Alberto Russo Previtali, “L’al di là del senso”

PREMESSA

Il volume raccoglie una serie di studi scritti e pubblicati nell’arco di un quindicennio, in tempi e luoghi diversi, ma accomunati da un unico intento: scrivere saggi di critica psicoanalitica attraverso l’apertura e il confronto con il registro lacaniano del reale. È un progetto di ricerca nato nel periodo della mia formazione universitaria, a contatto diretto con alcuni maestri della critica psicoanalitica (come Giovanni Bottiroli, Massimo Recalcati, Stefano Agosti, Michèle Aquien) e poi perseguito nel decennio successivo.

L’autore su cui questo progetto è stato portato avanti in modo più approfondito è certamente Andrea Zanzotto. Il saggio Zanzotto/Lacan. L’impossibile e il dire rappresenta l’approdo più coerente e organico del mio tentativo di seguire questa prospettiva interpretativa . Ma in concomitanza e in relazione con questa indagine centrale, ho continuato a sviluppare il progetto di una critica psicoanalitica attenta al reale con studi su opere di altri autori, appartenenti alla letteratura italiana o francese del Novecento (fanno eccezione Cuore di tenebra di Joseph Conrad e Les Complaintes di Jules Laforgue, pubblicate nel 1885).

Queste esplorazioni, pur nella loro singolarità e varietà, sono venute a comporre nel corso degli anni un insieme che, oggi, nelle sue articolazioni, si presenta come un tentativo di penetrare nel rapporto inesauribile tra la letteratura e il reale. È dunque una costellazione di dieci saggi critici (in cui ancora brillano due astri zanzottiani) che è proposta unitariamente nel presente volume sotto il titolo Esplorazioni e incontri.

Ogni saggio è un’esplorazione testuale che mira a un incontro con il reale come impossibile a dire, come muro, buco, spigolo duro di verità su un aspetto essenziale e inaggirabile della realtà umana: desiderio, amore, morte, linguaggio, generazione, memoria, oblio, eredità, potenza, ideale, utopia etc. Ogni esplorazione si vuole singolare e alla ricerca dell’incontro con l’unicità dell’opera, mentre comuni sono le prospettive teoriche e gli strumenti concettuali della psicoanalisi che permettono di mettersi sul cammino del reale (di concepire la sua inconcepibilità, di parlare della sua impossibilità di essere detto interamente). Queste prospettive e questi concetti sono presentati nella prima parte del volume, insieme ai fondamenti e ai problemi teorici a cui sono legati.

Il titolo Linee di osservazione vuole mettere in evidenza la portata teorica di questi primi capitoli (attraverso il greco theōrêin: osservare, contemplare), mostrando però al tempo stesso la consapevolezza che essi non propongono una teoria articolata sul problema “letteratura e reale”, di cui i saggi della seconda parte sarebbero l’applicazione e la dimostrazione in sede di analisi. Non sarebbe onesto presentare il volume sotto il binomio scientifico “teoria e analisi”, per diversi motivi. Innanzitutto, occorre menzionare la limitatezza concettuale di questi primi capitoli, redatti a posteriori con la finalità primaria di illustrare gli strumenti e le coordinate teoriche che hanno permesso l’elaborazione e la scrittura dei saggi sulle opere.

La prima parte non può dunque essere considerata una teoria sul rapporto tra la letteratura e il reale, poiché, per essere tale, essa avrebbe dovuto accogliere lo sviluppo di molti altri problemi e aspetti essenziali che qui non vengono affrontati.

L’affinamento e l’allargamento dei legami potenziali di induzione e dimostrazione tra saggi critici sulle opere e saggi teorici, che avrebbero potuto condurre a una trattazione teorica estesa, non sono stati perseguiti per diverse ragioni. Tra queste, vi è anche, certamente, una risposta metodologica che riguarda la specificità stessa dell’oggetto di studio: il reale considerato nell’ambito della letteratura sembra in effetti sfuggire alla possibilità di una trattazione teorica portata a un sufficiente grado di formalizzazione. Come si dirà più approfonditamente nella prima sezione, si tratta di un’incompatibilità che riguarda in primo luogo la linguistica e la semiotica (e in parte anche l’estetica), e che, nel caso dei saggi qui raccolti, ha determinato, come effetto di struttura, una scrittura impegnata ad esporsi in massimo grado al reale delle opere a partire dalle teorie esistenti (si fa riferimento, nello specifico, alle teorie dei maestri citati, alle quali si aggiungono quelle di classici come Barthes, Starobinski, Kristeva, Meschonnic, Lavagetto). Queste teorie sono assunte come basi e come riserve concettuali della scrittura critica, come strumenti raffinati per portare quest’ultima alla produzione di un sapere a partire dal reale, in una dinamica che obbliga però le teorie stesse a confrontarsi con la dimensione affettiva, con i vuoti e con il non-senso che attraversano il linguaggio e il soggetto come essere parlante.

