Ricordo di Biancamaria Frabotta
di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Cara Luigia,
Ti pensavo appunto per dire che proprio nella magica Parrano [ndr dove si sono radunati alcuni poeti italiani che hanno partecipato alla manifestazione “Lingue mute| Poeti contro la guerra” a cura di Luigia Sorrentino con la collaborazione di Alessandro Anil e Fabrizio Fantoni] abbiamo parlato di Biancamaria Frabotta come di una convitata di pietra.
Io la conoscevo se non attraverso la sua poesia. Di persona la vidi a colazione in un bed and breakfast invitati da Poesia Festival nelle terre modenesi. Alta e ossuta quasi prosciugata di ogni orpello. Scambiai con lei rare parole. Io un poco intimidito.
Questa la poesia che scelgo è tratta da “Mani mortali”, Mondadori 2012
Entrando nel campo cercai
le roselline selvatiche nella rete
gli iris infestanti, i papaveri
i gelsomini bianchi e dopo,
i cavoli, i carciofi fra i narcisi,
sull’arancio ferito i grappoli
profumati della zagara.
in terra giaceva l’edera vizza
screziata di morte lumache
eppure, scriveva Bernardin
non tutto era stato ucciso
dalla terribile severità di quell’inverno.
Ancora, in stile fiorito, il suo giardino
godeva di tardive, ma robuste violette
promesse di fragole e primule, risalenti
filari e tracce di linfa nei peri.
In verità le viti cominciavano
appena ad aprire i germogli.
Ti confesso che forse per me il suo libro migliore è forse il tardo “Mani mortali” per quella natura spietatamente vista nel disincanto della vecchiaia. E anche il verso si fa nudo referto di una malattia. Feroce cartografia dei guasti del tempo sulla natura. Cronaca spietata di un inesorabile corrompersi dell’idillio nel riverbero che la natura produce nell’uomo. Una natura quasi già postuma a se stessa tutta frugata nei suoi interstizi e nelle sue pieghe. Eppure indomita si rigenera da se stessa invincibile. Continua a leggere