Paul Muldoon, “Nostra Signora di Ardboe”

Paul Muldoon, credits ph. Adrian Cook

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

In Nostra Signora di Ardboe avviene il procedimento per “associazioni mentali” tipico della poesia di Paul Muldoon (Luca Guerneri ha parlato di vera e propria «perdita del controllo»). I nessi simbolici sciorinati in questa lirica sono il cardo mariano (silybum marianum), l’iconografia relativa alla Madonna del Latte e il culto di essa (Virgo lactans, Galaktotrophousa) la cui origine è legata all’Egitto copto del VI secolo d.C., e infine le litanie lauretane. Un’antica tradizione vuole che, mentre la Sacra Famiglia era in fuga verso l’Egitto, Maria abbia allattato Gesù Bambino in una vegetazione di cardi e che alcune gocce di latte siano cadute sulla pianta, dando luogo alle striature bianche visibili sulle foglie. Il poeta, placidamente in cammino lungo un «campo di ginestre» e «cardi», scorge una giovane ragazza il cui aspetto regale e umile deve in qualche modo ricordargli le rappresentazioni iconiche della Madonna. Qui iniziano le concatenazioni visive e culturali, tanto più ardite quanto più il pensiero dell’io lirico — stringente e ossessivo — diviene un caleidoscopio di coincidenze, prefigurazioni. Anche la «figlia minore di un contadino» può essere figura Mariae: la semplicità della sua presenza nasconde una traccia forte e indicativa, «il nostro semplice desiderio che nella vita ci sia di più». Come se la bellezza del suo viso chiamasse colui che la contempla a un mistero inderogabile.

[Luigia Sorrentino legge ad alta voce, Nostra Signora di Ardboe. Traduzione italiana di Luca Guerneri, in Poesie, Mondadori, Milano 2008.
Accompagna la lettura  il “Salve Regina” del musicista e compositore Arvo Part].

Nel basso c’è l’alto, nel «roveto fatato» c’è anche la verità della «croce». L’hic et nunc è il segno di un’irriducibile realtà altra. Così come il viola intenso della corolla del cardo coincide con la veste della Vergine: ad esempio, la Madonna del Latte di Paolo di Giovanni Fei (Metropolitan di New York), allievo di Simone Martini e Lippo Memmi. Sullo sfondo del quadro campeggia l’«oro» tipico dell’arte senese che si sposa perfettamente con il «porpora» del mantello. Nella modulazione delle litanie lauretane («Madre del nostro Creatore, Madre del nostro Salvatore…»), riaccese dal ricordo dell’ambiente cattolico in cui è cresciuto, Muldoon prosegue la sua petrarchesca passeggiata in solitaria «con un braccio lungo quanto l’altro» (espressione idiomatica irlandese), cioè «a mani vuote», senza niente da dare. Continua a leggere

A “Notti d’autore” Matteo Basilè

Ospite di “Notti d’autore” in onda la notte tra mercoledì e giovedì del 28 febbraio 2013 alle 0:30 su Rai Radio1 è Matteo Basilè, uno dei più affermati artisti della sua generazione. Nato a Roma nel 1974, Matteo Basilè è figlio di una lunga dinastia di artisti, pittori, scultori incisori, i Cascella. Figlio di Tommaso e nipote di Pietro, famosi come tutti gli altri Cascella, Matteo Basilè, che prende il nome dal caposipite Basilio nato nell’Ottocento, si definisce semplicemente un fotografo. La sua opera, così densa di immagini, di storie e di situazioni, appartiene al corpo digitale del mondo. Con l’obiettivo della sua macchina fotografica Basilè entra nell’intimo di geografie umane, complesse ed eterogenee, utilizzando un linguaggio, che potremmo anche definire una tecnica, che è un misto, tra elettronica e manualità, sempre alla ricerca di nuove integrazioni culturali. La frase che ripete spesso? “Per me la cosa fondamentale è vivere d’arte senza toccare la materia.”

