Giovanni Giudici, “Salutz”

Giovanni Giudici

III. 1

Ma siete voi – voi pure che non siete
Voi che in un tempo al vero
E al non vero equalmente rispondete –
Di viso in viso e corpi
Filtranti noi per futile parete
Poi che quasi da morti
Vivemmo là donde nessuno a dire
Non ritornava non ritornerà
Sub quale specie appaia uno sparire:
Mai lo sapremo mai –
Nell’alba di Toledo vi riudivo
E i tristi carri della pioggia intanto
A un rovo di parole restai vivo –
Se voi non foste non sarebbe il canto

 

VI. 2

Poi che diceste che sono
La talpa – o sia
Bestiola della quale non si dà
Lume né biografia –
D’ubbidienza la cieca galleria
Tortuosamente prono
Scavai come la più diritta via
Al mai-saper-dov’è vostro perdono:
Nero del nero, buio
Del buio – il mio peccato
Voi decideste, penitenziarìa
Di tutto e tutto tutto in che ho fallato:
Sempre mi fruga dove più m’infuio
Toro e lione mai non esser stato

 

VII. 2

Lichtlein che a grado a grado m’abbandona
Così come declina
Candelina nell’alba
E negli anni prestanza di persona –
Onore della lingua mia italiana
A voi, Minne, perlina su perlina
Parola da parola
Io compitavo a un filo di collana
Nota su nota della mia viola
E voce a spente voci di fontana –
Dal cuore della mia profonda cina
Anima senza nome a voi pregando
Consunta vista ormai
Occhi a un tepore di fango Continua a leggere

Le Ottave di Emilio Rentocchini

Emilio Rentocchini, per gentile concessione di Giorgio Giliberti

NOTA DI LETTURA DI LUIGIA SORRENTINO

Emilio Rentocchini è un poeta grandissimo e raro. Scrive ottave in endecasillabi in un idioma sassolese, una lingua scomparsa quasi reinventata dal poeta, che sopravvive nella sua memoria, una lingua di mezzo tra il modenese e il reggiano. Véver e basta uguel a trasparir (Vivere e basta equivale a trasparire), verseggia il poeta come un menestrello, con una voce antica e ultima, e raccoglie nella forma stretta del verso, la verità più profonda: il valore della vita.

Ecco che l’aspetto del linguaggio elevato a simbolo, diventa sostanza, essenza, al di là dell’apparenza delle cose, argine al quale appigliarsi, e nella pronuncia, la lingua  si fa slavina,  neve che si stacca dalla montagna e scivola via.

Grazie alla pubblicazione di Lingua madre, (Incontri Editrice, Sassuolo, pp. 296, euro 14), è possibile attraversare tutta la produzione in versi di Emilio Rentocchini.

L’opera raccoglie le poesie di Otèvi (1994), Segrè (1998), Ottave (2001), Poediànt (2004), Giorni in prova (2005), Stanze di confine (2014).

Le ottave del poeta di Sassuolo sono 256, composte nell’arco di più di vent’anni in una gabbia metrica che rimanda al Boiardo e all’Ariosto, straordinari poeti della sua terra. Ogni poesia è accompagnata dalla traduzione in italiano, una variante “autosufficiente e persuasiva”, come ebbe a definirla Giovanni Giudici.

195

Véver e basta uguel a trasparir
e ander via veirgin, soul chi gh’la fa a fer
dla sô realtê un sìmbol al sa sintir
d’esr esistî; l’è deintr al spec mea cer,
panê, ch’i armàgnen lè i noster respir
mai pers: nueter, segrét, in al penser
di eter. Palida luna al dopmesdè
t’ê la risposta in me ai dè d’in dè.

Vivere e basta equivale a trasparire
e andarsene vergini, solo chi fa
della sua realtà un simbolo sente
di essere stato; è nello specchio
appannato che restano i nostri respiri
non perduti: noi, segreti, nel pensiero
degli altri. Pallida luna del pomeriggio
sei la risposta, in me, ai giorni comuni.

