The Wild Iris
At the end of my suffering
there was a door.
Hear me out: that which you call death
I remember.
Overhead, noises, branches of the pine shifting.
Then nothing. The weak sun
flickered over the dry surface.
It is terrible to survive
as consciousness
buried in the dark earth.
Then it was over: that which you fear, being
a soul and unable
to speak, ending abruptly, the stiff earth
bending a little. And what I took to be
birds darting in low shrubs.
You who do not remember
passage from the other world
I tell you I could speak again: whatever
returns from oblivion returns
to find a voice:
from the center of my life came
a great fountain, deep blue
shadows on azure seawater.
Louise Glück
L‘Iris selvatico
Alla fine del mio soffrire
c’era una porta.
Sentimi bene: ciò che chiami morte
lo ricordo.
Sopra, rumori, rami di pino smossi.
Poi niente. Il sole debole
tremolava sulla superficie secca.
È terribile sopravvivere
come coscienza
sepolta sulla terra scura.
Poi finì: ciò che temi, essere
un’anima e non poter
parlare, finì a un tratto, la terra rigida
un poco curvandosi. E quel che mi parve
uccelli sfreccianti in cespugli bassi.
Tu che non ricordi
passaggio dall’altro mondo
ti dico che seppi parlare di nuovo: tutto ciò
che ritorna dall’oblio ritorna
per trovare una voce:
dal centro della mia vita venne
una grande fontana, ombre blu
profondo su acqua di mare azzurra.
(Traduzione di Massimo Bacigalupo) Continua a leggere