L’AUDIO CON L’INTERVISTA A MATTEO BASILÈ di Luigia Sorrentino

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Roberto Benigni “La più bella del mondo”

Appuntamento (da non perdere)
a cura di Luigia Sorrentino

Lunedì 17 dicembre 2012 Roberto Benigni sarà in diretta su Rai Uno, in prima serata, subito dopo il tg delle 20:00, per parlare a tutti gli italiani e le italiane de La più bella del mondo.
Sapete chi è La più bella del mondo?
La nostra Costituzione, la Costituzione Italiana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948. E allora, se non l’avete mai letta prima, vi prego, fatelo subito, è un libro straordinario. Benigni dice: “E’ il cielo degli uomini! – e poi spiega – E’ un libro scritto dagli uomini, (i nostri padri), che ci hanno indicato la strada.

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Fabrizio Gifuni, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”

Appuntamento

Domenica 11 novembre 2012, ore 11:00 al Cinema Nuovo Sacher, (Largo Ascianghi 1 – Roma), Fabrizio Gifuni legge QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA  di Carlo Emilio Gadda Interviene Andrea Cortellessa.

“Il lavoro più bello che abbia fatto da molti anni.”
Fabrizio Gifuni.

Ingresso libero fino esaurimento posti.

La vostra voce, Lettere dalla crisi 3.

La vostra voce, Lettere dalla crisi
a cura di Luigia Sorrentino

Prendere uno stipendio significa sentirti in diritto di calpestare il suolo su cui cammini; significa sentirti cittadino e non clandestino del mondo; significa non sentirti un mangiatore ad ufo al desco della tua compagna; significa poter fumare il tuo sigaro senza rimorsi; significa sentire il sapore della minestra meritata anziché di quella regalata; significa poter scrivere questa lettera senza l’angoscia che stai togliendo tempo al lavoro, e poterlo fare alla luce del giorno anziché di nascosto come un ladro. Significa far progetti anziché tirare a campare, e non passare ogni giorno con l’acqua alla gola perché domani finiscono i soldi; significa poter dare alla donna che ami la tranquillità che finora le hai negato e non aver paura che lei non ne possa più di te.

Invece no. Da quando ho iniziato a cercar lavoro, nel 2006, questa sicurezza non l’ho mai avuta. La psicologia del disoccupato somiglia a quella del fuggiasco: si ha sempre paura. Anche i rapporti umani vengono avvelenati dal fatto di essere rapporti economici, e quindi di forza. Continua a leggere

La vostra voce, lettera dalla crisi n. 1

Lettera dalla crisi
a cura di Luigia Sorrentino

Questa mail l’ho ricevuta il 13 maggio 2012. La fabbrica a cui si fa riferimento, presumo, si trovi al nord Italia.
E’ una lettera importante. Credo che a scriverla sia un uomo, forse anche una donna, in ogni caso è ‘una persona’ che preferisce mantenere l’anonimato. La persona che scrive – ha 50 anni – ha già affrontato cassa integrazione, crisi del sindacato, e totale assenza di difesa dei diritti dei lavoratori – diritti legittimi -all’interno della fabbrica nella quale lavora.
La foto qui inserita, è generica, è una foto d’archivio. Non rappresenta la condizione di lavoro di cui si parla nella lettera.
A voi nei commentiContinua a leggere

Addio alla Szymborska, la ‘Mozart’ della poesia

Addio a Wislawa
a cura di Luigia Sorrentino

Si è spenta Wislawa Szymborska, una voce unanimamente riconosciuta tra le più significative nel panorama della letteratura mondiale del secondo Novecento.