199

Al fiour, òreb e mót, al seint chi al guerda,
as lancia incountra a l’aria a l’incontrari
léber da la sô tera ed gera o merda
e al sa d’eser dla lus dal lucernari
fiurand, ed véder, anch per chi an le guerda.
Se un po’, dre grot seinsa n’intestatari
do tótt l’è melta e gresta, as volta al clour
d’un pisalet pulvreint, mai piò dulour.

Il fiore, cieco e muto, sente chi l’osserva,
si slancia incontro all’aria all’incontrario
liberato dal terreno di ghiaia o sterco
e sa di essere della stessa luce del lucernaio
fiorendo, di vetro, pure per chi non lo guarda.
Se poi qualcuno, lungo dirupi privi di intestatario
dove tutto è argilla e crosta, si volge al colore
di un piscialetto polveroso, mai più dolore.

da: Lingua madre, (Incontri Editrice, Sassuolo, 2016) Continua a leggere

Emilio Rentocchini, tre poesie

Emilio Rentocchini

Quand l’alséra parola la s’imposta
al servési a gratis d’un pensér, viva
e in fuga, fida e tradidoura aposta
ed la becca impasteda dla saliva,
al corp al vébra e cal pensér se scosta
da la not primordiela seinsa riva
e sillaba per sillaba al s’avira
nal fiê ordinê dal teimp, al va, e al delira.

Quando la lieve parola s’imposta
al servizio gratuito di un pensiero, viva
e in fuga, fida e apposta traditora
della bocca impastata di saliva,
il corpo vibra e quel pensiero si scosta
dalla notte primordiale senza rive
e sillaba per sillaba si apre
nel fiato ordinato del tempo, va, e delira.

***

Tótta la véta ster pugê al preseint
dmand post pasê o pre futur, cioè gnint,
sbater ded sà e ded là s’as léva al veint
in st’oasi luminousa ed nóvli e gint
ch’la bev a becca in sò al sô nutrimeint:
relétt alién in dov as réd per gnint
in dov as pians d’amour, e a per realtê
soul la testa d’un dio ch’al s’ha pensê.

Tutta la vita appoggiarsi al presente
come post-passato o pre-futuro, cioè niente,
sbattendo di qua e di là se s’alza il vento
in quest’oasi luminosa di nuvole e gente
che beve a bocca in su il suo nutrimento:
relitto alieno dove si ride per niente
o si piange d’amore, e pare realtà
solo la mente d’una divinità che ci ha pensato.

***

Sa gh’è ’d piò bel che sparir via nal senn
in bras a un dormivéglia, meşa ghessa
ed memoria la blésga in un acenn
seimper piò liquid ed spensieratezza.
La vén sò na nebióla doulsa ed denn
snucedi per d’ed là, d’ed sà la fessa
d’in dóve as vén al mend e as tourna a spenda,
la véta na róda, la bala tenda.

Cosa c’è di più bello che svanire nel sonno
in braccio a un dormiveglia, mezza goccia
di memoria scivola in un accenno
sempre più liquido di spensieratezza.
Sale una nebbiolina dolce di donne
inginocchiate all’aldilà, di qua la fessura
da cui si viene al mondo e si ritorna a sponda,
la vita una ruota, la palla rotonda.

Da: 44 OTTAVE, di Emilio Rentocchini, Book Editore, 2019 Continua a leggere

Ferruccio Benzoni (1949 – 1997)

Ferruccio Benzoni

ESTRATTI
da Con la mia sete intatta, Tutte le poesie di Ferruccio Benzoni (Marcos y Marcos, 2020)

La casa rossa

Non c’è più la casa rossa dov’era sfollato
mio padre e mia madre quasi in un presagio
spiava la morte. Pure quanta vita ancora
e voglia di crescere per gioco un bambino!
Dante Arfelli era un giovane e sapeva l’inglese:
vennero gli alleati e sorridendo accendeva le sue luckystrikes…

Quando vidi “Accattone” da una cabina di proiezione
– poca gente in sala e un’idea di benessere ai piedi
nelle scarpe all’inglese coi buchi – ero appena ragazzo,
piangevo. ‘ Gisto l’operatore, ma vieni domani – imprecava –
che danno i cowboys… Fu il mio modo
di sentirmi comunista, sentendomi controluce.

