Thomas Pynchon, “Contro il giorno”

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

Thomas Pynchon. È un nome, solo un nome. Flatus vocis. Vive a New York ma nessuno lo ferma per strada perché nessuno può dire esattamente che viso abbia. Siamo in possesso di una manciata di fotografie della sua giovinezza. Capelli leccati, naso piccolo e stretto, dentoni, blusa da marinaio. Intelligenza vispa. Nel 2018 sono uscite su un rotocalco americano un altro paio di istantanee di lui anziano, con il bastone, chioma nivea e floridissima. Il figlio Jackson al suo fianco. Qualcuno dice che nel film con Joaquin Phoenix Inherent Vice, tratto dall’omonimo romanzo pynchoniano, ci sia un cameo con lo scrittore. La notizia non è confermata, ma è certo che abbia prestato la sua voce in una puntata dei Simpson. Recitava sé stesso con un sacchetto marrone in testa e un punto interrogativo stampato.

Thomas Pynchon ha ottantatré anni e — secondo alcuni — è tifoso della Juventus (?!). Non ha mai concesso un’intervista in vita sua (è un record assoluto perché un altro grande sfuggente della letteratura americana, Cormac McCarthy, qualche strappo alla regola lo ha fatto). Paragonato a Salinger per ovvi motivi e candidato al Nobel da decenni, ha esordito a ventisei anni con V., testo letteralmente inafferrabile, e ha proseguito con un libro cult del postmodernismo e del realismo isterico, L’incanto del lotto 49.

Le trame dei romanzi di Pynchon — sia ben chiaro — sono intricatissime, labirintiche. I dettagli nascondono il tutto e il tutto si riversa borgesianamente dentro ogni singolo dettaglio.

I nomi dei personaggi sono quasi sempre parlanti: si pensi a Oedipa, protagonista dell’Incanto, o Herbert Stencil (“stampino”) che gira il mondo alla ricerca di qualcuno o qualcosa che si chiami V. Queste tipologie di opere Calvino le definisce «romanzi enciclopedici moderni», nei quali avviene in sostanza «un’analisi dello sfacelo, una coscienza del collasso, una testimonianza della frammentazione, una critica radicale del concetto di verità».

Episodi storici poco noti o completamente sconosciuti, cultura elevatissima e pop dei più triti, amore per la fisica e le scienze naturali, crudi tecnicismi e momenti lirici si mescolano in reticoli cristallini e tetraedrici, in forme allotropiche e deformanti al limite della piena comprensibilità. Tutto questo cosa ha a che fare con la poesia? Continua a leggere

Samuel Beckett, l’epistolario 1929-1940

IN COPERTINA
Ritratto di Samuel Beckett (1920 ca).
GETTY IMAGES/HULTON ARCHIVE

RISVOLTO

Samuel Beckett è stato a lungo conosciuto, e venerato, anche per la sua aura, dovuta all’aspetto fisico, all’inaccessibilità e al singolare dono per cui certe sue battute – scritte o recitate che fossero – entravano subito nella leggenda e nell’uso quotidiano. Ma soprattutto colpiva, intorno a lui, una zona di silenzio, che era in primo luogo una cifra stilistica. Così, di fronte alle sue lettere straripanti torna in mente il celeberrimo slogan inventato dai produttori di Ninotchka per la Garbo: Beckett parla! Sì, perché nelle sue lettere Beckett parla, moltissimo, e di tutto: del suo primo datore di lavoro, «Mr Joyce»; delle regioni più impervie della psiche, che esplorava con l’aiuto di Wilfred Bion; delle numerose lingue che abitava, e da cui spesso si sentiva posseduto; Continua a leggere

Vola alta parola, Edizione 2016

61ac4737-a53b-4bb7-9329-c0f908b063a8Nella foto SIMON ARMITAGE

Quattro venerdì di poesia tra gli eventi di punta del cartellone di “Restate” a Reggio Emilia

Vola alta parola” dal 1°luglio nel cortile della biblioteca Panizzi

La rassegna, a cura di Guido Monti, (NELLA FOTO SOTTO) vede protagonisti grandi poeti italiani e stranieri, moderati da importanti critici letterari. Continua a leggere