Mariella Mehr, “L’ultimo miglio di tempo”

Mariella Mehr – traduzione di Anna Ruchat – immagini di Teresa Iaria

 

 

 

Zugeschmerzt
meine letzte Meile Zeit,
sinnlos, ihr lesbare Vergebung
anzubieten.

Etwas wie Blut schmückt meine Hand,
als hätte ich gestern noch
in Fleisch gewühlt mit meinem
Verrat am wispernden Mond.

Die Trauer zwängt sich aus den Ketten,
forscht nach der Farbe, die ich nicht trage.

Nur die Füsse, eine untrügliche Spur,
hinterlassen sich angemessen im Schnee.
Er wird zum lasterhaften Rot beim Betreten,
unbegehbar für andere.

Abgesonnen ist jedes deiner Liebesworte,
unnütz geworden Geste und Blick.

Und doch, und doch
verspinnt mich bei
Niedrigwasser der Foenna
eine Fee zu Kummer,

als wäre da einer der hat,
was mir bisweilen nachts zu
sein gelingt.

Chiuso nel dolore
il mio ultimo miglio di tempo
non ha senso offrirgli una remissione
leggibile.

Qualcosa che somiglia al sangue ingioiella la mia mano
come se ancora ieri avessi
frugato nella carne col mio
tradimento alla luna sussurrante.

Il lutto si libera dalle catene
cerca il colore che io non porto.

Solo i piedi, una traccia inconfondibile,
lasciano la misura di sé nella neve.
Di un rosso vizioso diventa quando la calpesti
impercorribile per altri.

Di senso inverso è ognuna delle tue parole d’amore
il gesto, lo sguardo ormai inutili.

Eppure, eppure,
una fata,
nei giorni di secca della Foenna
mi porta dolore

come se ci fosse qualcuno che ha
quello che ogni tanto di notte
mi riesce di essere.

 

© Mariella Mehr e per le immagini Teresa Iaria

 

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Mariella Mehr, nata sghemba

Mariella Mehr / Credits ph Dino Ignani

Nichts,
kein Ort.
Es lärmt noch immer
Das Unheil im Kopf,
und auf der Himmelskarte
bin ich nicht vorhanden.

Niemals war Frühling
Flüstern die Aschenstimmen,
auf der Sprachwaage
sei ich ein Wort ohne Gewicht
und beschneide die Zeit
mit bewaffneten Augen.

Zukunft?
Sie spricht mich nicht los,
mich Schiefgeborene,
Komm, sag sie,
der Tod ist eine Wimper
am Lid des Lichts.

***

Niente,
nessun luogo.
C’è ancora rumore
Di sventura nella testa,
e sulla mappa del cielo
io non sono presente.

Mai è stata primavera,
sussurrano le voci di cenere,
sulla bilancia del linguaggio
sono una parola senza peso
e trafiggo il tempo
con occhi armati.

Futuro?
Non assolve
Me, nata sghemba.
Vieni, dice,
la morte è un ciglio
sulla palpebra della luce. Continua a leggere

La via del domani

Mariella Mehr credits pf. Dino Ignani

La patria redenta di Mariella Mehr

Di Andrea Galgano

La poesia di Mariella Mehr (1) (1947) è un annidamento splendente di scogli e ferite, paesaggi che gridano, come la sua storia di sopraffazione e annullamento e che trovano nella parola che si scrive non una liberazione dal dolore, ma un’apertura alla profondità e nella profondità:

Ancora ti prospera il fogliame intorno al cuore
e una fresca presa di
sale
impregna il tuo sguardo.
Di me nessuno vuol sapere,
di chi io

sia la spezia
e di quale amore la durata.
Spesso canta il lupo nel mio
sangue
e allora l’anima mia si apre
in una lingua straniera.
Luce, dico allora, luce di lupo,
dico, e che non venga nessuno a tagliarmi i
capelli.
Mi annido in briciole straniere / e sono a me parola sufficiente.

Effimero, mi dico,
perché presto cesserà ogni annidare,
e scorre

via il resto di ogni ora.

Nata a Zurigo da madre zingara di etnia Jenisch, diffusa prevalentemente tra Svizzera e Svezia, fu vittima assieme ad altri seicento ragazzini rom, di un programma eugenetico (una violentissima pulizia etnica vera e propria) chiamato Enfants de la grand-route «Opera di soccorso per i bambini di strada» (in tedesco Kinder der Landstrasse) promosso dal governo svizzero e attivo tra il 1926 e il 1972, con cui si proponeva un processo di sedentarizzazione verso i figli appartenenti a famiglie di etnia nomade, sottraendo i bambini ai loro genitori e affidandoli a famiglie svizzere, orfanotrofi o ospedali psichiatrici.

Mariella Mehr fu portata via a due anni, nel 1949 e chiusa in un istituto per ritardati mentali. Segregata in un mutismo volontario, come la bambina del suo romanzo, «La bambina si rifiuta di parlare, si chiude nel silenzio», dirà a Maurizio Cecchetti su “Avvenire”, in un’intervista del 9 settembre 2006,

Ed è anche una difesa contro le violenze che la società le riversa addosso. Questa bambina in realtà è il riflesso della stessa società in cui anche noi viviamo: soltanto nel nostro mondo la vita di una bambina come questa è possibile. Solo una società individualista come la nostra, dove ciascuno bada a se stesso, può esistere una bambina che ormai è una sorta di essere autistico, uno specchio da cui la bambina stessa non riesce ad uscire se non uccidendo. Così possiamo dire che nella nostra società ogni vittima, se vuole liberarsi, è costretta a diventare anche carnefice. Ma il suo futuro, certo, non è roseo. Il comportamento degli adulti, la loro violenza, genera in lei altra violenza. (2)

Venne affidata a sedici case famiglia e tre diversi istituzioni educative, subendo diversi elettroschock. Quando ebbe diciannove anni le tolsero il figlio, come racconta a Paolo Di Stefano sul “Corriere”: Continua a leggere

Durs Grunbein al Teatro Palladium

 


durs_grunbeinLunedì 23 marzo 2015

SAPERI

in collaborazione con  Università di Roma Tre e Teatro Palladium 

ore 17:30 Incontro-discussione sul tema e omaggio a Elio Pagliarani 

partecipano Cetta Petrollo Pagliarani, Andrea Cortellessa, Andrea Inglese, Arturo Mazzarella, Francesco Pecoraro e Marco Piazza. Coordina Paolo D’Angelo. Continua a leggere