La prima ragazza che ebbi io non l’amavo.
Ma aveva i seni duri sotto il grembiule di scuola.
Fu un pomeriggio ai campi. Arrivammo nel sole
in bicicletta: ricordo un odore di lacca e di sete, d’ascelle.
Il batticuore mi seccava la gola. Sapevo di ridere male.
Lei era svelta e triste se diceva “mi ami?”

Non c’è più la casa rossa e vivere è ormai necessario.
Arfelli scrisse “I Superflui” che io ero dentro mia madre.
Adesso che ci parliamo e so quanto sia chiuso quel libro
e agro, cosa fu la vita – mi dico – quegli anni
di mia madre e di me, dentro di lei, un’estate
del quarantotto. Come un romanziere allora
vorrei fingerla morta…

da Fedi nuziali (1991)

I morti amici

Ben presto verranno a sapere
(tu forse dimenticando…)
la solitudine cos’è se disarma
in un sopore d’animule.
Ma saranno mai soli, sapranno
mai cos’è una passione?
Dondola a un vento il canale,
e tu che ringhi
andrò via, me ne andrò
– lo so: non ci credono.
Qui sepolto ti vedono, solo,
con l’arroganza d’averci creduto.

(1985) Continua a leggere

Robert Frost (1874-1963)

Robert Forst

The Road Not Taken

Two roads diverged in a yellow wood
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I –
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

1916

Robert Frost

La strada non presa

Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava. Continua a leggere

Sylvia Plath, “Olmo”

Sylvia Plath

L’OMBRA DELLA PAROLA FATALE

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Non ha paura del fondo perché lo ha abitato, Sylvia Plath. La sua poesia, confessionale eppure incapace di insterilirsi sul puro piano dell’autobiografia, adombra una ricerca finissima in ambito lessicale e fonico e, dalla voce di dentro, proietta sulla pagina letteraria un dialogo viscerale e sanguigno con la natura e i suoi elementi. Non c’è spazio per la neutralità: l’urlo deve essere ribadito, perché ai tormenti è necessario dare del ‘tu’. Tuttavia, sebbene la consapevolezza delle proprie ombre sia portatrice di una qualche lucidità, il dolore non porta qui a un livello superiore di conoscenza. L’autrice è ancora inchiodata al ruolo di Elettra che da sola ha voluto assegnarsi, non ha ancora imparato – né mai ne avrà occasione – la legge di Zeus per cui la sofferenza fa scaturire scintille di luce e di sapere. Orfana, culla la propria afflizione e come in un rito pronuncia per tre volte la parola fatale cui andare incontro. Continua a leggere

Sylvia Plath, “Tulips/Tulipani”

Sylvia Plath


LA POESIA CONFESSIONALE

di Luigia Sorrentino

Sylvia Plath e Anne Sexton fra gli anni Cinquanta e Sessanta introducono negli Stati Uniti una poesia che venne definita dalla critica Confessional. Un genere che ha avuto poco seguito anche perché in quel periodo storico in America si andava diffondendo la poesia della beat generation, un movimento artistico e di protesta contro la società americana.

Il genere Confessional  definito anche “poesia automatica”, non poneva alcun filtro all’espressione poetica basata sull’esperienza personale e biografica.

