Giovanni Perri, cinque poesie

Giovanni Perri

da “Cifrario dell’invisibile”

Vorrei tradurre piano la gioia:
fermare il mappamondo con un dito
mettere casa in un fosso di sabbia dove
scorpione e sagittario si amano:
parlo di fiumi in piena
di isole incendiate
di telescopi per avvistare minuscole nomenclature del tempo
gente che rientra in un guscio di noce, si addormenta piangendo
oppure parlo solo di aria sconosciuta
corpi che avanzano al buio
inciampano in qualcosa
cercano l’angolo di luce.

*

Quasi preghiera

Noi siamo gli accampati
sulle teorie dei mondi:
ostaggi del bene sogniamo il taglio verticale
il pianto che ci salvi dal coro delle polveri:
e ti parlo del bene come viene
dai cuori delle vergini albere
spaventate ad ogni scoppio di luna; ti parlo
della zingara nuda
crocefissa al sole.
Scoliamo bottiglie d’aria
per finire ubriachi in vergogna
di non avere amato abbastanza.

*

Controluce

Settembre piove nelle scarpe, senza andatura
da ogni piccola morte riempito, svuotato.
Un verso controluce settembre:
la tristezza per una cosa che non è mai esistita. Continua a leggere

Giovanni Perri, rabdomante della parola

Giovanni Perri

COMMENTO E SCELTA DEI TESTI DI GIOVANNI IBELLO

Giovanni Perri, classe 1972, vive a Napoli. E’ laureato in lettere presso l’ateneo fridericiano con una tesi in storia dell’arte medievale. Lavora in Stazione centrale, gestisce un’edicola, luogo archetipico di incroci e fughe. Vende magazine, quotidiani, biglietti da viaggio, souvenir per i turisti. E non è un caso che la nella parola di Perri, regni il senso dell’attraversamento, del luogo precario dove non è concesso ristoro. Giovanni è un rabdomante della parola, uno sregegolatore che fiuta il segno, che parte dal “segno” della cosa reale per sfigurare e tradire ogni legge. Le poesie qui proposte sono tratte da un volume di prossima pubblicazione.

 

Dev’esserci un nome
per dire dove sono quando scrivo
scavando, un nome, che
porti con sé l’odore forse
di qualche campagna bruciata
un nome di donna o di città
che abbia ai fianchi una collera antica
e nella bocca un rudere coperto di sterpaglie;
un nome che entri nella parola casa
e si nasconda per sempre in un punto impreciso del soffitto
nella tenda lì in basso macchiata
da una qualunque ora di paura
uno per dire è sera se le luci rientrano nei tuoi capezzoli
è giorno se l’incendio l’ho visto partire dai capelli o dalla voce. Continua a leggere