Le fragili esistenze di Milo De Angelis

NOTA DI LETTURA DI MASSIMILIANO MANDORLO

Lì, sulla linea di confine “tra la gioia e il grumo più buio”, si muovono le creature notturne del nuovo libro di Milo De Angelis. Qualcosa di oscuro e segreto preme dietro l’apparente ritmo più disteso di questi testi, irrompe sulla scena congiungendo la biografia terrestre a un respiro cosmico, universale: “Tutto è come sempre / ma non è di questa terra e con il palmo della mano / pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono / sulle rotaie”.

Tornano i luoghi familiari alla poesia di De Angelis: la Milano notturna dei tram e dell’Idroscalo, dei bar e della periferia con “l’infilata dei grattacieli che sembrano / una barriera corallina” e poi gasometri abbandonati, parcheggi e piscine, aule liceali dove si consumano “gloriose avventure terrestri”.

C’è nel gesto atletico, pindarico, dell’atleta sui blocchi di partenza o del tuffatore pronto per il salto una forza che illumina quel segmento di tempo e lo proietta nelle profondità di un altro tempo: “dovevo tornare / per un oscuro richiamo dei luoghi, per questo / rettangolo azzurro e per i suoi cinquanta metri […] per il tuffo /che illumina laggiù la piattaforma e il doppio avvitamento”.

Così, come in una sequenza cinematografica, in Sala Venezia l’occhio del poeta inquadra i passi al rallentatore di un uomo appena entrato in una sala da biliardo, si sofferma sui movimenti e sulle parole pronunciate, sul tavolo da gioco su cui va in scena l’attimo decisivo di una vita intera: “sorridi e ti acquieta il panno verde / come un prato dell’infanzia, ti acquietano i bordi / di legno che ora contengono il tuo evento / e la forza centripeta conduce l’universo / in un solo punto illuminato”. Il poeta se ne sta lì, come un mendicante o un eremita, a raccogliere “gli emblemi dell’inizio e della fine” come frammenti dispersi, linee intere o spezzate delle fragili esistenze che abitano il mondo.

Sono le linee di forza, continue o interrotte, che compongono il Libro dei mutamenti cinese, qui immagine e simbolo delle numerose vite che si agitano sospese “nel brivido del tempo”, ai bordi della vertigine.

È in questa spaccatura che abita la poesia di De Angelis, tra le ripetizioni e i continui andare a capo che frantumano il respiro del verso e lo tendono fino a un punto finale, assoluto: “e ora io mi fermo in un luogo / qualsiasi e lo riempio di purissima benzina, / la benzina che amavo da bambino ai distributori / della A7, e chiudo in ventidue metri quadrati / il mio episodio”.

Aurora con rasoio è il titolo dell’ultima, intensa sezione del libro in cui il poeta, navigando controcorrente, affronta un tema così controverso e innominabile come quello del suicidio.

Lontana da ogni passione o interesse sociale, la poesia di De Angelis compie uno scavo nelle profondità abissali dell’esistenza, anche a costo di compiere un’ulteriore tappa di questo viaggio al termine della notte.

Quando “la luna non concorda” più con il “battito terrestre” non c’è più nessun commento o parola possibile, ma un grande silenzio scende sulle vicende terrestri di chi ha già visto troppo “della vita e dei suoi sotterranei”. Continua a leggere