E’ il 1961. Sylvia ha appena subito un intervento chirurgico ed è ricoverata in ospedale quando le viene recapitato nella stanza un mazzo di tulipani rossi. I fiori diventano nella poesia della Plath, l’estensione di ciò che Sylvia sta vivendo in quel preciso momento.
Il candore della stanza in cui si trova, una stanza bianca, interiore e psichica, viene turbato dalla presenza sanguigna dei tulipani che diventano il pretesto per vivere e confessare la propria condizione di alienazione. Attraverso i tulipani la Plath rivive l’esperienza drammatica della sua esistenza, sempre in bilico fra la ricerca della vita e la ricerca della morte.

Sylvia Plath scrive Tulips tre anni prima del suicidio e inserisce la poesia nella raccolta  “Ariel”.

Il volume dei Meridiani Mondadori qui presentato, raccoglie l’intera opera poetica di Sylvia Plath, con testo a fronte, secondo l’edizione definitiva dei Collected Poems curata da Ted Hughes nel 1981. Sono inoltre inclusi nel volume il romanzo autobiografico “La campana di vetro” e un’ampia selezione di racconti e di pagine tratte dai “Diari”. La raccolta, curata da Anna Ravano, contiene un’introduzione firmata da Nadia Fusini.

 

Luigia Sorrentino legge da “Ariel”, nella traduzione di Giovanni Giudici,  Tulipani, di Sylvia Plath sulle note di “The ritual” (Outro) del compositore ungherese Bèla Bartók.

(Tecnico di produzione Mattia Cusano).

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Alberto Bertoni, ZANDRI (Ceneri)

Alberto Bertoni a Poesia Festival / photo© Serena Campanini

Per la prima volta Alberto Bertoni in quest’opera (Book Editore, 2018) sperimenta in poesia interamente la lingua dialettale modenese. Un’opera raffinata, uscita nella collana  diretta da Nina Nasilli. Il poeta si concede per la prima volta e  in modo naturale alla lingua madre della sua terra d’origine. La postilla è di Fabio Marri.

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25 poesie per l’infanzia e non solo

Evelina De Signoribus

Creare un incontro

Poeti in classe” nasce dall’idea di creare un incontro: quello tra i bambini, la poesia e chi la scrive. Per creare questa possibilità ciascuna sezione del libro corrisponde alla voce di un poeta che prima, in prosa, si presenta e racconta il modo in cui ha incontrato la poesia; poi dona al lettore/ascoltatore alcuni suoi versi, anticipati da un breve commento, che funziona come continuazione del dialogo e possibile guida alla lettura del testo. Le voci dei poeti, tra loro assai diverse tanto nelle parti in prosa quanto nei versi donati, sono accomunate dall’idea di rivolgersi al pubblico bambino quale è: meritevole di vera letteratura, esigente, curioso e desideroso spesso di sperimentare quel che fa la buona poesia: crea infatti un legame tra chi legge e chi ascolta, inizia al suono delle parole e al ritmo del verso o della frase, apre ad un linguaggio che è anche e non solo interiore, aiuta a conoscere se stessi e gli altri. Continua a leggere

Anna Cascella Luciani

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Anna Cascella Luciani, in una foto di Dino Ignani

 

Dalla Nota di Marco Corsi a Gli amori terreni 2009-2012

Le parole che compiono un gesto intorno ad altre parole hanno una doppia responsabilità: quella non facile di indicare una direzione e quella più onerosa di trovare il punto cieco del discorso, il suo inesauribile centro. Tanto più se certe parole – quelle che sono oggetto di osservazione – possiedono un passato importante alle spalle: un passato che conta almeno quarant’anni di poesia e di pensiero critico sulla poesia. Continua a leggere

Roberto Alperoli: “La poesia purifica la lingua, la salva”

roberto

Roberto Alperoli

INTERVISTA di Guido Monti

Incontro Roberto Alperoli ideatore e direttore artistico di Poesia Festival Terre dei Castelli, uno degli eventi più riusciti per qualità e progettualità culturale che si tiene da dodici anni nel territorio emiliano. Ci sediamo in una trattoria di Modena molto nota vicino al teatro Storchi. La canicola del sole settembrino ci riporta in pieno agosto. I suoi occhi in attesa di domande, hanno quella vividezza e curiosità propria di quei bimbi al culmine della fanciullezza. Roberto nel tuo libro,“Il cielo di oggi”, di qualche hanno fa, in una poesia molto toccante dal titolo “La madre”, dici : “E’ tanto tempo/che non mi manchi più,/che non mi chiami; /eppure sei stata tu // la mano del mio principio, l’assunto abbagliante/del mio dolore; //…”. Ecco allora potrei girarti questa poesia in forma di domanda.