La notizia della sua morte ha cominciato a circolare su facebook e su altri social network, intorno alle 22:00 del 1 febbraio 2012,  per poi essere confermata dall’Istituto polacco di Roma e dall’agenzia Ansa alle 22:13:51.
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Con non poca commozione riperendo questa sua riflessione sulla poesia: “Il poeta oggi è spesso scettico e diffidente… malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta – quasi se ne vergognasse: nella nostra epoca chiassosa è molto più facile riconoscere i propri difetti, perché sono visibili. Molto più difficile riconoscere le qualità, finché esse sono tenute nascoste.”
Wislawa Szymborska 
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Per Andrea Zanzotto… lontan massa son ‘ndat pur stando qua …

Giovedì 17 novembre 2011, alle ore 17:30, inaugurazione della mostra PER ANDREA ZANZOTTO Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Sale espositive di Palazzo Loredan, Campo Santo Stefano, Venezia.

(dal 18 novembre al 17 dicembre 2011)

Ad un mese dalla scomparsa di Andrea Zanzotto, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti ricorda il grande poeta e socio onorario con la mostra del fotografo Graziano Arici “Per Andrea Zanzotto… lontan massa son ‘ndat pur stando qua …” Continua a leggere

Filippo Strumia, in libreria “Pozzanghere”

Appuntamento.

Mercoledi 11 maggio, al Centro Culturale Bibli di Roma (Via dei Fienaroli, 28) Elio Pecora e Mauro Bersani presentano il libro di poesie di Filippo Strumia “Pozzanghere” Einaudi 2011. Sarà presente l’autore.

Luigia Sorrentino il 7 febbraio 2011 ha incontrato e intervistato in anteprima editoriale, il poeta Filippo Strumia che ha tenuto per lunghi anni nascosto il suo amore per la poesia.

Per leggere il testo integrale dell’intervista vai qui.

Filippo Strumia: “Siamo tanti personaggi, stati d’animo, visioni del mondo, spesso inconciliabili e reciprocamente scandalosi. Siamo individui e moltitudini. ‘In ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente’ diceva Pessoa. La psicoanalisi mi ha aiutato a dare voce, dignità, possibilità espressiva ai diversi aspetti di me stesso. Comprese le corde mute, quelle che non hanno mai risuonato e attendono l’occasione per esprimersi. Il lavoro mi ha permesso di diventare una specie di politeista. Rumi, il poeta persiano, nell’introduzione alla sua opera racconta di una canna strappata. Il vento, soffiando nella canna, suscita una vibrazione che vola in cerca di un cuore. Ha bisogno, cioè, di una cassa armonica che la tramuti in musica, emozione: la nostalgia del canneto. La poesia, credo, agisce fra l’indicibile e il suono. Siamo zeppi di vibrazioni mute, pensieri non pensati, sentimenti non percepiti che attendono e premono, misconosciuti. Abbiamo gli occhi stipati di usignoli, che premono, sbattono contro le pareti, quasi a farle esplodere. La psicoanalisi e la poesia aiutano a percepire le nostre corde, anche le più recondite. Ma questo laboratorio emotivo, o forse alchemico, richiede anche la privatezza e il silenzio.”

(Per leggere il testo integrale dell’intervista  vai qui)

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Arianna Gasbarro, ‘Alice in gabbia’

Arianna Gasbarro, pubblica il suo romanzo d’esordio, ‘Alice in gabbia’  Miraggi Edizioni (euro 12,00). La vita di Alice è apparentemente perfetta: 28 anni, un lavoro a tempo indeterminato e un fidanzato che ama, ricambiata. Non le resta che cercare casa e fare dei figli, guadagnandosi il paradiso terrestre di una vita normale. Eppure di perfetto non c’è nulla. Il surreale sarcasmo di Alice fa scoprire al lettore situazioni che suo malgrado conosce fin troppo bene, nascoste dietro la maschera della normalità di un’ordinaria giornata in ufficio. Il badge che scandisce malignamente il tempo. La routine del ritmo aziendale che diventa ossessione. Le manie degli impiegati, a un passo dalla psicosi. La sindrome antisociale dell’open-space. Le figure clownesche dei capufficio, tronfi della loro incompetenza. I giorni che invece di allargarsi in un presente vivo si spengono con monotonia uno sull’altro. Le pause – caffè, sigaretta – sono le uniche boccate di sollievo. Finché Alice non scopre la pausa-papera! Osservando da dietro la recinzione dell’azienda i pennuti che vivono liberi nel loro stagno, ad Alice si rivela una nuova filosofia di vita, una possibilità di salvezza, di liberazione…