Queste argomentazioni richiamano ancora una volta, da una diversa angolatura, la formula di Barthes e Starobinski secondo la quale “il critico è uno scrittore” . Nella prospettiva di una critica orientata dal reale, il critico è uno scrittore perché è chiamato a percorrere e ricostruire le strutture del testo per incontrarvi dei nuclei di resistenza non verbalizzabili, di fronte ai quali la sua parola non può porsi su un grado di padronanza e formalizzazione diverso rispetto a quello della parola dello scrittore o del poeta (o di chiunque altro). Il critico è allora chiamato, pur restando nel proprio genere di scrittura e all’ascolto della risonanza strutturale e stilistica dell’opera, a esporre a sua volta la sua parola sul vuoto e sul non-senso.

Occorre però ricordare la ragione profonda che fa del critico uno scrittore: egli è scrittore in quanto lettore al più alto grado. Il critico è colui che prova a portare l’atto della lettura al suo punto più alto in termini di conoscenza ed esaustività, e ciò sia dal punto di vista della struttura che da quello soggettivo della capacità interpretativa e dello stile personale. In questo senso, il critico è colui che vuole onorare, attraverso la produzione di un sapere testuale, l’opera che lo ha attratto, sconvolto, interrogato, impegnato, appassionato. L’opera che ha amato. E questa lettura, che costruisce relazioni, che intesse osservazioni e dettagli convergenti, che fa esistere ed espandere le possibilità di senso del testo, non può che diventare scrittura complessa, su cui grava al tempo stesso il peso del rigore e dell’inesprimibile. Questo sapere testuale, che si vuole il più possibile trasmissibile e formalizzato dal punto di vista concettuale, non può, in una critica che prenda sul serio il reale, essere separato dall’individualità del critico. È il reale del testo che rende possibile la nota osservazione di Proust: «ogni lettore, quando legge, è soltanto il lettore di se stesso» (chaque lecteur est, quand il lit, le propre lecteur de soi-même) . Come fa notare Philippe Forest, ciò significa che anche «il lettore può avere accesso all’esperienza del reale», poiché la vera letteratura giunge «all’universale senza rinunciare mai al particolare» . Ma non può essere altrimenti: il lettore incontra questo universale posto sotto il nome del reale sempre nella propria singolarità. La lettura dell’opera portata al grado di scrittura e indirizzata a un altro lettore, interlocutore vivente, vicino o lontano, è dunque sempre un’interrogazione sulla propria identità, un confronto con il proprio reale attraverso la risposta alla voce pulsante del testo, al dialogo con la parola dell’autore sublimatosi nelle trame dei significanti.

Ogni lettura analitica di un’opera è dunque anche la testimonianza mediata e trasfigurata discorsivamente di un periodo della storia personale del critico, ovvero di un individuo alle prese con le vicissitudini del proprio desiderio e del proprio confronto con la morte; un periodo trascorso in un luogo e penetrato dal libro di quei giorni, libro che sdoppia la vita, la riflette e la espande, la intensifica nella comprensione affettiva, rendendola più viva e più degna.

Alberto Russo Previtali, Letteratura e reale lacaniano. La critica psicoanalitica e l’al di là del senso, Mucchi, Modena, 2023.

