COMMENTO
di Gisella Blanco
Ivan Jakovyč Franko è considerato uno dei classici della letteratura ucraina, secondo soltanto a Taras Hryhorovyč Ševčenko.
Intellettuale democratico di ampia erudizione e competenze multidisciplinari, Franko era convinto che “La parola poetica, pronunciata in un momento felice di una certa situazione, è come una moneta d’oro, non perde il suo valore dopo un anno, né dopo cent’anni ”.
La sua vasta opera poetica, da lui stesso definita “dramma lirico”, trasfigura l’esperienza personale in riflessioni dall’ampio respiro umanistico e politico.
“L’eterno rivoluzionario” diventa il simbolo di un corpo civico teso ai valori di libertà e giustizia, appartenenti a ogni epoca storica.
I temi filosofici incontrano le speculazioni sulla religione, sull’amore, sulla bellezza, sulla dicotomia insuperabile tra bene e male.
Il suo interesse per la sociologia, il folklore, l’etnografia e la linguistica consentono una profonda indagine lirica della voce del popolo.
L’umanità, con le sue infinite declinazioni, viene simboleggiata da animali che ne interpretano caratteri, abitudini e modalità relazionali, mettendo “a nudo ogni individuo”.
I testi qui riportati, tratti da varie raccolte di Franko , pur non potendo riassumere la sua intera poetica, rappresentano uno scorcio di quell’etica della parola che sopravvive alla barbarie della storia.
Не винен я тому, що сумно співаю,
Брати мої!
Що слово до слова нескладно складаю —
Простіть мені!
Не радість їх родить, не втіха їх плодить,
Не гра пуста,
А в хвилях недолі, задуми тяжкої
Самі уста
Їх шепчуть, безсонний робітник заклятий
Склада їх — сум;
Моя-бо й народна неволя — то мати
Тих скорбних дум.
9 мая 1880
Non è colpa mia se canto tristemente,
Fratelli miei!
Se compongo parola dopo parola con incuria –
Perdonatemi!
Non la gioia le crea, non il sollievo le genera,
Non un gioco vuoto,
Ma nei momenti di sventura, di grave meditazione
Le labbra stesse
Le sussurrano, un maledetto lavoratore insonne
Le compone – lo sconforto,
E la mia schiavitù popolare – la madre
Di quei pensieri afflitti.
9 maggio 1880 Continua a leggere