Luigia Sorrentino, “La squadra”

Luigia Sorrentino / Credits ph. Angelo Nitti

La squadra

nasconde il più profondo inverno
la notte va avanti fino all’alba
a palpebre socchiuse, le lettere di un nome
inciso a colpi d’ago nelle vene
addormentate, rovi selvatici
hanno visto sangue e vomito

la polvere bianca sventra il proprio
antecedente, quello che era prima
delle stelle, nel tempo anteriore
alla città indifferente

seduti in cerchio bruciavano neve
nella carta stagnola, fiammella venerata
laccio emostatico stretto con i denti

morte caduta nelle braccia
crivellate di colpi
presenza terribile nello sterno

degrada il terriccio
dietro le scale della villa comunale
la metamorfosi nella capra
la sola davvero scelta

la squadra compie il rito
l’anestesia recupera la parola rubata
la parola amata

la violenza fondatrice umanizza
il nostro sguardo
conduce su una prospettiva che muta
dallo sfondo
sposta l’immagine in primo piano

allora vedi la giovinezza
nella macchia scurissima che la inghiotte
scendi nelle crepe in cui non sei mai stato
nella ferita che voi non avete mai visto

la grande opera è sola

Luigia Sorrentino, La squadra

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Gianluca Furnari & Pietro Cagni

funaridi Tommaso Di Dio

La poesia continua; non può non continuare: sembra che continuare sia il suo più essenziale e forte e profondo messaggio. Ogni qual volta che se ne senta più scorata la presenza, più perdute sembrino tutte le ragioni perché continui, ecco che, dalla crepa più arida dell’interruzione, sopraggiunge, all’istante, la poesia a dire di noi, a dire qualcosa che continua sottotraccia, che si credeva smarrito e obnubilato da infinite soglie di stupide deviazioni.

È con questa impressione sulle labbra che mi accingo a parlare di due giovani libri di due altrettanto giovani autori che emergono, negli ultimi mesi del 2015, con il loro esordio nel campo aperto della poesia italiana. Sto parlando di Vangelo Elementare (Raffaelli, Rimini 2015) di Gianluca Furnari (nato nel 1993) e di Adesso è tornare sempre (Le farfalle, Catania 2015) di Pietro Cagni (nato nel 1990): due libri completamente diversi eppure complementari, due libri che, pur nati entrambi alle pendici dell’Etna, sembrano aver percorso all’ombra di un diverso lutto fondativo distanze siderali, l’uno lontano dall’altro, per incontrarsi, infine insieme, in una pozza vibrante d’entusiasmo e presenza. Continua a leggere

Giacomo Leopardi, “Le ricordanze”

Giacomo Leopardi

di Luigia Sorrentino

Il canto “Le ricordanze” fu composto da Giacomo Leopardi a Recanati, tra il 26 agosto e il 12 settembre del 1829, nello stesso luogo dove scrisse  “L’infinitoInfinito (qui accanto riportato nella scrittura autografa del poeta). Stando a numerose testimonianze, in quello stesso anno Leopardi compose anche La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e, tra il 1829 e l’anno successivo, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Un’emozione particolare traspare dalla lettura de “Le ricordanze“, che compare poi, per la prima volta, nelle edizioni Piatti (Firenze) nella riedizione del 1931 dei Canti. “Il ritorno” alla casa del padre, dopo una lunga assenza, suscita nel poeta, l’onda delle “ricordanze”.

LE RICORDANZE, di Giacomo Leopardi. Lettura di Luigia Sorrentino.

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Ruggero Cappuccio mette in scena “il giovane Rossini”

Dal 18 aprile 2012 è in scena al Teatro dell’Opera di Roma la più amata delle opere di Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia. Il nuovo allestimento, in coproduzione con il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste, del capolavoro rossiniano è firmato per la direzione d’orchestra da Bruno Campanella e per la regia da Ruggero Cappuccio; le scene sono di Carlo Savi, i costumi di Carlo Poggioli. Maestro del Coro Gea Garatti Ansini.

“Nell’allestimento del Barbiere di Siviglia – ha detto il regista Ruggero Cappuccio – metterò in scena Gioachino Rossini. La regia si concentra sulle notti febbrili del grande compositore che a soli ventiquattro anni scrisse un capolavoro destinato ad attraversare i secoli con travolgente vitalità. Un giovane attore, infatti, impersonerà Rossini alle prese con il suo tumulto creativo, mentre lo spettacolo diventa una soggettiva giocosa e malinconica sviluppata dall’angolazione del musicista. Nel Settecento sospeso, creato dallo scenografo Carlo Savi e dal costumista Carlo Poggioli, Rossini determina le azioni dei suoi interpreti, come posseduto dagli spiriti che animano il suo melodramma buffo e geniale”.

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I versi di Rumi all’Auditorium di Roma

All’Auditorium Parco della Musica oggi, 13 marzo 2012 alle 21:00, andrà in scena “Rumi: Suoni e danze per un viaggio nel mondo di Rumi”: musica, danza, teatro per restituire la poesia e il pensiero del grande Rumi. Sul palco un collettivo di musicisti, danzatori, attori, scrittori, residenti in Italia e di nazionalità iraniana, egiziana, Indiana e Italiana che hanno deciso di offrire gratuitamente i propri compensi professionali al fine di diffondere il messaggio di questo grandissimo e sconosciuto poeta medievale: un personaggio che sfidò i pregiudizi e le convenzioni religiosi della sua epoca: Jalāl al-Dīn Rūmī.

La recitazione dei versi di Rumi sarà affidata a Virginio Gazzolo e alla piccola Bianca Brussani che rappresenteranno giovinezza e vecchiaia, passato e futuro dell’uomo nel suo viaggio interiore alla scoperta della propria natura divina. Continua a leggere

Carlo Carabba, Canti dell’abbandono

Lo Specchio Mondadori dedica un nuovo spazio ai giovani poeti emergenti pubblicando quattro delle voci più giovani della poesia contemporanea: Fabrizio Bernini, con L’apprendimento elementare, Carlo Carabba con Canti dell’abbandono, Alberto Pellegatta con L’ombra della salute e Andrea Ponso con I ferri del mestiere.
Dopo Fabrizio Bernini è la volta di Carlo Carabba.

“Carlo Carabba offre un quadro di lucida e complessa meditazione lirica, per certi aspetti di impronta classica, mossa in particolare dal turbamento dovuto al mutare dei paradigmi conoscitivi. Tema centrale – realizzato nell’equilibrio di una pronuncia composta e organizzata sulla base di un verso fortemente legato alla nostra migliore tradizione – si può individuare nell’idea paradossale dell’io inteso al tempo stesso come prigione da cui è impossibile sfuggire e come centro unificatore misterioso. Il viaggio, i percorsi della memoria e l’ossessione della mortalità sono tra le articolazioni più vive e frequenti di questa inquieta poesia riflessiva.”
                                                                         (dalla quarta di copertina) Continua a leggere