                                                                                                       Intervista di Luigia Sorrentino
                                                                                                       Roma, 22 gennaio 2011

Arianna, quanti anni hai?
“Ho appena compiuto trent’anni”.
Mi sembra di averti conosciuto ieri, e invece era l’anno 1996 se non sbaglio… Allora eri una liceale. Amavi moltissimo i classici greci e latini. Sorprendente per l’età che avevi. E poi, non a caso, un giorno, mi è arrivato il tuo primo libro, “Alice in gabbia” …
Come nasce questo lavoro?
Alice in Gabbia è nato circa un anno fa, in un momento molto particolare della mia vita: avevo appena deciso di lasciare il lavoro per dedicarmi finalmente alla scrittura. Mi ero resa conto che le due cose non potevano coesistere e ho deciso di provarci, semplicemente perché non potevo farne a meno, perché per me era troppo importante.
In realtà in quel momento stavo lavorando a un’altra storia, ma i pensieri di Alice premevano per uscire fuori, per dar voce a un aspetto della nostra società contemporanea che avevo avuto modo di vivere in prima persona nel corso degli ultimi anni. Sapevo che prima o poi quelle considerazioni e quella rabbia per un mondo del lavoro che per troppi aspetti a me non piaceva avrebbero iniziato a svanire, allora ho messo da parte l’altro progetto e in pochi mesi è nato questo libro.
Quando hai capito che da grande volevi diventare una scrittrice?
“Credo di averlo sempre saputo, sin da quando a sedici anni leggevo fino a notte fonda i classici latini, ma anche Calvino e Oscar Wilde. Però ho trovato il coraggio e la forza di farlo solo alla vigilia dei trent’anni, quando in un certo senso mi sono detta: o ora o mai più.”
Come vivi oggi? Lavori o ti dedichi 24 ore al giorno alla scrittura?
Da un anno a questa parte mi dedico interamente alla scrittura, sia come scrittrice che come traduttrice. Sono due attività che convivono bene insieme, tradurre romanzi dall’inglese all’italiano è una palestra linguistica che mi appassiona, anche se richiede molto tempo ed energia.”
Quanto c’è di te in Alice?
“Devo ammettere che il personaggio di Alice ha delle solide basi autobiografiche e che se non avessi vissuto in prima persona l’esperienza di un lavoro full-time a tempo indeterminato non avrei mai potuto spiegare le dinamiche psicologiche che si creano in quella sorta di gabbia di cristallo. L’esilarante ossessione per il badge, l’ansia per una quotidianità sempre uguale giorno dopo giorno per quarant’anni, il bisogno di evasione in un mondo immaginario popolato di demonietti, clown sanguinanti e papere che filosofeggiano.
La storia che racconti è molto interessante. In un’epoca in cui si parla molto dei problemi dei giovani legati all’occupazione, al lavoro che non c’è, arrivi tu e capovolgi il punto di vista: parli infatti di quelli che il lavoro ce l’hanno ma che non ce la fanno a tenerselo…
“Credo che la disoccupazione consenta di chiudere gli occhi su un altro grave problema legato al mondo del lavoro, di cui però nessuno parla.
Alice non riesce a tenersi il lavoro perché, a parte lo stipendio a fine mese, non ha nessun altro stimolo. Avrebbe una gran voglia di crescere, di continuare la propria formazione all’interno dell’azienda, ma per il suo capo lei non è altro che un moderno Charlot, inchiodato alla scrivania e pronto a svolgere le proprie mansioni, categoricamente di routine.