Alberto Russo Previtali

DAL RISVOLTO DI COPERTINA 

Come nel capolavoro di Montesquieu che in qualche misura inaugura l’età dell’Illuminismo, la critica è una “lettera persiana”, un messaggio che viene da un altrove rispetto alla pratica della letteratura e alla rete delle convenzioni sociali del presente, illuminando entrambe grazie a un felice straniamento. Il compito della critica, arte tutt’altro che inutile in un tempo complesso come questo, non deve necessariamente esser quello di aggiungere complessità a complessità, bensì di spezzare, come voleva Kafka, la crosta del mare ghiacciato dentro di noi: renderlo nuovamente liquido, mobile, vitale. E rovinare le sacre verità, come insegnò tra gli altri proprio Montesquieu, può essere anche una faccenda divertente.
è una scienza di salvataggio, in primo luogo salvataggio della letteratura stessa, oppressa dai troppi libri e dal nessun senso di molti di essi. Per far questo occorrono nuovi occhi, nuove scritture, nuovi ardimenti.
Come dire, la critica letteraria nella sua forma meno paludata e accademica, meno rispettosa dei canoni e delle tradizioni consolidate, più innovativa e in sintonia con il presente. Di facile lettura e aperta a nuove contaminazioni e tangenze con la sociologia, l’arte, la filosofia, la storia…
La nostra tradizionale passione per la critica letteraria, arricchita di interpretazioni e nuove visioni.
Il pensiero di Jacques Lacan ha contribuito in modo determinante allo sviluppo della critica letteraria psicoanalitica nel Novecento e all’inizio del nuovo millennio. Continua a leggere

Philippe Jaccottet, “Quegli ultimi rumori…”

Philippe Jaccottet

NOTA DI LETTURA DI LUIGIA SORRENTINO

Questo libro di Philippe Jaccottet pubblicato nel 2008 con Gallimard, esce  nel 2021 con Crocetti Editore a cura di Ida Merello e Albino Crovetto.

Un’opera eterogenea, nella quale visioni della natura, ricordi e sogni si accompagnano a citazioni di altri scrittori e poeti a lui vicini, che creano quello che potrebbe essere definito un mosaico testuale all’interno del quale diversi generi letterari si uniscono amalgamati dalla visione del poeta e lo rendono riconoscibile da un altro punto di vista.

L’attaccamento a sé aumenta l’opacità della vita. Un momento di vero oblio e tutti gli schermi, uno dietro l’altro, diventano trasparenti, di modo che noi vediamo la chiarezza fin nel profondo, tanto lontano quanto consente la vista; e insieme più nulla pesa. Così l’anima è davvero trasformata in uccello”.

Queste parole scritte da Jaccottet nel 1954 possono essere interpretate come il desiderio di superare l’ io poetico per eliminare la distanza da letture che portano oltre: Giacomo Leopardi, Peter Handke, Kafka, le poesie ritrovate di Ingeborg Bachmann, quelle del poeta polacco Premio Nobel per la letteratura Zbigniew Herbert e altri.

Le parole degli scrittori e i versi dei poeti citati che entrano nel mondo del poeta svizzero, rivelano a Jaccottet “l’istinto che permette alle cose di lasciarsi trasportare dolcemente nell’aria, verso l’alto”, per raggiungere la pienezza  in cui ogni confine è annullato.

Leggendo questo libro si entra in uno spazio fisico senza limite,  nel quale i vari materiali testuali interiorizzati delineano il ritratto culturale e emotivo del poeta Philippe Jaccottet.

Continua a leggere

La parola, il valore della testimonianza

Perché scrivere? Quale impulso muove da secoli l’uomo a narrare storie? È l’interrogativo da cui parte la riflessione di Franco Rella, facendo appello al bagaglio di letture accumulate nel corso della propria vita e interpellando gli autori che più lo hanno segnato. Da Dante a Cavalcanti, da Shakespeare a Benjamin, e poi Goethe, Kafka, Bataille, Roth, senza dimenticare i classici greci e latini, non esiste narratore che non si sia posto l’interrogativo e che non abbia cercato di spiegare – e spiegare a sé stesso – la realtà che ci circonda. L’esigenza di raccontare nasce proprio da quella realtà, e chi scrive può manipolarla, far interpretare la parte del protagonista a un personaggio di finzione, per poi rendersi conto che la protagonista assoluta della narrazione è la parola stessa, unica difesa che l’uomo abbia contro il male, unica arma capace di organizzare l’immagine del mondo e della realtà, come in un ideale inventario che raccolga tutte le esperienze vissute. Quella stessa parola che Pasolini suggeriva di usare con cautela, che per il solo fatto di portare con sé «un carico d’anima» legittima l’altrimenti insensata attività di scrivere.

