di Matteo Fantuzzi
Io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno”. Se dovessi partire da un passaggio per raccontare l’importanza di Biancamaria Frabotta nella nostra cultura e nella nostra società inizierei da questo, tratto da Quartetto per masse e voce sola ed edito da Donzelli, e certamente partirei da Donne in poesia, antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra a oggi edito da Savelli nel 1976, nell’anno dell’esordio, per la mitica casa editrice Geiger di Torino, con Affemminata (e la nota critica di Antonio Porta).
Affemminata perché una donna non è appunto una femmina, come vorrebbe la rappresentazione misogina al tempo imperante ed oggi probabilmente mai sopita. Donne in poesia dunque non è solo l’occasione, per autrici che diventeranno fondamentali nei successivi decenni come Patrizia Cavalli o Vivian Lamarque di ritrovarsi pubblicate assieme alle già note Amelia Rosselli, Maria Luisa Spaziani o Margherita Guidacci, ma la possibilità piuttosto di creare un fronte comune di emancipazione e caratterizzazione della figura femminile in poesia.
E’ questa volontà di unire la vita alle lotte sociali e utilizzare la scrittura come strumento attraverso cui formare opinioni nelle classi, che a loro volta avranno la responsabilità della crescita di migliaia di studenti (penso ai tanti futuri insegnanti forgiati dai banchi dell’Università), a rendere Biancamaria Frabotta simbolo di questo passaggio verso l’attuale società.
Una società nella quale si rende necessario continuare con doverosa attenzione e dovuta forza a pretendere uno spazio per chi, nella fragilità, è costretto a vivere vittima di una sorta di malattia che colpisce a livello pandemico, senza ansia per le contingenze ma con la precisa volontà da parte dell’autrice di restare contemporanea attraversando le stesse anse percorse da chi negli anni ha potuto leggerne l’opera.
Da La materia prima
[[ Per placare nelle ossa il bruciore / il crepitio dei neuroni inceneriti / l’avanzare della falange virale / e il sonno irrefrenabile / che serra le pupille / aprite la finestra nel fumoso / sole d’inverno alle brezze /della giovanile insonnia. / Testimone di un’irrilevante / ebrezza nella tua ombra / epoca muta e ciarliera / m’accomodai – servizievole. / Ci dettasti il prologo / noi mancammo l’epilogo. / Fortunata generazione senza assedio / mi arriva dall’orto una voce riciclata / e la serbo come fossimo in guerra / ed avessimo estirpato col granone / sul prato il loglio e il nutrimento. ]]
Ed è davvero una generazione ad essere uscita accresciuta umanamente e culturalmente dalle lezioni di Biancamaria Frabotta, e a raccoglierli tutti, come ha fatto nel 2016 l’ottimo Alessandro Giammei per l’editore Bulzoni. Continua a leggere