Moira Egan, “Amore e morte”

Moira Egan Credits ph. Eric Toccaceli

Love & Death

Looking back, I presupposed love,
I suppose. At least, I felt a whiff of death
each time she left. She had a theory: that sex
was the only path to the truth. Philosophy,
religion, physics – the other,
traditional pursuits – had it all wrong. Only poetry

came close, but who can live on poetry?
Too sweet by far, though one can learn to love
it, to breathe, to eat it like candy. Still, other
nutrients are necessary: death
comes from such monotony. (Her philosophy,
though sweetly spun, was never so refined as her sex.)

And it was, after all, the pure white sex
between us that drove me to poetry.
How else to express the brazen philosophy,
the teleology of flesh beyond love,
the ontology of sex that can lead to death?
And we’ve all heard stories of others

who’ve actually died from it: The other
becomes the self, the sex
that binds us, wrist and foot. The little death
claws at your throat, your cry like poetry:
an eerie diction I grew to love.
“I’ll never read philosophy

again.” I embraced you, your strange philosophy,
and, forsaking all others,
turned to tell you of my love.
Which you call merely sex.
Is there solace in Poetry?
Just then I longed for Death.

Or did I? You arrive like Death,
tricked out in black, and burn my philosophy
books. Pale lips still pouty with poetry,
you tell me, of course, that I wasn’t just another,
and I, of course, believe you: You left because the sex
felt so much it hurt almost like love.

When we last made love, you left another
scar. And philosophy feels like death to me,
and I can’t find any poetry in sex.

Amore & morte

Ripensandoci, presupponevo amore,
credo. Quantomeno, sentivo un soffio di morte
ogni volta che lei se ne andava. La sua teoria: il sesso
è l’unica via verso la verità. Filosofia,
religione, fisica – gli altri
percorsi tradizionali – tutto sbagliato. Solo la poesia

ci andava vicino, ma chi riesce a vivere di poesia?
Troppo, troppo dolce, anche se si può imparare l’amore
per lei, e respirarla, mangiarla come un bon bon.
Ma altre sostanze nutrienti sono necessarie: la morte
scaturisce da questa monotonia. (La sua filosofia,
fine tessitura, mai raffinata quanto il suo fare sesso.)

Ed è stato, dopo tutto, il puro sesso
candido tra noi che mi ha spinto alla poesia.
Come spiegare altrimenti la sfrontata filosofia,
la teleologia della carne oltre l’amore,
l’ontologia del sesso che può portare a morte?
E le abbiamo sentite tutti le storie di altri
che davvero ne sono morti: l’altro
diventa il sé, il sesso
che ci lega, mani e piedi. La piccola morte
ti artiglia la gola, il tuo urlo è poesia:
misterioso tuo manifestarsi che ho imparato ad amare.
“Non leggerò mai più filosofia”.

Ti ho abbracciata, e anche la tua strana filosofia,
e, abbandonando tutte le altre
mi sono convertito e ti ho detto del mio amore.
Che tu chiami puramente sesso.
C’è conforto nella Poesia?
In quel momento bramavo Morte.

O no? Tu vieni come la Morte,
adorna di nero, e i miei libri di filosofia
li bruci. Pallide labbra ancora immusonite di poesia,
mi dici, certo, che io non ero solo un altro
tra i tanti e, certo, ti credevo: te ne sei andata perché il sesso
lo si sentiva tanto che faceva male quasi come l’amore.

L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore hai lasciato un’altra
cicatrice. E la filosofia la sento simile alla morte,
e non riesco a trovare alcuna poesia nel sesso.

 

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Nanni Cagnone, “Mestizia dopo gli ultimi racconti”

Nanni Cagnone / Crediste ph Eric Toccaceli

ANTEPRIMA EDITORIALE

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo qui una scelta di poesie tratte dall’ultimo libro di Nanni Cagnone: “Mestizia dopo gli ultimi racconti”, La Finestra Editrice, 2019.

 

I

 

Tutto prese avvío da una parola. Ma non si resiste a lun- go entro una parola. Attendi nel mondo esterno il segno d’una corrispondenza, attendi completarti in un atto.
Le parole sono bisognose. La parola ‘bacio’, ha bisogno di materia, le serve un’altra lingua, ha bisogno d’un bacio. Compiango chi s’impiglia nel contrario.

Tentare in chiusa voce
e non all’aperto,
ne l’universo mondo,
equivale a mancare.
Prestigiatori di sillabe,
sospesi, controluce,
ci sono brezze anche per voi.

 

II

Per il fervore
degli antichi dèi
e le stridule pretese
dei conseguenti,
premuti ancora
su divini aculei.
Anelito
a lasciar in via
gli antenati
dei nostri dolori.

D’ore senza scopo
il balsamo paziente.

