DI FABRIZIO BREGOLI
Il nuovo libro di Paolo Ruffilli, Le cose del mondo (Mondadori), come dice lo stesso autore nella nota introduttiva all’opera, è frutto della elaborazione più che quarantennale del progetto che ha assunto appunto la forma di “Le cose del mondo”, in un percorso – immaginiamo – di successive stratificazioni, rielaborazioni e revisioni intervenute nel corso degli anni. L’obiettivo che anima il lavoro è, attraverso la poesia, comprendere il mondo mediante l’esperienza del quotidiano, delle cose che lo popolano, nel tentativo di decifrare o cercare di definire un rapporto di dialogo fra io e realtà (le cose appunto, intese sia nella accezione concreta, come vedremo, di oggetti, sia nell’accezione astratta di esperienze che si vivono nel mondo). Questa scrittura che si è sviluppata nel corso di più anni spiega senz’altro la generosità nel numero di poesie incluse nella raccolta, senza che nessuna di queste sia in realtà superflua; al tempo stesso, l’ampiezza e la varietà dell’opera non fa venire meno l’impostazione poematica, che rende la silloge molto coesa, e quindi efficace nel suo sdipanarsi passo a passo durante la lettura. Non deve quindi ingannare il titolo in apparenza semplice e lineare, titolo che in realtà consente, data la sua genericità, di istituire una serie di rimandi molteplici a diverse sfere della realtà, in virtù della natura polisemica connaturata alla dizione poetica: cose – dicevamo – come rappresentazione della realtà, dove la parola (quella poetica in particolare) interviene per “domarne” “la resistenza”, “invita ciò che chiama a farsi essenza”, perché è grazie a lei che si riesce a “rompere il silenzio” (tema questo che si esplicita sezione per sezione fino a quella – decisiva – in chiusura). Continua a leggere