Nella giovinezza, se non addirittura nell’adolescenza, la contemplazione dell’amore e la contemplazione della morte sono veramente nel nostro sguardo. Ma direi di più. Sono il nostro sguardo.
Alfonso Gatto
LA VEGLIA
Piove su questa casa bianca, è sera.
Lo squallore murario, nei balconi
verdi, nei raspi delle sorbe, annera.
I pavesi del lutto sui portoni
si vestono d’argento con quel lume
di cielo che rimane in alto, fioco.
Una sera di calma tra le brume
dolci del golfo, svèntola sul fuoco
del braciere una donna a sé traendo
il bambino assonnato che le pesa
sull’altro braccio. In quel che vedo intendo
spiegata tenerezza, la distesa
del mare nel suo cerulo sconfina.
Io ti parlo così con questa calma
che non è mia, è sempre più vicina
l’ora di tutti, vedo sulla palma
del lungomare la stanchezza occidua
della luce, la raffica silente.
Di controvoglia questa mano insinua
la carezza obliosa. Non è niente,
credimi, quest’effigie, questo fumo
continuo, non è niente. Negli assorti
pensieri della veglia mi consumo
per avvenenza come tutti i morti.