Come è maturata in te la decisione di creare questo festival nel 2005 assieme ai compagni del primo momento Alberto Bertoni e Paola Nava? Forse appunto perché la poesia la sentivi come mano del tuo principio e volevi però anche tenacemente mostrarla ad una comunità più ampia? Avevi intuito che questo territorio potesse avere in sé quel terreno di coltura per la crescita della pianta poetica?

Ho un lungo rapporto con la poesia, che fa parte della mia vita da sempre, direi. La leggo, la scrivo, la seguo nella sua dimensione pubblica. Il suo valore, la sua importanza – anche terapeutica – la sperimento (l’ho sperimentata) su di me, sulle persone che conosco. Anche sul valore pubblico, civile, etico della poesia rifletto da tempo. Soprattutto oggi che la lingua è stata colpita al cuore, che il linguaggio è un lungo, ininterrotto boato di frasi fatte, inerti, di parole caricaturali, senz’anima. La nostra è un’epoca di monotonia espressiva, spettacolare e rumorosa. La lingua è gridata nelle trasmissioni televisive, mortificata dalla pochezza della politica, massificata e banalizzata dal web, orfana dei comportamenti e dei modelli che, un tempo, ne sapevano custodire la vocazione civile. Il linguaggio della politica, poi, ne ha enfatizzato l’impotenza. Il dolore della lingua è proprio la sua inespressività. E nel frastuono e nell’impoverimento delle parole siamo tutti più poveri. Ecco, salvare la lingua, il bene pubblico della lingua, significa allora salvare noi stessi, le nostre emozioni e i nostri pensieri, che solo il linguaggio rende comprensibili e comunicabili. Ed è qui il valore della poesia, che si oppone a questo collasso perché è un ingrediente attivo del linguaggio, uno spazio per la propria identità. Purifica la lingua, rimette al mondo l’innocenza delle parole. Si oppone alla miseria individuale e alla miseria pubblica. Continua a leggere

Cristina Annino, “Anatomie in fuga”

anatomie_in_fugaDall’Introduzione
di Maurizio Cucchi
___
Cristina Annino aveva avuto un esordio felice, una giovinezza poetica decisamente illustre, di primo piano. Aveva infatti goduto della stima di grandi personaggi, di poeti e promotori di poesia di cui oggi sentiamo la mancanza. Parlo infatti di Franco Fortini, di Giovanni Giudici, di Antonio Porta che con la loro autorevolezza  ne avevano subito colto l’originalità, la freschezza energica, il talento, insomma. Erano stati i tempi di un suo esordio collettivo Einaudi con introduzione di Walter Siti, della pubblicazione di uno dei suoi libri migliori, Madrid, apparsi in una collana diretta da Michelangelo Coviello. Da allora sono passati più o meno trent’anni e Cristina Annino ha lodevolmente pensato più all’autenticità, sempre rincorsa, della propria esistenza personale, che al successo letterario e alla presenza su una scena che ingiustamente – ma con il suo concorso involontario – la stava mettendo temporaneamente da parte. Continua a leggere

Il tema paterno nella poesia italiana del Novecento

padri_718Giovedì 17 marzo, ore 19.30, LABORATORIO FORMENTINI

PADRI: (il tema paterno nella poesia italiana del Novecento)1/2

a cura di Milo De Angelis

Come appare il personaggio paterno nei poeti del nostro tempo, come si manifesta il suo carattere, il suo insegnamento, la sua memoria, la sua mancanza, la traccia della sua parola: dodici autori – da Pascoli ai nostri giorni – scelti da Milo De Angelis e letti da Viviana Nicodemo. Continua a leggere

Paolo Valesio apre il ciclo “Officina della poesia”

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A Bologna, martedì 20 ottobre 2015 alle ore 18.00, presso la Libreria Coop Zanichelli (Piazza Galvani 1/), si apre il ciclo “Officina della Poesia” con la presentazione di “Storie del Testimone e dell’Idiota”, poesie inedite di Paolo Valesio.