III

Cielo, pensato culmine,
concavità a cui s’imposero
leggende, mi volgo indietro
per vederti alto nel tempo
santificar colline,
fermo sui tumulti
con tua volubile eternità.

Altorivolgersi, credersi
accolti, poi ruzzolare,
all’orlo ultimo scoprire
che i libri servono soltanto
a ricordare le parole. Continua a leggere

Nanni Cagnone, “La genitiva terra”

Nanni Cagnone e Sandra Holt, © Eric Toccaceli 2019 -All rights reserved

ANTEPRIMA EDITORIALE

Dopo TORNARE ALTROVE (2015), CAMMINA MARE (2016) e INGENUITAS (2017) PARMENIDE REMASTERED (2019) tutti pubblicati da La Finestra Editrice, è appena uscito di Nanni Cagnone, con lo stesso editore LA GENITIVA TERRA (2019).
Cagnone ci consegna qui fin dal titolo, un’opera di poesia dotata di un’urgenza tutta sua: genitiva, generativa, appunto. Al centro di questo  lavoro la madre Terra, la generante, dalla quale tutto perviene.

ESTRATTI

I

In un giorno
che spiffera colori,
tu destinato oscuro.
Vorresti dire
anzianamente addio,
e pur c’è un seme
rimasto seme—
rivolgiti alle spighe
(quelle d’un tempo,
prima del progresso),
chiedi se maturità
a noi convenga.

Cover design by Sandra Holt

II

Qui—sciupata
anche la parola,
se abbattuto
si toglie all’amicizia
un altro albero—
non ha patria
la candida violenza.

E tu, diversamente
umano, a cosa
potresti appartenere?
Sei spinto nell’intrico,
generato senza materia
da una figlia, le tue parole
non vogliono pensare.

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La lingua di Alessandro Ceni

Alessandro Ceni – Credits Ph. Eric Toccaceli

Che cosa accade nei tempi diversi della poesia di un autore contemporaneo? Come cogliere e in qualche modo verificare nella concretezza della scrittura mutamenti e scarti, senza descriverne soltanto gli esponenti semantici o di gusto e tono, senza limitarsi a notazioni impressionistiche? Privata di molte delle strutture tradizionali della forma-poesia, la scrittura in versi di molto novecento maturo – e Ceni è tra gli esponenti ultimi di un novecento alto, frondoso, azzardato – sembra sfuggire e negarsi a un riscontro tangibile di lingua, di impalcature formali, di modi. Eppure, in un’epoca di sempre più accesa auto-referenzialità del gesto dilettantesco della poesia (nel tempo dei milioni di scriventi), arroccata e assediata nei suoi alti o infimi insediamenti, la poesia-poesia, incolume ma allarmata, inquieta e in tensione, è indubbio che vada in traccia e trovi le sue contromisure, i suoi antidoti, i suoi successivi svolgimenti proprio in termini di lingua, di stile, di forme.

CACCIATORI SULLA NEVE

Io vorrei saper dire amore
amore amore amore
come fanno i dementi
ed essere infelice infelice
per il troppo bene,
un solvente, che spezza la catena delle vite
per darci la definitiva morte,
simile a Dio in questo, o
al cuore;
o voi del mondo invisibile
spiriti verdi e soli,
carbonchi,
che assaggiate i fiocchi di neve
al volo e osservate come il ghiaccio
pattina i bambini i loro guanti,
col peso d’un passero, le
sue ipsilon sul bianco, come
li fonda sulla petrosa neve
dopo l’uscita dal bosco pieno di culle,
come noi pensando fuoco fuoco,
ansanti perché la neve,
eppure nudi e senza freddo
con dita luminose e
sulle labbra non il vapore,
lo spazio e il tempo: non date voce,
come il giocatore in panchina
lo sguardo agli altri
teso a capire, come un signore
morto agli antipodi, dietro,
che fa così con le braccia,
a rallentatore cammina o in un morso d’affetto,
o voi che non siete più
per essere nel mondo strano indispensabili
cespugli di more
lepri soprannaturali
per invitarmi alla caccia,
catturarmi e, ora, appeso
riconoscervi amici,
miei simili, per un gesto antico:
giunti al riparo toccarono
i calici in un brindisi;
spesso è il profilo dei monti
spesso il particolare d’una foglia
che v’inquieta e parlottate,
non dicesi non est…
allora camminate
eschimesi
fiocinatori spaziali senza amata:
«era del dolore che nelle carte geografiche
è del mare che profila la costa,
di quello convenuto per i deserti,
e quello attribuito alle depressioni
dove a crosta per le rughe dei fiumi è più fertile,
erano torrenti su di lei e piste e v’incombeva un cielo»:
sulla discesa i cani sono rossi
ed anche voi scomparsi.

da I fiumi (1990)
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