Omaggio a Giovanna Sicari

Giovanna Sicari, credits ph. Dino Ignani

Video su Giovanna Sicari realizzato da Luigia Sorrentino per RaiNews24 nel 2005

Nel video la vita e la poesia di Giovanna Sicari viene raccontata dai poeti: Milo De Angelis,  Alberto Toni, Luigi Fontanella,  Elio Pecora, Roberto Mussapi, dall’amica Chiara Scalesse e dalla sorella, Lucia Sicari.

Alcune interviste televisive furono raccolte a Milano, alla Libreria del Novecento, (libreria che adesso non esiste più) nel corso dell’evento organizzato da Milo De Angelis per Giovanna Sicari,  il 10 gennaio del 2004, pochi giorni dopo la scomparsa di Giovanna – 31 dicembre 2003- . Altre interviste furono raccolte a Roma alla Libreria Bibli e in un appartamento privato di Trastevere, città nella quale prevalentemente Giovanna visse prevalentemente la sua breve vita.

Nel video su Giovanna Sicari realizzato da Luigia Sorrentino per Rai News 24 Storia/Storie trasmesso nel 2005 (magazine a cura di Fabrizio Biamonte e Fausto Pellegrini) Maria Callas canta dalla Norma di Bellini “Casta diva“.

 

Da: Roma della vigilia, di Giovanna Sicari, Il Labirinto, 1999

IV.

Roma dell’eterna vigilia spariva
nella sua foto di festa, spariva per tutto ciò che
non mi riguardava, per la sua macchina goliardica e oscena
per quella luce portentosa dell’adolescenza
per quella luce dei fari e dei piccioni
per quegli infiniti mesi di maggio
di tutti i tempi, di tutti i tempi
con la stessa febbre che solo qui
dà quella brama non per me protesa.

Fonte Wikipedia

Giovanna Sicari, poetessa e scrittrice, è stata moglie del poeta Milo De Angelis. Dal 1962, con la famiglia, si trasferisce a Roma, nel quartiere Monteverde. Le sue prime poesie escono a partire dal 1982 sulla rivista «Le Porte», quindi su «Alfabeta», «Linea d’Ombra», «Nuovi Argomenti». A partire dal 1986 pubblica sette libri di versi e tre di prosa, tra questi un volume miscellaneo, La moneta di Caronte, che raccoglie contributi di scrittori contemporanei. Dal 1985 al 1989 è redattrice della rivista «Arsenale». A partire dagli anni ottanta inizia inoltre a lavorare come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, a Roma, incarico che mantiene fino al 1997, quando si ammala gravemente. Dopo essersi sottoposta a interventi e cure prima a Roma, poi a Milano, dove nel frattempo si era trasferita col marito Milo De Angelis e il figlio Daniele, torna a Roma nell’estate del 2003, dove muore nella notte tra il 30 e il 31 dicembre.

La raccolta di poesie di Milo De Angelis Tema dell’addio è a lei dedicata, così come la suite Poesie per Giovanna di Biancamaria Frabotta.

 

Milo De Angelis, Video-Intervista

Milo De Angelis: L’imperativo categorico e l’infinito presente

di Luigia Sorrentino

Ho conosciuto Milo De Angelis in occasione di una lettura di poesie a Ortona nel 1986. Fu in quel contesto che De Angelis mi mise di fronte alla sua poesia, regalandomi la prima edizione di Somiglianze del 1976 e Millimetri del 1983. I suoi versi mi colpirono per la solennità e la compiutezza della voce con la quale il poeta anticipava un sapere sconvolgente che pochi riuscivano a percepire. Dopo quel primo incontro andai più volte a Milano, la città dove il poeta tuttora vive, per rivedere De Angelis. Ricordo i lunghi pomeriggi trascorsi nella casa di via Rosales a parlare di poesia. Fu in uno di quegli incontri che il poeta divertendosi a giocare con la radice del mio cognome disse: “lo sai cosa significa sorren in tedesco?”. E poi aggiunse: “Significa approdo“.
Recentemente ho appreso che  la parola sorren non è più di uso comune In Germania. Grazie all’intermediazione di Soledad Ugolinelli, nel Goethe Institute di Roma che ha consultato il dizionario della lingua tedesca dei Fratelli Grimm, edito nel 1854, è venuto fuori che sorren significava letteralmente “legare saldamente con una fune”, un termine che si usava, in particolare, per indicare il modo in cui i barili dovevano essere legati nella stiva a bordo di una nave, onde evitare che si perdessero durante un viaggio.
Scopro oggi che De Angelis aveva utilizzato la radice del mio cognome, sorren, per dare forza al legame che si era instaurato fra noi. Saldamente legati durante il viaggio. L’approdo, altro non era, metaforicamente, che il luogo della poesia.

