Al bastione del Miradore
è ancora cielo sul falso pepe,
parla un fermo d’aria
che smarca la notte da dentro.
Come in una nassa
a bocca aperta,
fra le maglie delle cose
mi anniento.
Con le parole tratto di una resa.
*
Vivo nel garrito del desiderio,
vento che raschia i caruggi.
La mancanza è un esercizio
per corpi in attrazione,
recalcitranti ma già vinti
al giogo del dissesto.
*
C’è un tracciato che non dirocca
e rimanda a questi portici di calata
smangiati dalla spuma, alle lampare
in ronda, al tocco scardinante.
Ci siamo amati anzitempo
per ridare un nome alle cose,
la gola alla sete, un’espressione
d’assoluto al gesto della mano
che ora s’incurva e rassicura
nel seme di un chiarore primitivo.
*
Restano le conchiglie
come altari ai caduti
di tutte le derive.
L’eco dei muti splende
e tace oltre il male
marchiandoci.
da Manufatti del dissesto, Minerva Edizioni, 2021