificazione alla cerchia dei critici e dei lettori.

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