Giovanni Pascoli
RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA
Da quando sentiamo parlare di poètes maudits? Da sempre. Ce li immaginiamo bellocci, beoni, perennemente su di giri, con abiti lisi e sfilacciati, barboni, con cappellacci logori, dediti al gioco, sfrontati, passionali, deliranti. Un po’ sgherri e un po’ genialoidi, un po’ teppisti e un po’ incompresi. Non è detto, però, che le cose stiano sempre così. Almeno all’apparenza. Il rigido stereotipo in alcuni casi può impedirci di vedere una realtà più profonda e inattesa. E le sorprese non mancano. Ad esempio, nel nostro paese quale poeta tra tutti può essere definito a ragione “maledetto”? Uno degli scapigliati? O, peggio, dei futuristi? Campana? D’Annunzio? «Vincente — almeno per la parte di biografia che di lui si conosce meglio e su cui ci si sofferma più volentieri, perché avventurosa e trionfante — e interprete dello spirito del suo tempo, D’Annunzio non è il nostro poeta maledetto. Lo è il suo fratello “maggiore e minore”: Giovanni Pascoli». Il bonario e paffuto Pascoli? Incredibile a dirsi. Ma è questa l’intrigante ipotesi di Francesca Sensini, professoressa associata in Italianistica all’Université Côte d’Azur (Nizza), che in Pascoli maledetto propone essenzialmente una documentata rivisitazione del profilo intellettuale ed esistenziale del poeta romagnolo, sino a setacciare gli elementi più minuti della sua biografia per poter leggere in chiaroscuro il dramma interiore, le vorticose tensioni, gli eccessi (censurati dalla sorella Maria), la genealogia e parentela letteraria (con Verlaine in particolare) che lo riconduce agli orizzonti più fulgidi della grande poesia europea.
«Partiamo da qui. Lorenzo Viani, pittore e scrittore viareggino, anarco-socialista, incontra Pascoli per caso quando il poeta aveva quarantotto anni, nel 1903 a Pisa: “Un giorno del 1903, in Pisa, io insieme con un amico addentrato nelle lettere s’entrò ‘dal Garzella’; un’osteria popolare, e ci si sedette a un tavolo: a uno più in là era seduto un bell’uomo dal viso giovevole, camicia floscia, fiocco nero volante, vestito comodo, il quale, mangiando, inseguiva con gli occhi delle chimere. — Quello lì è Pascoli — mi disse piano l’amico”. Partiamo da questo ritratto dell’uomo, bello, disinvolto, seduto in mezzo alla gente e assorto nelle sue fantasie. Il resto è da costruire, decostruendo l’imponente monumento che la critica letteraria ha scolpito e la divulgazione scolastica ha contribuito a consolidare dalle fondamenta, antologizzando, schematizzando, scegliendo il taglio di lettura più praticabile ma non per questo più convincente». Continua a leggere→