una stella si è spenta
confermando
incomputabili
distanze da altre luci
ne resta appena un’ombra
nel cristallo
dei pensieri
ne nasceranno ancora
minuscole
nel nulla
un mutuo disgregarsi
su uno sfondo
senza corpo
eppure ancora oggi
sollevo gli occhi
al cielo
chissà se la sua grazia
nel vuoto senza nome
riserva qualche
gioia
la sento
sorrido
sugli sguardi degli amanti
incrociano l’asfalto
rigato da una pioggia
senza fine
li osservo da lontano
con un certo turbamento
violando quell’intesa
intorno le falene
stramazzano
di luce
dal suolo
si solleva
non so che tenerezza
e nostalgia
*
L’ombra della mano
definita nel contatto
tra il nero e la sorgente
si scompone l’individuo
è la mia percezione
del calore sulla pelle
l’impulso sempre identico
la sua corrispondenza
la sagoma familiare
confrontata ad altri corpi
la condizione assoluta
di un’esistenza disgiuntiva
la maestà indecifrabile
con cui si rivela
l’estraneità del mio corpo
ad ogni altra cosa
al mondo
*
il mosaico delle regole
consente la composizione
gli universi su larga scala
dal progetto di una vita
all’espansione accelerata
e poi quasi per caso
scontrarsi con l’eccezione
l’occasione sperimentale
che arresta la normazione
quel pulviscolo residuo
tra ricombinazioni
deve avere forme
non può restare magma
la nostra percezione
compulsiva verso l’ordine
e dove non può esserci
fantastico
lo crea
Da “L’incoscienza del letargo” Oèdipus, 2018