La plaquette, con un’incisione inedita di Riccardo Piccardoni, è pubblicata a tiratura limitata e rilegatura a mano dall’Associazione Culturale La Luna, nata in territorio marchigiano e che ha già pubblicato, fra altri, testi di Eugenio de Signoribus, Yves
Bonnefoy, Wislawa Szymborska, Alessandro Parronchi, Carlo Volponi, Giovanni Giudici, Mario Luzi e Carlo Bo.

Il programma degli incontri, è a cura di Alberto Bertoni, Pier Damiano Ori e Paolo Valesio.

Giovanni Raboni, "L'emozione della poesia"

 
raboni_emozioneTesti e interventi sulla figura di Giovanni Raboni (Collana Stampa 2009, 2014) a cura di Valeria Poggi, euro 15,00.
Dalla Prefazione di Valeria Poggi
Motivare l’idea di questo libro è semplice: si tratta di un doveroso riconoscimento al poeta, al critico, all’intellettuale, all’amico che è stato Giovanni Raboni. La difficoltà è semmai risultata quella di restringere il campo degli interventi, delle testimonianze. La scelta, allora è caduta inevitabilmente sulla città di Milano, su chi in questa città ha operato a contatto con lui. Perché Milano? Milano perché è la città dove Raboni è nato, ha vissuto, ha voluto “lavorare” e lasciare la sua impronta di poeta e di grande promotore di cultura (nonostante le tentazioni di Roma e di Napoli). Milano è la città che la fa da protagonista nella sua opera poetica, la città che vede la sua firma da «Questo e altro» a «Paragone», da «aut-aut» a  «Il Verri», da Milano Poesia (con Antonio Porta) alla Società di Poesia (per promuovere la pubblicazione insieme a Maurizio Cucchi, Antonio Porta, Giovanni Giudici, Giuseppe Pontiggia ed altri, dei testi di giovani poeti), dal Piccolo Teatro al Premio Bagutta, dalle pagine del «Corriere della Sera» al costante impegno civile.
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Giovanni Giudici, "Tutte le poesie"


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Da oggi, martedì 3 giugno 2014 è in tutte le librerie, l’Oscar Mondadori con tutte le poesie di Giovanni Giudici, da La vita in versi (1965) a Eresia della sera (1999), il percorso poetico di un maestro dalla sensibilissima attenzione al reale e dall’impareggiabile freschezza inventiva, nello stile e nella forma.
L’opera comprende nuovi apparati critici curati da Maurizio Cucchi: cronologia, bibliografia aggiornata e un importante saggio introduttivo che rendono questo volume la porta d’accesso ideale al mondo poetico di un grande del Novecento. Continua a leggere

Roberto Cescon "La direzione delle cose"

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La generazione entrante
di Luigia Sorrentino
“Non si comprende, oggi, se i segnali che si colgono dalle persone, parlando e lavorando con loro, condividendo spazi e interessi, siano davvero quelli di un cambiamento definitivo nell’orizzonte della vita presente.”
Con queste parole Gian Mario Villalta introduce il nuovo libro di poesie “La direzione delle cose” di Roberto Cescon, Giuliano Ladolfi Editore, 2014, (euro 10,00).
Villalta sembra fare riferimento a una “generazione entrante” che prova a dare il segnale di un cambiamento definitivo del presente attraverso la parola della poesia. Continua a leggere

