NOTA DI LETTURA DI ALBERTO FRACCACRETA
La Vita nova è un libro inclassificabile. Ricco e strano, teologico e cortese, psicologico e scolastico. Vi si narrano le (sparute) vicende terrene tra Dante e Beatrice in quarantadue capitoli in prosa, inframmezzati da trentuno componimenti poetici (prosimetro). Il poeta incontra la donna amata per la prima volta a nove anni e nove mesi (lei nove anni e tre mesi: da notare l’abnorme simbologia numerica con valore cristologico). La rivede diciottenne: l’effetto è sempre da elettroshock, il sogno — nemmeno a dirlo — atroce (poi sceverato con rigore allegorico dal ‘primo’ degli amici, Guido Cavalcanti). Qui Dante azzarda una mossa fatale: guarda, ‘corteggia’ cioè, le altre, le donne dello ‘schermo’ — per non compromettere Beatrice o per attizzare una sua presunta gelosia? Fatto sta che lei non lo saluta più, non lo degna della sua salus, saluto e salvezza, saluto salvifico. È qui però che emerge lo scarto decisivo con lo Stilnovo: Dante non si arrende alla casistica della donna che, con la sua bellezza irraggiungibile, annienta le facoltà psicologiche dell’amante infelice. Nasce la poetica della loda, è il momento (solenne) di Tanto gentile e tanto onesta pare. È il consentaneo attimo di Vede perfettamente onne salute, in cui è detto: «La vista sua fa onne cosa umile». Chi posa gli occhi su questo autentico ‘miracolo’, Beatrice, diventa ‘buono’, si converte. È toccato dalla Grazia. Dante così non ama per essere riamato, ma ama d’amore. Un amore più grande, che tocca le corde del creato, dell’essere lei creata e segno vivo del creatore, del riscattare una salvezza priva di rapporto oggettuale, priva d’ogni commercio. Il cerchio si sfalda, il circolo s’interrompe. Trasformando la destinataria della poesia, Dante trasforma sé stesso, perché da lei — originariamente — trasformato. E va oltre, nonostante la di lei scomparsa. Ecco allora che non può dirsi della sua aura gloriosa nulla che abbia residui contingenti: ecco l’idea della Commedia, che scrosta ogni vestigio umano dalla lirica che pure effigia Beatrice, figura Christi, in un gioco, sempre più rischioso, di potenzialità espressive sul limite del dicibile, sempre alle soglie estreme del reale e della luce (come già s’intravede e s’intrude nella Vita nova). Continua a leggere