Ciò spalanca le porte all’enorme disagio di non trovare un senso per la propria quotidianità, ma anche all’inquietante consapevolezza che un contratto a tempo indeterminato con un’azienda privata è una sicurezza illusoria. L’azienda potrebbe fallire e Alice si ritroverebbe sul mercato del lavoro senza un’adeguata formazione, senza aggiornamenti, senza la possibilità di riciclarsi con dignità.
Il capovolgimento dunque è solo apparente. Il messaggio politico è che ai giovani bisognerebbe garantire un Paese che non sia precario, un Paese competitivo e desideroso di crescere, un mercato del lavoro fluido e vitale, non l’illusione di un contratto che in fin dei conti non garantisce affatto un futuro sicuro.”
Quand’è che il ritmo aziendale per coloro che lavorano a tempo indeterminato può diventare un’ossessione?
“È una questione molto personale, alcuni accettano quel ritmo di buon grado, mentre ad altri invece va stretto e difficilmente potranno liberarsi di un senso d’oppressione e ribellione latente.
Credo che uno dei fattori scatenanti sia l’utilizzo improprio del badge da parte dell’azienda, quando per un minuto di ritardo al lavoratore ne vengono addebitati dodici di punizione. Questa cosa genera un’ansia che cresce di giorno in giorno e va a sommarsi alla routine delle pause-sigaretta, pause-pranzo, pause-caffè che ogni giorno si ripetono con un ritmo sempre identico, fino a far pulsare la quotidianità di un battito che se per alcuni può essere in qualche maniera rassicurante, per altri sembra un tango strangolante che si protrarrà fino alla pensione.
È come immaginarsi di tornare a scuola, ogni giorno con la campanella alla stessa ora, l’ora di religione il sabato, i compiti il pomeriggio e l’interrogazione il giorno dopo. Per tutta la vita. Mai un diploma, una conclusione: la vita che scorre via in un ritmo estraneo dettato dall’alto.”
Attraverso il sarcasmo la tua protagonista svela profonde verità che mostrano l’altra faccia della medaglia, di cui mai nessuno parla, “il lavoro schiavo”, il lavoro che non rende liberi, bensì schiavi e che colpisce determinate fasce di lavoratori…
“Ho vissuto in prima persona questa realtà, quindi, come ti dicevo, certamente il libro parte dalla mia esperienza personale. Però è stato fondamentale vedere il modo in cui i miei colleghi reagivano agli stessi cappi che a me sembravano strangolanti.
La cosa più interessante è stato notare uno squilibrio totale tra la dedizione dei lavoratori, che effettivamente rinunciano alle proprie pause, al tempo per la propria vita privata e i propri figli senza poi di fatto ottenere alcun riconoscimento, e dall’altra parte l’atteggiamento strafottente di una classe dirigente che non solo spesso è incompetente, ma che pure pretende dai lavoratori sacrifici che i manager invece non hanno alcuna intenzione di fare.
Sembra un servilismo servo/padrone, sovrano/suddito. Un esempio lampante è quando un’azienda non concede ai dipendenti un giorno di chiusura in occasione di un ponte, ma poi tutti i manager se ne vanno in vacanza. È assurdo e alla lunga, secondo me, pericolosissimo.”
A un certo punto Alice però scopre la pausa-papera…che le cambia la vita… perché proprio la papera?
“La papera rappresenta la totale armonia con la propria natura. È uno di quegli animali che capita di osservare nei parchi e sui quali non ci si sofferma molto, se non per domandarsi che senso abbia la loro esistenza. La papera vive, galleggia, nuota, mangia il pane, si gode la propria semplice esistenza di papera.
L’uomo non riesce a vivere in quel modo, è a disagio con la propria natura primordiale quindi infarcisce la propria quotidianità di problemi e occupazioni totalmente superficiali, per poi lamentare di non avere il tempo per godersi la vita.