Continua a leggere

«L’ho letto su un foglio di un giornale. Scusatemi tutti.»

Mario Benedetti, poeta italiano foto di proprietà dell’autore

Giornale di un infante saggio (e insolente)

di Alessandro Anil

 

Il primo libro che lessi di Mario Benedetti, Pitture nere su carta, lo trovai in una piccola libreria vicino alla piazza del Collegio Romano. Avevo vent’anni, il libraio provvidenzialmente, saputo il mio interesse, indicò il libro. Negli Appunti su Kafka di Adorno, Celan sottolineava: «invece di guarire la nevrosi, Kafka cerca in essa la forza terapeutica, cioè la forza della conoscenza: le ferite che la società imprime a fuoco nel singolo sono da questi lette come cifre della non-verità sociale, come negazione della verità». Penso che questa definizione di Adorno sia appropriata anche per la poesia di Benedetti. Cambierei leggermente il finale. Da una parte trovo nella poesia di Benedetti una realtà allontanata, percepita in difetto, in una mancanza spaesante, con un senso di perdita e sdoppiamento «Ho freddo ma come se non fossi io.», ma dall’altra non riesco a non vedere in questo percorso poetico un tentativo, quasi ipertrofico, di cambiare la non-verità in una verità, anche se minima, anche se difesa con l’aggressività di un infante spietato, in una forzata auto-istanza, come per dimostrare che per ritagliarsi un piccolo spazio di autenticità bisogna indossare i panni del «Idiot boy» di Wordsworth, o molto diversamente quella di alcuni personaggi di Dostoevskij, che sporadicamente appaiono cifrati nelle pagine di Umana gloria.

Se c’è un filo che lega in comunanza sia Celan che Benedetti a Kafka è quella ferita che viene impressa a fuoco nel singolo e in questo la poesia di Benedetti, come ha scritto Roberto Galaverni qualche giorno fa, cade a capofitto sulla priorità della persona Mario. È infatti la sua esistenza letteraria ad essere un’occasione diffusa per comprendere la ferita che trova un segno visibile, diventa materia che dona conoscenza, per noi che ci troviamo dall’altra parte del testo ed è in questa posizione etica, nella autogenesi della sua opera che si può comprendere un legame storico e politico nel senso più ampio. Ma il valore più grande della poetica di Benedetti, più che storico, più che politico, resta spaziale, nel senso che apre un altro spazio, non solo quello dello sguardo, compito più del filosofo direbbe Nancy, ma eseguendo, mi viene da dire, un compito per eccellenza poetico, quello di portarci anche per mano. Così, a fronte della nostra vita troviamo il testo di Benedetti, a fronte del testo di Benedetti c’è la vita di Mario, dentro cui iniziamo ad addentrarci. È un’esperienza che immediatamente ci porta in uno altro spazio, in un’altra atmosfera, chiara, precisa, diversa, fatta di slavine, di campagne, di desolazioni come diffusamente mostrato, ma anche di una sacralità ritrovata attraverso la ripetizione di piccoli gesti nel quotidiano. Così, appaiono quelle piccole forzature grammaticali, quei anacoluti, quelle ripetizioni che si avvalgono di cortocircuiti tra causa-effetto, quegli scarti minimi eseguiti con maestria su un linguaggio prevalentemente ordinario ad aprire l’altro spazio: «Si sta dentro con la paura che il corpo è strano che non faccia male».

Continua a leggere

Alberto Bertoni, ZANDRI (Ceneri)

Alberto Bertoni a Poesia Festival / photo© Serena Campanini

Per la prima volta Alberto Bertoni in quest’opera (Book Editore, 2018) sperimenta in poesia interamente la lingua dialettale modenese. Un’opera raffinata, uscita nella collana  diretta da Nina Nasilli. Il poeta si concede per la prima volta e  in modo naturale alla lingua madre della sua terra d’origine. La postilla è di Fabio Marri.