 

T. S.

I
Ognuno di voi avrà sentito
il morbido sonno, il vortice dolcissimo
che si adagia sul letto
e poi l’albero, la scorza, l’alga
gli occhi non resistono
e i flaconi non sono più minacciosi
nella luce chiaroscura del pomeriggio
mentre mille animali
circondano la lettiga, frenano gli infermieri
il disastro del respiro sempre più assopito
nei vetri zigrinati
dell’autombulanza, appare
il davanzale di un piano, il tempo
che sprigiona i vivi
e li fa correre con la corrente nelle pupille,
l’attimo dell’offerta, per scintillarle.
E improvvisa, la quiete
della vigna e del pozzo, con la pietra levigata
dividendo la carne
una calma sprofondata dentro il grano
mentre la donna sul prato partorisce
sempre più lentamente,
finché il figlio ritorna nella fecondazione
e prima ancora, nel bacio e nel chiarore
di una camera, il grande specchio,
il desiderio che nasce, il gesto.

II
E poi avrete sentito, almeno una volta
quando il liquido, delicatissimo,
esce dalla bocca, scorre giallo nel lavandino
e la sonda e le sirene sempre più lontane.
Il respiro si affanna, finisce, riprende
quanta pace nella spiaggia gelata dal temporale:
una canoa va verso l’isola corallina
e sotto l’oceano si accoppiano le cellule sessuali
non ci sono eventi irreparabili
ma solo le spugne cicliche,
gli insetti che hanno coperto l’aria:
ecco un colore di madreperla, una roccia nella sabbia,
l’accappatoio che toglie con un solo gesto
solennità della luce, la meraviglia, la prima
e la femmina del pellicano
chiama la nidiata sparsa nella tempesta
e forse vede qualcosa, tra gli scogli,
qualcosa che si muove
domani correrà con i suoi bambini
mescolata, per respirare
nel turchese profondo della marea
che sale in superficie, sta rinascendo adesso
e trova una terra diversa, un’altra voce.

Intervista a Milo De Angelis
di Luigia Sorrentino
Milano, Vita Bovisasca, 85
23 dicembre 2006

 

De Angelis, quando si viene toccati dalla poesia? Quando la poesia si chiama?

“si viene toccati dalla poesia quando sentiamo che è una via obbligatoria e tutte le altre vie ci sembrano un’evasione… Sì, un’evasione da ciò che è essenziale,  dalla parola che è più antica in noi e che il tempo ha reso un destino. Una parola non ritrattabile, una parola d’onore, una parola depositata da sempre, a cui dobbiamo a tutti costi dare un nome. Dare la parola dice bene di questa fedeltà alla promessa poetica.e questo lo sentiamo già poeticamente, con quella forza imperativa con quella voce da ultimatum che è propria del verso”.

Somiglianze, pubblicato nel 1976, trent’anni fa, è la prima raccolta di versi di Milo De Angelis, nella quale ricorrono tematiche forti, legate al mito dell’infanzia e dell’adolescenza. Una poesia in cui il presente diviene l’imperativo categorico della parola poetica: “Se ti togliamo ciò che non è tuo/ non ti rimane niente.” Il verso è tratto da la poesia che s’intitola L’idea centrale. Un verso forte, imperativo e categorico. 

“L’imperativo è il tempo e il modo della poesia. È un imperativo in cui lettore deve entrare, deve sentire che quel verso è un grido… Grido di soccorso, di gioia, di stupore, di rabbia, di memoria, di dolore. Un grido comunque che ci chiama, e che è rivolto a noi, proprio a noi… e dobbiamo ascoltarlo, a tutti i costi. La poesia porta in sé l’ultima volta. L’ultima cena, la razza estinta, l’estrema unzione, qualcosa che ci chiama con violenza a essere presenti, ci avverte che non ci saranno repliche, perché è un atto unico”.

 

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