Ma proprio osservando le papere, Alice si rende conto a un certo punto che la sua quotidianità è totalmente priva di senso rispetto a quella di una sciocca papera galleggiante.”
In realtà il messaggio che viene fuori dal tuo romanzo è chiaro e inequivocabile. E’ un’esortazione rivolta a tutti gli esseri umani: “riprendetevi la vostra vita! Godetevi la vita, bene unico ed irripetibile”…
Va bene… ma come si vive senza lavoro?
“Il punto non è lasciare il lavoro e vivere senza, ma ritrovare un senso in quello che si fa. Alice non è un elogio dell’ozio, ma anzi quanto di più lontano ci possa essere dal concetto attuale di bamboccioni e simili. Il messaggio è quello di fermarsi un attimo, osservare i binari sui quali viaggiano le nostre vite, rendersi conto che spesso non sono stati costruiti da noi ma imposti dall’alto e a quel punto cercare un senso alla nostra quotidianità, che per noi, solo e unicamente per noi, abbia valore.
Poi si può tornare sui binari, purché si abbia una consapevolezza concreta e tangibile di ciò che si sta facendo.
Riprendersi la propria vita vuol dire anche solo lottare perché l’azienda non chiuda ogni anno ad agosto e i dipendenti possano scegliere di andare in vacanza dove e quando vogliono. Almeno quello, almeno la libertà di poter disporre del proprio tempo libero.”
Cosa pensi degli scrittori contemporanei? Li leggi, o non ti interessano?
“Generalmente preferisco leggere i classici, ammesso che titoli di trent’anni fa possano considerarsi tali. Leggo poco i contemporanei, in genere quelli consigliati da amici che hanno la mia stessa sensibilità letteraria.
Adoro andare in libreria a comprare i libri, non compro quasi mai su internet, però c’è così tanto chiasso negli scaffali di contemporanea che solitamente poi mi oriento su testi completamente diversi, ad esempio di cinema.”
I tuoi ‘mostri sacri’… i tuoi scrittori preferiti, chi sono ?
“Wilde, Calvino, Nabokov, Svevo, Henry Miller, Kureishi, Kundera. E senza dubbio Woody Allen, che considero un vero e proprio autore e del quale condivido lo sguardo sarcastico e catastrofista sul senso dell’esistenza dell’uomo.”
In quanto scrittrice, quali sono gli obiettivi che ti prefiggi?
“Per il momento solo continuare a scrivere, mettere su carta le visioni surreali che si affollano nella mia mente e dare voce al momento storico che stiamo vivendo, perché in futuro possano comprenderci (e perdonarci).”
A chi dedichi il tuo “Alice in gabbia”? Chi dovrebbe assolutamente leggerlo?
“Vorrei che lo leggessero i ragazzi all’ultimo anno di scuola perché potrebbe dargli il coraggio di puntare sui loro sogni, anche se si sentiranno dire che ‘è impossibile’.
Vorrei che lo leggessero i manager, dell’industria e dello stato, per ritrovare la dignità della propria posizione e guardare con occhi diversi, più attenti e preoccupati, gli individui demotivati alle loro dipendenze.
Io l’ho scritto per i miei genitori, perché potessero comprendere e accettare la scelta che ho fatto un anno fa e che, senza il supporto della filosofia della papera, non poteva sembrare che folle.”

Bioblibliografia
Arianna Gasbarro è nata a Roma nel 1980. Appassionata da sempre di letteratura, ha tentato di condurre un’esistenza normale, ma dopo tre anni di clausura in un ufficio ha deciso di stracciare il suo contratto a tempo indeterminato per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Attualmente vive tra le colline del Chianti, dove persevera nella sua attività di scribacchina sommersa da libri e dizionari.
Alice in gabbia è il suo primo romanzo (nonché la dimostrazione che tutto è possibile).

www.miraggiedizioni.it