Continua a leggere

Hasan Ali Toptaş , “il Franz Kafka turco”

hasanPer la prima volta in traduzione italiana il più importante scrittore turco insieme a Orhan Pamuk (Premio Nobel per la Letteratura nel 2006), Hasan Ali Toptaş, Impronte (Traduzione di Giulia Ansaldo) DelVecchioEditore 2015 (euro 17)

In libreria dal 19 novembre 2015

SINOSSI

Trent’anni dopo aver terminato il servizio militare, Ziya decide di fuggire la confusione e l’angoscia di una delle grandi città tentacolari della Turchia per cercare una vita più serena in un piccolo villaggio paradisiaco che il suo vecchio commilitone, Kenan, gli ha descritto con nostalgia e incanto nei giorni difficili della leva. Continua a leggere

Colloquio con Felice Casucci

felice_casuccidi Antonietta Gnerre
Incontro Felice Casucci a Telese Terme, Benevento, nella sede della Fondazione “Gerardino Romano”. Mi accoglie nel suo studio pieno di libri che spaziano da Platone a sant’Agostino, da John Donne a William Shakespeare. Nel suo studio i libri sbucano ovunque, ce ne sono tanti, manuali, libri di ricerca e saggistica. I romanzi e i libri di poesie che sta leggendo sono adagiati, invece, sul suo scrittoio come se fossero dei tesori. Ne prendo qualcuno tra le mani e mi colpisce immediatamente il rosso delle sottolineature. Il suo studio è anche ricco di ricordi, di dettagli che compaiono dalle numerose foto. Iniziamo a chiacchierare dei suoi e dei miei progetti, dei suoi interessanti corsi all’Università del Sannio. Continua a leggere

Alfred Kubin "L’altra parte"

foto
Un romanzo fantastico  
Traduzione di Lia Secci
Biblioteca Adelphi
1965, 6ª ediz., pp. 295
La casa editrice Adelphi, nasce nel 1962. Il primo titolo della collana Biblioteca Adelphi, fondata nel 1965, è di Alfred Kubin  “L’altra parte”.
RISVOLTO
Nel 1908, appena trentunenne e disegnatore già noto e apprezzato, Kubin è profondamente scosso dalla morte del padre, che lo coglie in uno stato di tormentosa sterilità succeduto a lunghi periodi di crisi psichica. Per liberarsi dalle visioni che lo perseguitano e a cui, in quelle condizioni di paralisi creativa, non sa dare espressione grafica, egli decide di mettersi a scrivere e, nel giro di dodici settimane, butta giù un romanzo: L’altra parte. Nelle otto settimane che seguono egli riesce ad aggiungere al libro (che sarà pubblicato l’anno successivo e che attirerà l’attenzione dei più sensibili tra i suoi contemporanei) una cinquantina di disegni. Continua a leggere

Una lettera autografa di Kafka riappare dopo 95 anni

Una lettera autografa di Franz Kafka (1883-1925), in cui rivelava all’amico Max Brod il suo terrore per i topi, è stata acquistata dal Deutsches Literaturarchiv, l’Archivo tedesco di letteratura che ha sede a Marbach am Neckar, per 96 mila euro ad un’asta della casa Kaupp. La lettera fu scritta nel dicembre 1917, mentre l’autore praghese si trovava nella fattoria della sorella Ottla per curarsi dalla tubercolosi, in Boemia.

Il contenuto della lettera era già noto agli studiosi ma non si sapeva dove si trovasse l’originale, che ora è saltato fuori con l’asta dopo 95 anni. Sembra che la lettera abbia cambiato almeno tre proprietari negli ultimi trent’anni. Il Deutsches Literaturarchiv metterà in mostra l’autografo appena acquistato con altre carte di Kakfa nella prossima primavera. Nella lettera Kafka racconta di vivere nel terrore a causa dei topi presenti nella sua stanza, di essere paralizzato da questa idea, tanto da pensare a trappole ma anche ad un gatto. Ma alla fine pensa che forse sarebbe meglio ricorrere alle cure di uno psicanalista per guarire da quella fobia. Continua a leggere

Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”

Altre scritture: Haruki Murakami
a cura di Luigia Sorrentino
—-

A proposito di Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami

di Nicola D’Ugo

Kafka sulla spiaggia è il decimo romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami. È stato pubblicato la prima volta in Giappone nel 2002. Il romanzo ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il World Fantasy Award. La storia è ambientata in Giappone. Se si volesse attribuirle una datazione, essa coinciderebbe, rispetto agli eventi principali, al maggio-giugno 1999, non fosse che il confronto delle età dei personaggi e delle date degli eventi risulta, comunque le si prenda, inconsistente. Questo serve a conferire un carattere onirico e mitico alla vicenda quale proiezione immaginifica e involontaria del suo protagonista. Continua a leggere

