Portrait di Georg Trakl (1887-1914)

GEORG TRAKL

NOTA E TRADUZIONI DI ALESSANDRO BELLASIO

Verfall: disfacimento, dissoluzione. Se la poesia, prima ancora di dire, nomina, se cioè dice in quanto nomina, e se un poeta è anzitutto i nomi a partire dai quali dà forma al proprio dire, il mondo e la poesia di Georg Trakl (1887- 1914) prendono forma a partire da quel nome essenziale, dal Verfall. Ma il nome, in Trakl, non si sostantiva, non è substantia metafisica, né substratum logico-grammaticale; esso è, piuttosto, l’unità mobile e sempre in calando del divenire. Non essere, non fondamento, ma soglia di un trapasso. Al limite: essere come trapasso. «Io anticipo le catastrofi mondiali. Non prendo partito, non sono un rivoluzionario. Sono il dipartito, nella mia epoca non ho altra scelta se non il dolore». Verfall (come le sue varie declinazioni Untergang, Dämmerung, Neige, Verwesung ecc.) nomina l’essenza della poesia nell’epoca del nichilismo e delle catastrofi planetarie: essa è abgeschieden, congedata, dipartita; dissolta e prosciolta. Poesia scaraventata nell’abisso, nell’Abgrund, nell’assenza di fondamento. Edificata su pochi, ossessivi nomi-totem, ai quali è demandata la tenuta interna del poema. E sui colori. La nota più straziante della poesia trakliana: i suoi colori. Che non provengono né ritornano ad alcuna tavolozza, ma traggono da motivi interiori la loro vera tonalità. Trakl, che ha letto Rimbaud, si spinge là dove il francese si era limitato all’aperçu, per quanto geniale: reinventare la percezione psichica dei colori. A partire però – ed è questa la peculiarità, nonché la coerenza del poeta – da un solo tono dominante, quello del Verfall. Di qui, dalla dimensione di rovina e decadimento da cui sono attinti, i colori trakliani acquisiscono quella loro inconfondibile profondità, di modo che, per esempio, il bianco non è mai solo emanazione di una luce, l’azzurro mai unicamente superficie di un cielo, e il rosso è sempre e elettivamente purpureo. Continua a leggere