dalla Nota introduttiva di Milo De Angelis
Gianluca Chierici – poeta delicato, visionario e fiabesco che stringe la propria sapienza in trentadue testi ad alta densità metaforica – sigilla il suo breve viaggio con queste parole, rivolte a una altro, a una donna, a se stesso, a tutti noi:
Non perdere il poeta per trattenere l’uomo.
L’uomo è un fiore qualsiasi.
Il suo costume è buffo.
Il passo incerto barcolla tra le foglie di memoria.
Egli clona se stesso ad ogni istante,
in visi e corpi nascosti tra i rami.
Trattieni il poeta.
Il suo cuore è tutto un secolo.
“Trattieni il poeta”, non farlo scomparire, fa’ che duri per il tempo eterno del suo secolo, ossia del suo cuore. Questo suggerimento è anche un imperativo e ci costringe a ripercorrere dalla sorgente il fiume che sfocia nella sentenza finale, a redigere “un documento che sia antico nel suo mistero e nel suo ardore”, a restare nell’abbraccio strettissimo/ che sale verso l’ignoto”. Perché il senso dell’antico e del mistero, la percezione di un canto ferito e l’assedio dello sconosciuto premono potenti su queste pagine. Pagine indifese e urlanti, solcate da un grido che è anche una profezia: il nostro verso è interamente vulnerabile e solo chi è poeta può accompagnarlo in un viaggio così pieno di insidie e di rischi mortali. Continua a leggere