Isacco Turina, “Non come luce”

Isacco Turina

Dimmi il fiore che porti nello stomaco
che porti nella mente.
Fiore scuro di paura
fiore giallo dello sforzo
fiore bianco dell’attesa.
Dimmi l’insetto che ti ronza intorno
la cicala che stride nell’orecchio
la sapienza del ragno che ti abita.
La forma che tu vedi è una follia:
sotto la giusta ombra intimamente
si muovono i giardini inconsapevoli.

*

Da una bocca qualunque ascolteremo
la frase che ci annienta per bellezza
o crudeltà e porteremo sempre
in noi come una vecchia sentenza
che rilascia nel tempo la condanna.
Cibarsi d’ombre fino a quando
sia luce tutto intorno
è ancora il congedo più bello.

*

Dopo tutto

Verdi catastrofi lontane,
vi guardiamo da dietro l’orizzonte.
Quando il dente è penetrato
siamo passati su un ponte sottile.
Barche infinite attendono
per navigare la penombra.
Con un colpo di remo gli equipaggi
si staccano da riva.
Nella cisterna ovale del tempo
rimbombano le gocce, rare
come parole berbere.
E del tempo più nulla sappiamo.

Nel presente

1. Censimento

La storia è un’acqua ogni anno più sporca.
Dei molti che morirono stanotte
rimangono le immagini scattate
in un giorno qualunque.
Riassumi la tua vita in poche frasi.

«Ho preso ordini da un libro sacro.
Ora li prendo dalla mia automobile.
Quando ne ho voglia pago un’altra donna
per farmi sculacciare e insultare.
Non ho tempo di capire».

«Quando gli organi impazziscono
un uomo mi accompagna in ospedale,
mi descrive la luna nelle attese.
Splendida vita, dondolavi
dai rami e sapevi di bucato.
La mano di un estraneo ti ha raccolta».

Isacco Turina, “I destini minori”

Isacco Turina

Sentirti passare nel buio
come un seme nel frutto. Prevedere
il momento in cui mancheremo, il dopo
delle piazze crollati i campanili
superbi. Ti trovo nel buio:
da una palude immensa come un occhio
emerge la pupilla che mi sfiora. Dobbiamo
amare in silenzio la terra che ama
i morti come un marmo le sue vene.

*

Mi chiedi un figlio. Ovvero: come un dono
di carta colmo d’acqua, l’animale
che non posa sui rami e non sprofonda,
lama che divide le spighe
dai gambi, e il portatore sottopelle
di radici che ignora. La creatura
che stancherà i tuoi muscoli
fino a conoscerne ciascuno
e a tramandarti viva, ma staccato
il tuo viso da te come un affresco
mentre tu diventi muro. Mi chiedi
un figlio, dici, perché questo imbuto
che sentiamo d’essere, soffocato
di sabbia bagnata e muto benché
nutrito di tutte le parole
e d’altro ancora, restituisca infine
un granello alla terra, a tutti i libri
almeno una sillaba.

Isacco Turina, due poesie da I destini minori (Il ponte del sale, 2017)

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