Sergio Garufi, “Il nome giusto”

Nello scaffale: Sergio Garufi ‘Il nome giusto’
a cura di Luigia Sorrentino

E’ in libreria il primo romanzo di Sergio Garufi, Il nome giusto, Ponte alle Grazie (€ 16.00) .
L’autore, predestinato alla letteratura, deve molto a un grandissimo scrittore, Jorge Louis Borges, con il quale ebbe diversi incontri, il più importante nel 1984, due anni prima della scomparsa di Borges, un incontro che avrà un ruolo fondamentale anche nel romanzo Il nome giusto.  


Sergio Garufi, ‘Il mio ricordo di Borges’
“La prima volta che ne sentii parlare fu l’ottobre del 1982. Mi ricordo precisamente il periodo perché era pochi giorni prima dell’assegnazione del Nobel per la letteratura, e io lessi sulla terza pagina del Corriere della Sera – che mio padre portava a casa ogni sera dopo aver finito di lavorare – delle brevi dichiarazioni di scrittori famosi italiani che rispondevano alla domanda: ‘chi lo meriterebbe quest’anno?’. Continua a leggere

Sarah Bynum, “Madeleine dorme”

Unanimemente promosso dalla critica americana, il romanzo “Madeleine dorme” di Sarah Bynum (Transeuropa Edizioni 2011) arriva finalmente anche in Italia. Un debutto, quello della casa editrice nella narrativa straniera, che al tempo stesso rappresenta anche una conferma: la qualità innanzi tutto.

“Madeleine is sleeping” venne pubblicato per la prima volta nel 2004 dall’editore statunitense Harcourt, fermamente convinto dell’assoluta originalità del testo ciò nonostante assolutamente inconsapevole di quello che di lì a poco sarebbe successo. E accadde che “The New Yorker” inserì l’autrice esordiente Sarah Shun-lien Bynum – americana di origini cinesi – nei 20 migliori scrittori di fiction under 40, inoltre accadde che autori tipo Jonathan Franzen, Michael Cunningham, Marilynne Robinson e ZZ Packer salutarono quell’esordio come uno dei più felici della letteratura americana degli ultimi vent’anni. Continua a leggere

Opere Inedite, Nicola Vitale

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi leggiamo la poesia di Nicola Vitale di cui mi sono già occupata in questo blog in una lunga intervista (vai qui) qui accanto ritratto in una ‘foto domestica’ con la sua cagnolina Dafne, una foto che mette in ombra il poeta, e in luce la cagnetta, accudita e amata.

Nicola mi scrive una nota sulla poesia e sul poeta che pubblico volentieri con sei poesie inedite tratte dal suo testo La natura ride. 
*
«Poesia è il Mondo / l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / d’un delirante fermento». Così Ungaretti dava la sua visione, che rimane forse la più concisa, espressiva e convincente di ciò che chiamiamo poesia. Quanto di più corrispondente alla visione che ne abbiamo oggi, in un clima di mitizzazione dell’arte con residui romantici, coscienti della sua inutilità e impotenza in un mondo tecnologico e scientista.
Kafka la descriveva (forse) come un rocchetto, Odradek, che persa la funzione reale rivela proprietà estranee e stranianti. Oggi tutto ciò che si costituisce come cosa “intera”, non parcellizzata dall’analisi, (filosoficamente potremmo dire: che ha a che fare con l’essere) si presenta come oggetto alieno: lo scarafaggio in cui lo stesso Kafka si trasforma per la colpa di non poter vivere nel divenire, nella storia, colpa, nel Processo, punita con la morte.

Continua a leggere

Ritorna “Autografo”, la rivista fondata da Maria Corti

La casa editrice Interlinea riprende la pubblicazione della rivista di letteratura di inediti e rari fondata da Maria Corti (nella foto) “Autografo“, promossa dal Centro Manoscritti di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, che propone numeri monografici sui maggiori autori del Novecento letterario italiano.
Continua a leggere