A “Notti d’autore” Giulio Ferroni

E’ Giulio Ferroni, il protagonista di “Notti d’autore” il programma di Luigia Sorrentino in onda il 20 giugno 2013, alle 0.30, nella notte tra mercoledì e giovedì su Rai Radio 1. Nato a Roma nel 1943, ha studiato all’Università di Roma, laureandosi in Lettere con Walter Binni (uno dei maggiori studiosi di Giacomo Leopardi) con una tesi su Annìbal Caro, famoso traduttore, drammaturgo e poeta del Cinquecento. Ha rivolto subito i suoi studi verso il teatro e la cultura del Rinascimento (con particolare attenzione ai modelli antropologici), verso il teatro del Settecento, verso la teoria della letteratura, verso la produzione letteraria contemporanea. E’ uno dei critici più autorevoli: sulle pagine di “Repubblica” nel 2006 ha dato vita a una delle polemiche più accese che le cronache letterarie ricordino con uno degli scrittori più venduti in Italia e all’estero: Alessandro Baricco.
Giulio Ferroni, critico militante, che interpreta con rigore, obiettività, ragionevolezza, ma anche con passione la letteratura del proprio tempo, partecipando attivamente con giudizi a caldo su opere scritte da nuovi autori, con saggi, articoli in riviste e giornali, e partecipando attivamente alla vita artistica e letteraria del proprio paese.

L’AUDIO DELL’INTERVISTA A GIULIO FERRONI di Luigia Sorrentino

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Giulio Ferroni, “Gli ultimi poeti”

Appuntamento

Lunedì 13 maggio 2013 alla Casa delle Letterature di Roma alle 18:00, Alfonso Berardinelli, Andrea Cortellessa, Franco Cordelli, Raffaele Manica presentano il libro di Giulio Ferroni Gli Ultimi Poeti, Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto (Ed. Il Saggiatore). Sarà presente l’autore.
Segue aperitivo

Roma, lunedì 13 maggio 2013 ore 18.00
Casa delle Letterature
Piazza dell’Orologio, 3 Continua a leggere

“La vita in versi”, cinque serate di poesia italiana

Appuntamento

Il Teatro Sociale di Gualtieri con il patrocinio del Comune Gualtieri a Reggio Emilia ospiterà l’evento: “La vita in versi”. Cinque serate di poesia italiana. Progetto e direzione artistica di Veronica Costanza Ward e Guido Monti. Organizzazione: Associazione Culturale “La parola, il verso:”

Dall’8 Maggio al 5 Giugno 2013, ogni Mercoledì sera ore 21.00, saranno presenti all’interno dello storico Teatro Sociale, rilevanti esponenti della poesia e critica contemporanea del nostro paese,

Si avvicenderanno in questo mese, voci molto diverse per varietà di tono, d’età, di parlato poetico, di approccio verso le cose della vita, ma tutte credo capaci di dire qualcosa di autentico, di suggerirci strade incredibilmente chiare o profondamente oscure di interpretazione del reale Continua a leggere

Addio a Zdenek Frybort

Zdenek Frybort, tra i più importanti traduttori dall’italiano della Repubblica Ceca, considerato in patria uno dei massimi esperti della letteratura italiana, è morto a Praga a 83 anni dopo una lunga malattia. Lo annunciano i suoi amici a Ravenna, dove aveva incontrato oltre cinquant’anni fa la moglie Giovanna, anche lei da poco scomparsa, e dove era apprezzatissimo per i suoi interventi culturali.

Nominato Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia dal presidente Ciampi nel 2005, Frybort ha tradotto, tra gli altri, Curzio Malaparte, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Elsa Morante, Umberto Eco (di Frybort la traduzione in ceco de ‘Il nome della rosa’), Aldo Busi, Vittorio Sereni, Edoardo Sanguineti, Roberto Calasso. E proprio per quest’ultima traduzione, Frybort ricevette nel 2009 il massimo riconoscimento di settore, il Premio Unione dei Traduttori. Continua a leggere